Tesi etd-12302024-124525 |
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Tipo di tesi
Tesi di specializzazione (4 anni)
Autore
INNOCENTI, LORENZO
URN
etd-12302024-124525
Titolo
ARID1A nell’osteosarcoma centrale di alto grado dello scheletro: correlazioni clinico-patologiche e molecolari
Dipartimento
RICERCA TRASLAZIONALE E DELLE NUOVE TECNOLOGIE IN MEDICINA E CHIRURGIA
Corso di studi
ANATOMIA PATOLOGICA
Relatori
relatore Prof. Franchi, Alessandro
Parole chiave
- ARID1A
- Immunoistochimica
- Next Generation Sequencing
- Osteosarcoma
- Prognosi
Data inizio appello
03/02/2025
Consultabilità
Completa
Riassunto
L’OS centrale di alto grado è una neoplasia altamente aggressiva con una predilezione per l’età pediatrico-adolescenziale e, nonostante i notevoli progressi in campo oncologico, la prognosi di questi pazienti rimane spesso infausta.
ARID1A rappresenta la subunità più frequentemente mutata del complesso SWI/SNF e svolge un ruolo centrale nella trasformazione e nella progressione di numerose neoplasie umane. Recenti pubblicazioni hanno fornito un razionale a supporto dell’implicazione di ARID1A nella biologia degli OS centrali di alto grado; tuttavia questo campo di indagine rimane ancora per gran parte insondato.
Lo scopo di questo lavoro è stato di studiare ARID1A in una casistica di OS centrali di alto grado provenienti da due differenti istituzioni: la coorte di studio proveniente dalla casistica dell’AOUP e la coorte di validazione proveniente dalla casistica dell’Istituto ortopedico “Rizzoli”, quest’ultima contraddistinta da un tempo di follow-up significativamente maggiore (46.8 vs 120 mesi) e dunque particolarmente informativa sul decorso della malattia; pertanto pur mostrando un’omogeneità in termini di sesso e di età, le due coorti sono state studiate distintamente. L’incidenza di metastasi a distanza successivamente alla diagnosi è risultata assai maggiore nella coorte di validazione (60% vs 28.6%), aspetto riconducibile al maggior tempo di osservazione che ha permesso di intercettare l’insorgenza a distanza di anni dal momento della diagnosi.
La popolazione in studio è stata pertanto distinta in due coorti: una coorte di studio costituita da 30 pazienti – di cui 21 soggetti di sesso maschile (70.0%) e 9 femminile (30.0%) e con età media alla diagnosi di circa 17 anni – e una coorte di validazione comprendente 51 pazienti di cui 30 soggetti maschi (58.8%) e 21 femmine (41.2%) e con età media alla diagnosi di circa 15 anni. Sulla prima sono stati condotti studi di IIC e di NGS, mentre la seconda è stata utilizzata esclusivamente per studiare le correlazioni tra perdita IIC di ARID1A e sopravvivenza.
Lo studio di IIC ha evidenziato perdita di espressione di ARID1A nel 23.3% e nel 41.1% dei casi della coorte di studio e dalla coorte di validazione, rispettivamente, dimostrando come questo reperto immunofenotipico sia relativamente comune negli OS centrali di alto grado. Ad oggi non sono disponibili in letteratura studi in merito alla frequenza di ARID1A-negatività negli OS; tuttavia un simile riscontro sottolinea la partecipazione di ARID1A alla biologia di queste neoplasie, come già evidenziato dagli studi di tipo molecolare. Xu et al. hanno infatti documentato una significativa riduzione di concentrazione di mRNA in 35 dei 53 (66%) casi di OS da loro studiati. Ammettendo una omogeneità biologica tra i casi posti a confronto, si osserva come i tassi di negatività IIC siano inferiori alla riduzione dei livelli di mRNA, potenzialmente indicando una scarsa sensibilità dell’IIC nei confronti di tale parametro. Occorre tuttavia sottolineare come il processo di decalcificazione dei campioni mediante acidi forti – quasi sempre necessario a causa dell’alto grado di mineralizzazione della matrice osteoide neoplastica – infici significativamente sull’esito dell’IIC e che, in assenza di protocolli rigorosamente standardizzati per questo tipo di campioni, permarrà un certo grado di disomogeneità nel confronto tra casi di diverse istituzioni, così come tra casi provenienti dalla medesima istituzione.
Nel nostro studio, la perdita di espressione IIC ha correlato in modo statisticamente significativo con una minore sopravvivenza libera da metastasi e libera da malattia a 5 anni, in entrambe le coorti, e tale significatività è stata riscontrata anche a 10 anni dalla diagnosi per quanto riguarda la coorte di validazione. In quest’ultima, la negatività per ARID1A ha inoltre dimostrato di correlare significativamente con la sopravvivenza globale. Anche dall’analisi univariata è emersa una significativa associazione tra perdita IIC di ARID1A e ridotta sopravvivenza globale, mentre nell’analisi multivariata tale correlazione è stata persa. Questo è probabilmente riconducibile al fatto che la perdita IIC correla sul piano temporale ad un più rapido sviluppo di metastasi a distanza ma che, ad un’osservazione sufficientemente lunga, lo sviluppo di metastasi a lungo termine è destinato a impattare sulla prognosi più di ogni altro parametro clinico-patologico.
La stretta associazione tra perdita di espressione IIC di ARID1A e maggiore aggressività degli OS conferma quanto già osservato da Xu et al., che aveva già dimostrato come la bassa concentrazione di mRNA codificante per ARID1A correlasse con uno stadio tumorale più avanzato (p 0.011) e ancor più con lo sviluppo di metastasi a distanza (p 0.008). Gli stessi autori avevano infatti documentato in vitro come l’iperespressione di ARID1A in una linea cellulare di osteosarcoma fibroblastico (MG-63) corrispondesse a bassi livelli di Bcl-2 (antiapoptotica) e di N-caderina ed elevati livelli di Bax (proapoptotica) ed E-caderina, con il risultato di indurre un fenotipo meno proliferante e con minore tendenza alla transizione epitelio-mesenchimale. Tali considerazioni sono a sostegno del ruolo prevalente di oncosoppressore di ARID1A negli OS, analogamente a quanto osservato in numerosi altri modelli tumorali.
In entrambe le coorti, nessuna correlazione è stata invece documentata con la sopravvivenza da recidiva locale; questo dato sottolinea come l’estensione della resezione chirurgica sia il principale determinante dello lo sviluppo di recidive locali, ancor prima dell’aggressività biologica della neoplasia.
La coorte di studio è stata poi studiata con NGS con lo scopo di valutare la presenza di mutazioni a carico della sequenza codificante per ARID1A. Curiosamente, solo 5 dei 30 casi hanno dimostrato la presenza di mutazioni a carico di tale gene. Nel dettaglio sono state documentate le seguenti mutazioni: c.14T>G [p.(Val5Gly)], c.1454A>G [p.(Tyr485Cys)], c.4244A>C [p.(Gln1415Pro)], c.893T>A [p.Leu298Gln] e c.6369C>G [p.(Ser2123Arg)]. Quest’ultima mutazione è stata riscontrata due volte nel medesimo paziente, rispettivamente sul campione bioptico preoperatorio e sul campione operatorio post-NACT. Le mutazioni riscontrate consistono di mutazioni a singolo nucleotide, non risultano descritte in letteratura e pertanto il loro significato biologico rimane incognito. La presenza di mutazioni di ARID1A non ha mostrato correlazioni di significato con le sopravvivenze, e ciò è in parte da ricondursi alla scarsa numerosità campionaria. Uno studio di Khalique et al., che ha studiato lo stato mutazionale di ARID1A in una serie di neoplasie ginecologiche, ha documentato una mutazione simile: p.Tyr485Ter in associazione a p.Gly191fs sul medesimo gene, la prima delle quali ricade sullo stesso codone mutato in uno dei casi della coorte di studio (p.Tyr485Cys). I due campioni hanno mostrato un risultato IIC opposto, in quanto il caso descritto da Khalique ha mostrato completa negatività IIC, mentre il caso della coorte di studio è risultato ARID1A-positivo.
Non è stato possibile documentare alcuna associazione tra stato mutazionale e IIC nei 30 casi in studio: 2 dei 5 casi ARID1A-mutati hanno mostrato perdita di espressione di ARID1A, mentre i rimanenti 3 ne hanno ciononostante mantenuto l'espressione. Inoltre, 5 casi con espressione immunoistochimica negativa sono risultati wild-type al sequenziamento. Questi dati preliminari indicano una limitata affidabilità dell'indagine IIC come surrogato dello stato mutazionale di ARID1A nell’OS e suggeriscono che il livello di positività IIC potrebbe rispecchiare i differenti effetti delle specifiche mutazioni sull'espressione proteica (nel caso di Khalique di cui sopra coesisteva infatti una mutazione frame-shift con conseguente perdita di positività IIC).
Questo aspetto segna una differenza sostanziale tra sarcomi ossei e neoplasie epiteliali del distretto ginecologico, ampiamente studiate in merito al profilo mutazionale e IIC di ARID1A. Infatti, nel medesimo studio di Khalique et al. su una serie di 45 neoplasie ginecologiche (endometriali e ovariche), era stato posto a confronto lo score IIC e lo stato mutazionale di ARID1A, con un tasso di concordanza del 100%. Gli autori riportano inoltre una specificità nettamente superiore del clone anticorpale EPR13501 (Abcam) rispetto ad altri cloni disponibili sul commercio (D2A8U [Cell Signaling] e HPA005456 [Sigma]). La coorte di studio non ha invece dimostrato alcuna correlazione tra il dato IIC e il dato molecolare, ma cionondimeno è stata evidenziata la significatività del dato IIC in termini di aggressività biologica, a prescindere dallo stato mutazionale. Appare implicita in questa osservazione la partecipazione di diversi ulteriori meccanismi – genetici ed epigenetici – come determinanti del livello di espressione genica di ARID1A. Una comprensione di tali processi è di cruciale importanza per appurare il preciso significato biologico delle alterazioni di ARID1A negli OS di alto grado.
Lo studio della perdita di funzione di ARID1A nelle neoplasie dei tessuti molli rimane ad oggi ancora in fase embrionale: pochissimi studi in letteratura riportano i tassi di mutazione e studi di tipo immunoistochimico risultano quasi del tutto assenti.
Due differenti studi hanno documentato la presenza di mutazioni di ARID1A nei tumori desmoplastici a piccole cellule rotonde (Desmoplastic Round Blue Cell Tumor, DRBCT). Il gruppo di Chow et al. ha studiato una coorte di 83 DRBCTs identificando mutazioni di ARID1A in 9 casi (11%) e successivamente, Slotkin et al. hanno evidenziato mutazioni di tale locus in 4 casi su 68 (6%). Gli autori non hanno tuttavia descritto correlazioni con fenotipi clinici specifici; il significato biologico di queste mutazioni rimane dunque inesplorato.
In considerazione dei risultati ottenuti nel presente studio, la perdita di espressione di ARID1A si dimostra un reperto immunofenotipico relativamente comune negli OS centrali di alto grado. La negatività immunoistochimica appare correlare in modo statisticamente significativo con una minore sopravvivenza libera da metastasi, libera da malattia e globale, quest’ultimo dato estrapolato da una coorte di pazienti con follow-up sufficientemente lungo.
È interessante notare come la perdita di espressione a livello proteico non mostri alcuna correlazione con lo stato mutazionale di ARID1A, implicando l’esistenza di ulteriori meccanismi molecolari in grado di interferire con la funzione di questo oncosoppressore.
I dati raccolti, seppur preliminari, dimostrano il coinvolgimento di ARID1A e del complesso SWI/SNF nella biologia degli OS di alto grado.
Studi coinvolgenti casistiche più ampie si rendono necessari al fine di delineare in modo più completo le implicazioni funzionali di questo regolatore dell'architettura cromatinica e appurare il potenziale ruolo di ARID1A in qualità di biomarcatore prognostico negli OS di alto grado. La stratificazione della prognosi potrebbe in futuro gettare le fondamenta per lo sviluppo di protocolli terapeutici sempre più personalizzati.
ARID1A rappresenta la subunità più frequentemente mutata del complesso SWI/SNF e svolge un ruolo centrale nella trasformazione e nella progressione di numerose neoplasie umane. Recenti pubblicazioni hanno fornito un razionale a supporto dell’implicazione di ARID1A nella biologia degli OS centrali di alto grado; tuttavia questo campo di indagine rimane ancora per gran parte insondato.
Lo scopo di questo lavoro è stato di studiare ARID1A in una casistica di OS centrali di alto grado provenienti da due differenti istituzioni: la coorte di studio proveniente dalla casistica dell’AOUP e la coorte di validazione proveniente dalla casistica dell’Istituto ortopedico “Rizzoli”, quest’ultima contraddistinta da un tempo di follow-up significativamente maggiore (46.8 vs 120 mesi) e dunque particolarmente informativa sul decorso della malattia; pertanto pur mostrando un’omogeneità in termini di sesso e di età, le due coorti sono state studiate distintamente. L’incidenza di metastasi a distanza successivamente alla diagnosi è risultata assai maggiore nella coorte di validazione (60% vs 28.6%), aspetto riconducibile al maggior tempo di osservazione che ha permesso di intercettare l’insorgenza a distanza di anni dal momento della diagnosi.
La popolazione in studio è stata pertanto distinta in due coorti: una coorte di studio costituita da 30 pazienti – di cui 21 soggetti di sesso maschile (70.0%) e 9 femminile (30.0%) e con età media alla diagnosi di circa 17 anni – e una coorte di validazione comprendente 51 pazienti di cui 30 soggetti maschi (58.8%) e 21 femmine (41.2%) e con età media alla diagnosi di circa 15 anni. Sulla prima sono stati condotti studi di IIC e di NGS, mentre la seconda è stata utilizzata esclusivamente per studiare le correlazioni tra perdita IIC di ARID1A e sopravvivenza.
Lo studio di IIC ha evidenziato perdita di espressione di ARID1A nel 23.3% e nel 41.1% dei casi della coorte di studio e dalla coorte di validazione, rispettivamente, dimostrando come questo reperto immunofenotipico sia relativamente comune negli OS centrali di alto grado. Ad oggi non sono disponibili in letteratura studi in merito alla frequenza di ARID1A-negatività negli OS; tuttavia un simile riscontro sottolinea la partecipazione di ARID1A alla biologia di queste neoplasie, come già evidenziato dagli studi di tipo molecolare. Xu et al. hanno infatti documentato una significativa riduzione di concentrazione di mRNA in 35 dei 53 (66%) casi di OS da loro studiati. Ammettendo una omogeneità biologica tra i casi posti a confronto, si osserva come i tassi di negatività IIC siano inferiori alla riduzione dei livelli di mRNA, potenzialmente indicando una scarsa sensibilità dell’IIC nei confronti di tale parametro. Occorre tuttavia sottolineare come il processo di decalcificazione dei campioni mediante acidi forti – quasi sempre necessario a causa dell’alto grado di mineralizzazione della matrice osteoide neoplastica – infici significativamente sull’esito dell’IIC e che, in assenza di protocolli rigorosamente standardizzati per questo tipo di campioni, permarrà un certo grado di disomogeneità nel confronto tra casi di diverse istituzioni, così come tra casi provenienti dalla medesima istituzione.
Nel nostro studio, la perdita di espressione IIC ha correlato in modo statisticamente significativo con una minore sopravvivenza libera da metastasi e libera da malattia a 5 anni, in entrambe le coorti, e tale significatività è stata riscontrata anche a 10 anni dalla diagnosi per quanto riguarda la coorte di validazione. In quest’ultima, la negatività per ARID1A ha inoltre dimostrato di correlare significativamente con la sopravvivenza globale. Anche dall’analisi univariata è emersa una significativa associazione tra perdita IIC di ARID1A e ridotta sopravvivenza globale, mentre nell’analisi multivariata tale correlazione è stata persa. Questo è probabilmente riconducibile al fatto che la perdita IIC correla sul piano temporale ad un più rapido sviluppo di metastasi a distanza ma che, ad un’osservazione sufficientemente lunga, lo sviluppo di metastasi a lungo termine è destinato a impattare sulla prognosi più di ogni altro parametro clinico-patologico.
La stretta associazione tra perdita di espressione IIC di ARID1A e maggiore aggressività degli OS conferma quanto già osservato da Xu et al., che aveva già dimostrato come la bassa concentrazione di mRNA codificante per ARID1A correlasse con uno stadio tumorale più avanzato (p 0.011) e ancor più con lo sviluppo di metastasi a distanza (p 0.008). Gli stessi autori avevano infatti documentato in vitro come l’iperespressione di ARID1A in una linea cellulare di osteosarcoma fibroblastico (MG-63) corrispondesse a bassi livelli di Bcl-2 (antiapoptotica) e di N-caderina ed elevati livelli di Bax (proapoptotica) ed E-caderina, con il risultato di indurre un fenotipo meno proliferante e con minore tendenza alla transizione epitelio-mesenchimale. Tali considerazioni sono a sostegno del ruolo prevalente di oncosoppressore di ARID1A negli OS, analogamente a quanto osservato in numerosi altri modelli tumorali.
In entrambe le coorti, nessuna correlazione è stata invece documentata con la sopravvivenza da recidiva locale; questo dato sottolinea come l’estensione della resezione chirurgica sia il principale determinante dello lo sviluppo di recidive locali, ancor prima dell’aggressività biologica della neoplasia.
La coorte di studio è stata poi studiata con NGS con lo scopo di valutare la presenza di mutazioni a carico della sequenza codificante per ARID1A. Curiosamente, solo 5 dei 30 casi hanno dimostrato la presenza di mutazioni a carico di tale gene. Nel dettaglio sono state documentate le seguenti mutazioni: c.14T>G [p.(Val5Gly)], c.1454A>G [p.(Tyr485Cys)], c.4244A>C [p.(Gln1415Pro)], c.893T>A [p.Leu298Gln] e c.6369C>G [p.(Ser2123Arg)]. Quest’ultima mutazione è stata riscontrata due volte nel medesimo paziente, rispettivamente sul campione bioptico preoperatorio e sul campione operatorio post-NACT. Le mutazioni riscontrate consistono di mutazioni a singolo nucleotide, non risultano descritte in letteratura e pertanto il loro significato biologico rimane incognito. La presenza di mutazioni di ARID1A non ha mostrato correlazioni di significato con le sopravvivenze, e ciò è in parte da ricondursi alla scarsa numerosità campionaria. Uno studio di Khalique et al., che ha studiato lo stato mutazionale di ARID1A in una serie di neoplasie ginecologiche, ha documentato una mutazione simile: p.Tyr485Ter in associazione a p.Gly191fs sul medesimo gene, la prima delle quali ricade sullo stesso codone mutato in uno dei casi della coorte di studio (p.Tyr485Cys). I due campioni hanno mostrato un risultato IIC opposto, in quanto il caso descritto da Khalique ha mostrato completa negatività IIC, mentre il caso della coorte di studio è risultato ARID1A-positivo.
Non è stato possibile documentare alcuna associazione tra stato mutazionale e IIC nei 30 casi in studio: 2 dei 5 casi ARID1A-mutati hanno mostrato perdita di espressione di ARID1A, mentre i rimanenti 3 ne hanno ciononostante mantenuto l'espressione. Inoltre, 5 casi con espressione immunoistochimica negativa sono risultati wild-type al sequenziamento. Questi dati preliminari indicano una limitata affidabilità dell'indagine IIC come surrogato dello stato mutazionale di ARID1A nell’OS e suggeriscono che il livello di positività IIC potrebbe rispecchiare i differenti effetti delle specifiche mutazioni sull'espressione proteica (nel caso di Khalique di cui sopra coesisteva infatti una mutazione frame-shift con conseguente perdita di positività IIC).
Questo aspetto segna una differenza sostanziale tra sarcomi ossei e neoplasie epiteliali del distretto ginecologico, ampiamente studiate in merito al profilo mutazionale e IIC di ARID1A. Infatti, nel medesimo studio di Khalique et al. su una serie di 45 neoplasie ginecologiche (endometriali e ovariche), era stato posto a confronto lo score IIC e lo stato mutazionale di ARID1A, con un tasso di concordanza del 100%. Gli autori riportano inoltre una specificità nettamente superiore del clone anticorpale EPR13501 (Abcam) rispetto ad altri cloni disponibili sul commercio (D2A8U [Cell Signaling] e HPA005456 [Sigma]). La coorte di studio non ha invece dimostrato alcuna correlazione tra il dato IIC e il dato molecolare, ma cionondimeno è stata evidenziata la significatività del dato IIC in termini di aggressività biologica, a prescindere dallo stato mutazionale. Appare implicita in questa osservazione la partecipazione di diversi ulteriori meccanismi – genetici ed epigenetici – come determinanti del livello di espressione genica di ARID1A. Una comprensione di tali processi è di cruciale importanza per appurare il preciso significato biologico delle alterazioni di ARID1A negli OS di alto grado.
Lo studio della perdita di funzione di ARID1A nelle neoplasie dei tessuti molli rimane ad oggi ancora in fase embrionale: pochissimi studi in letteratura riportano i tassi di mutazione e studi di tipo immunoistochimico risultano quasi del tutto assenti.
Due differenti studi hanno documentato la presenza di mutazioni di ARID1A nei tumori desmoplastici a piccole cellule rotonde (Desmoplastic Round Blue Cell Tumor, DRBCT). Il gruppo di Chow et al. ha studiato una coorte di 83 DRBCTs identificando mutazioni di ARID1A in 9 casi (11%) e successivamente, Slotkin et al. hanno evidenziato mutazioni di tale locus in 4 casi su 68 (6%). Gli autori non hanno tuttavia descritto correlazioni con fenotipi clinici specifici; il significato biologico di queste mutazioni rimane dunque inesplorato.
In considerazione dei risultati ottenuti nel presente studio, la perdita di espressione di ARID1A si dimostra un reperto immunofenotipico relativamente comune negli OS centrali di alto grado. La negatività immunoistochimica appare correlare in modo statisticamente significativo con una minore sopravvivenza libera da metastasi, libera da malattia e globale, quest’ultimo dato estrapolato da una coorte di pazienti con follow-up sufficientemente lungo.
È interessante notare come la perdita di espressione a livello proteico non mostri alcuna correlazione con lo stato mutazionale di ARID1A, implicando l’esistenza di ulteriori meccanismi molecolari in grado di interferire con la funzione di questo oncosoppressore.
I dati raccolti, seppur preliminari, dimostrano il coinvolgimento di ARID1A e del complesso SWI/SNF nella biologia degli OS di alto grado.
Studi coinvolgenti casistiche più ampie si rendono necessari al fine di delineare in modo più completo le implicazioni funzionali di questo regolatore dell'architettura cromatinica e appurare il potenziale ruolo di ARID1A in qualità di biomarcatore prognostico negli OS di alto grado. La stratificazione della prognosi potrebbe in futuro gettare le fondamenta per lo sviluppo di protocolli terapeutici sempre più personalizzati.
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