Tesi etd-10182024-172716 |
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Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale
Autore
BARONI, JESSICA
URN
etd-10182024-172716
Titolo
Qualità ed estensione: Husserl tra spazio percettivo e spazio geometrico.
Dipartimento
CIVILTA' E FORME DEL SAPERE
Corso di studi
FILOSOFIA E FORME DEL SAPERE
Relatori
relatore Dott. Manca, Danilo
Parole chiave
- Dingvorlesung
- geometry
- Husserl
- Raumbuch
- space
Data inizio appello
08/11/2024
Consultabilità
Non consultabile
Data di rilascio
08/11/2027
Riassunto
Nel mio lavoro cercato di studiare la teoria dello spazio husserliana analizzando le riflessioni sulla geometria che si trovano nella Krisis in relazione alle indagini del primo Husserl nel Raumbuch e agli sviluppi di tali indagini nella più matura Dingvorlesung e in Idee. Sebbene il percorso non sia cronologicamente impostato, credo sia stato importante partire dalla Krisis proprio perché essa inizia con una domanda che ha tirato le fila della mia indagine: “qual è il senso originario della geometria?”.
Il primo capitolo si sofferma dunque sull’analisi della storia interna della geometria per come ci viene presentata nella III e nella II appendice al paragrafo 9 della Krisis, che successivamente viene preso in esame. Le questioni teoriche qui emerse sono quelle che riguardano il telos delle scienze, il loro stesso operare messo a confronto con il loro oggetto di studio, ovvero il “mondo della vita”. Risulta quindi indispensabile comprendere come rapportare il mondo delle idealità, come quello dei teoremi della scienza, a quello dell’esperienza da cui dovrebbero provenire, la Lebenswelt.
Ho dovuto dunque confrontarmi anche con la dimensione storica che l ultimo husserl mette in risalto, il suo concetto di a priori storico e di origine dell’oggetto scientifico che si veste man mano di un abito linguistico attraverso il processo di sedimentazione del senso il cui complementare è quello di ridestamento. Si deve dunque risalire attraverso un’indagine storica per ritrovare una struttura interna di senso che mostrerà quella Aeterna Veritas che ha sempre guidato unitariamente i geometri, indipendentemente dalla loro epoca storica.
Mi sono soffermata dunque sull’analisi del § 9 di Krisis, “La matematizzazione galileiana della natura, dove Husserl traccia un’indagine storica che miri a spiegare come mai da una scienza univoca come la geometria siamo finiti nel XX secolo ad avere più geometrie, in completo accordo con la sua denuncia di specializzazione di tutto il campo scientifico. Giù subito la geometria euclidea mi è apparsa come una disciplina di particolare interesse per il privilegio che Husserl le attribuisce, ovvero quello di poter ricavare da sé stessa l’interezza delle sue forme e delle sue leggi che trovano riscontro nel mondo della vita.
Di estrema rilevanza mi sono sembrati i concetti di plenum sensibile e di misurazione, poiché solamente ciò che è misurabile può subire una quantificazione e una successiva una formalizzazione. Ma che ne è del riempimento qualitativo di cui il nostro mondo della vita è gravido e che non cade sotto il processo di questa idealizzazione? Di grande impatto sono dunque le geometrie non euclidee poiché postulano l’esistenza di spazi n-dimensionali che sono preclusi alla nostra esperienza, e dunque a quell’immediatezza estetica dalla quale la fenomenologia trascendentale deve iniziale a descrivere.
Com’è possibile che una scienza che abbia di mira il mondo della vita arrivi a postulare l’idea che tra quest’ultimo e il soggetto conoscente vi sia uno iato incolmabile? Ho cercato dunque di comprendere cosa succede quando dall’univocità dell’oggetto della scienza essa si direziona verso il suo stesso metodo (formalizzazione, algebrizzazione) così come per Husserl accade nelle geometrie non euclidee, oggetto di accusa nella Krisis e sfondo culturale dello Husserl giovane che tenterà di dare una soluzione matematica al problema della spazialità attraverso Raumbuch, cioè quell’insieme di ricerche degli anni 90 sulla geometria e sullo spazio dove l’indagine fenomenologica mostra ancora i segni di una non completa maturazione e che doveva infatti essere il proseguo di Filosofia dell’aritmetica.
Partire dalla Krisis è stato importante anche perché significa impostare il problema dal termine dell’indagine fenomenologica per comprendere come ai prodromi stessi della fenomenologia sia insita la forma di un problema ricorrente. Nel secondo capitolo il problema di fondo rimane: abbiamo uno spazio euclideo, ma i nostri vissuti non ci danno una spazialità di questo tipo, anzi, isolatamente ci danno dei pezzi che dobbiamo ricollegare.
Si espone dunque il problema del V postulato di Euclide come problema storico-scientifico che apre la storia delle geometrie non euclidee e come in essa Husserl si introduca per comprendere se e quanto si possa studiare la geometria unicamente da un punto di vista matematico. Perché e come abbiamo l’evidenza che due rette protratte infinitamente non si incontreranno mai? Dov’è nel terreno originario questa evidenza?
Una volta appurato che l’algoritmo speciale non è in grado di tenere conto della natura della spazialità, si mostra la necessità di partire, sulla scorta delle analisi di Stumpf, dalla rappresentazione dello spazio, in quanto la figura possiede inevitabilmente qualcosa in più del numero, cioè plenum, il suo riempimento sensibile senza il quale non può manifestarsi. E tuttavia queste analisi rimangono all’interno del vissuto psicologico che si rifa all’ordine simbolico per poter tenere conto di uno spazio maggiore di quello che viene esperito all’interno del vissuto e che lo contiene come suo spazio più piccolo. Lo spazio diventa qui rappresentazione impropria per mezzo di segni, il contenuto immanente di cui ancora non si è tolta l’ombra dello psicologismo in non si mostra in grado di gestire il “plus” percettivo rispetto a ciò che viene effettivamente presentato.
Dagli esiti del Raumbuch comprendiamo che lo spazio può essere studiato solo attraverso lo strutturarsi di un reticolato mereologico intero-parte la cui struttura verrà più approfonditamente analizzata nella Terza Ricerca Logica, sulla quale il presente lavoro si sofferma. Questa ricerca ha creato un ponte tra gli anni 90 e il 1907, ovvero anno di pubblicazione de La cosa e lo spazio, dove attraverso una fenomenologia finalmente più matura e il concetto di “Perceptio”, Husserl analizza la costituzione della spazialità a partire non dal numero, ma dal campo visivo e dalle cinestesi del corpo vivo.
Lo spazio in quanto principio del manifestarsi che non si manifesta, può darsi esclusivamente attraverso la manifestazione di cosa. Lo spazio non è un dato di senso assoluto al pari di una qualità, ragion per cui, dall’ a-priori materiale scoperto nella Terza Ricerca, scopriamo che l’estensione non può darsi senza qualità, la geometria deve portarsi qualcosa dal mondo della vita. Entrambe, difatti, vengono determinate come momenti non indipendenti nella costituzione dell’intero-cosale.
L’insegnamento della Dingvorlesung è quello di farci comprendere come all’interno dell’analisi del campo prefenomenale stesso, si possano individuare delle legalità che non appartengono al funtore psichico, bensì all’oggetto stesso. La questione si modifica dunque dal dover comprendere come collegare i vissuti all’interno dei quali lo spazio si manifesta al dover comprendere le legalità del campo visivo, appartenenti alla natura dei contenuti stessi. Esse sono sempre necessariamente correlate alle cinestesi del soggetto esperiente, dando vita al binomio con cui Husserl persegue le sue analisi, cioè “Cx-Ix”, dove la “I” sta per l’immagine a cui è collegata una aspecifica cinestesi “C”.
Questa correlazione non esclusiva permette un’associazione rigida tra l’intera estensione dei luoghi e il campo delle cinestesi generale grazie all’ ordinamento di entrata ed uscita dei dati dal campo visivo bidimensionale, permettendo a quest’ultimo di diventare un campo oggettuale tridimensionale e concedendo al soggetto esperiente la sicurezza di uno spazio nel quale sapere sempre aprioristicamente come muoversi. Qui troviamo un concetto di evidenza molto più forte di quello del Raumbuch, un’evidenza che può finalmente parlare di una infinita prosecuzione delle rette parallele in seno all’esperienza e la costituzione di un mondo stabile antifenomenistico.
Il nuovo concetto di evidenza collegato a quello di perceptio e dunque di relazione tra manifestazione autentica e inautentica permette di mantenere l’identità e realtà di un mondo anche quando esso si manifesta parzialmente, cioè prospetticamente, e così lo spazio che lo inscena. Lo strutturarsi stesso dell’apparire ci suggerisce la formulazione di postulati euclidei. Ricondurre dunque il concetto di spazio infinito alla costituzione delle cose nel campo visivo significa ricondurre la sua validità alla sua genesi nel mondo dell’esperienza. Approdato a queste considerazioni il terzo capitolo si apre con uno sguardo su Idee, dove vengono messi in evidenza: 1) gli effetti della Terza Ricerca in quanto l’a-priori materiale ci permette di pervenire a giudizi sintetici a priori fondati sulla natura del contenuto e 2) la dottrina della variazione eidetica che ci permette di isolare le condizioni essenziali della materialità di un ente.
La visione eidetica sullo spazio, basandosi sulla variazione a partire dall’individuo spaziale e dalle sue determinazioni geometriche, ci permette di vedere l’idea pura di spazio non come spazio astratto dai contenuti, bensì come spazio che si crea a partire dalla variazione dei contenuti stessi. La geometria comincia dunque a definirsi come eidetica spaziale, cioè come la definizione di ciò che è imprescindibile in ogni manifestazione di cosa trascendente. Da un punto di vista analitico, invece, lo spazio può definirsi solo in senso logico, solo dal sistema di leggi che definisce la teoria, ovvero lo spazio come forma categoriale. Dunque attraverso lo sguardo di Idee possiamo comprendere come la geometria sia una disciplina situata a cavallo tra formalità e materialità.
Le legalità materiali predeterminano le possibili idealizzazioni dei concetti geometrici: La geometria è dunque un sistema regolativo di tutte le possibili forme spaziali, non è quindi solo la forma di una teoria corretta, bensì un reticolato di leggi che modellano i corpi nella loro parte geometrica e determinano a priori le forme possibili. La cosa, difatti, come X identica trattiene su di sé la spazialità come sua parte regionale. Essa ha un’estensione come suo contenuto primario (“schema di cosa”) e un riempimento come suo contenuto secondario.
Continuando a esplorare questo suolo costitutivo stratificato ho trovato dei passaggi in più rispetto alla Dingvorlesung: il livello causale (dunque inserire la cosa all’interno di un mondo con altre cose), il livello somatico del corpo (per sventare gli attentati fisicalistici delle anomalie percettive) e il livello intersoggettivo, che nell’ottica di Krisis rimane in realtà quello primario. La normalità ci perviene infatti sia attraverso il confronto con le altre prospettive, sia attraverso la successiva presa di coscienza che il nostro sguardo sia relativo e che il mio Leib sia in realtà anche un corpo tra altri corpi: l’altro ci inserisce nel mondo.
Ciò che è soggettivo non riguarda più dunque solo quelle qualità secondarie, ma la relatività si gioca anche sul piano delle determinazioni geometriche laddove la forma stessa si dà al soggetto secondo manifestazioni prospettiche: l’ellisse può essere un cerchio. La premessa di questo accordo in uno sguardo soggettivo comune è l’appartenenza al medesimo sistema di luoghi, senza il quale non si potrebbe paragonare il mio qui al tuo lì. L’obiettività dello spazio euclideo passa attraverso lo scambio entropatico. Lo spazio puro diviene quindi l’obiettivazione della coscienza sociale.
Il primo capitolo si sofferma dunque sull’analisi della storia interna della geometria per come ci viene presentata nella III e nella II appendice al paragrafo 9 della Krisis, che successivamente viene preso in esame. Le questioni teoriche qui emerse sono quelle che riguardano il telos delle scienze, il loro stesso operare messo a confronto con il loro oggetto di studio, ovvero il “mondo della vita”. Risulta quindi indispensabile comprendere come rapportare il mondo delle idealità, come quello dei teoremi della scienza, a quello dell’esperienza da cui dovrebbero provenire, la Lebenswelt.
Ho dovuto dunque confrontarmi anche con la dimensione storica che l ultimo husserl mette in risalto, il suo concetto di a priori storico e di origine dell’oggetto scientifico che si veste man mano di un abito linguistico attraverso il processo di sedimentazione del senso il cui complementare è quello di ridestamento. Si deve dunque risalire attraverso un’indagine storica per ritrovare una struttura interna di senso che mostrerà quella Aeterna Veritas che ha sempre guidato unitariamente i geometri, indipendentemente dalla loro epoca storica.
Mi sono soffermata dunque sull’analisi del § 9 di Krisis, “La matematizzazione galileiana della natura, dove Husserl traccia un’indagine storica che miri a spiegare come mai da una scienza univoca come la geometria siamo finiti nel XX secolo ad avere più geometrie, in completo accordo con la sua denuncia di specializzazione di tutto il campo scientifico. Giù subito la geometria euclidea mi è apparsa come una disciplina di particolare interesse per il privilegio che Husserl le attribuisce, ovvero quello di poter ricavare da sé stessa l’interezza delle sue forme e delle sue leggi che trovano riscontro nel mondo della vita.
Di estrema rilevanza mi sono sembrati i concetti di plenum sensibile e di misurazione, poiché solamente ciò che è misurabile può subire una quantificazione e una successiva una formalizzazione. Ma che ne è del riempimento qualitativo di cui il nostro mondo della vita è gravido e che non cade sotto il processo di questa idealizzazione? Di grande impatto sono dunque le geometrie non euclidee poiché postulano l’esistenza di spazi n-dimensionali che sono preclusi alla nostra esperienza, e dunque a quell’immediatezza estetica dalla quale la fenomenologia trascendentale deve iniziale a descrivere.
Com’è possibile che una scienza che abbia di mira il mondo della vita arrivi a postulare l’idea che tra quest’ultimo e il soggetto conoscente vi sia uno iato incolmabile? Ho cercato dunque di comprendere cosa succede quando dall’univocità dell’oggetto della scienza essa si direziona verso il suo stesso metodo (formalizzazione, algebrizzazione) così come per Husserl accade nelle geometrie non euclidee, oggetto di accusa nella Krisis e sfondo culturale dello Husserl giovane che tenterà di dare una soluzione matematica al problema della spazialità attraverso Raumbuch, cioè quell’insieme di ricerche degli anni 90 sulla geometria e sullo spazio dove l’indagine fenomenologica mostra ancora i segni di una non completa maturazione e che doveva infatti essere il proseguo di Filosofia dell’aritmetica.
Partire dalla Krisis è stato importante anche perché significa impostare il problema dal termine dell’indagine fenomenologica per comprendere come ai prodromi stessi della fenomenologia sia insita la forma di un problema ricorrente. Nel secondo capitolo il problema di fondo rimane: abbiamo uno spazio euclideo, ma i nostri vissuti non ci danno una spazialità di questo tipo, anzi, isolatamente ci danno dei pezzi che dobbiamo ricollegare.
Si espone dunque il problema del V postulato di Euclide come problema storico-scientifico che apre la storia delle geometrie non euclidee e come in essa Husserl si introduca per comprendere se e quanto si possa studiare la geometria unicamente da un punto di vista matematico. Perché e come abbiamo l’evidenza che due rette protratte infinitamente non si incontreranno mai? Dov’è nel terreno originario questa evidenza?
Una volta appurato che l’algoritmo speciale non è in grado di tenere conto della natura della spazialità, si mostra la necessità di partire, sulla scorta delle analisi di Stumpf, dalla rappresentazione dello spazio, in quanto la figura possiede inevitabilmente qualcosa in più del numero, cioè plenum, il suo riempimento sensibile senza il quale non può manifestarsi. E tuttavia queste analisi rimangono all’interno del vissuto psicologico che si rifa all’ordine simbolico per poter tenere conto di uno spazio maggiore di quello che viene esperito all’interno del vissuto e che lo contiene come suo spazio più piccolo. Lo spazio diventa qui rappresentazione impropria per mezzo di segni, il contenuto immanente di cui ancora non si è tolta l’ombra dello psicologismo in non si mostra in grado di gestire il “plus” percettivo rispetto a ciò che viene effettivamente presentato.
Dagli esiti del Raumbuch comprendiamo che lo spazio può essere studiato solo attraverso lo strutturarsi di un reticolato mereologico intero-parte la cui struttura verrà più approfonditamente analizzata nella Terza Ricerca Logica, sulla quale il presente lavoro si sofferma. Questa ricerca ha creato un ponte tra gli anni 90 e il 1907, ovvero anno di pubblicazione de La cosa e lo spazio, dove attraverso una fenomenologia finalmente più matura e il concetto di “Perceptio”, Husserl analizza la costituzione della spazialità a partire non dal numero, ma dal campo visivo e dalle cinestesi del corpo vivo.
Lo spazio in quanto principio del manifestarsi che non si manifesta, può darsi esclusivamente attraverso la manifestazione di cosa. Lo spazio non è un dato di senso assoluto al pari di una qualità, ragion per cui, dall’ a-priori materiale scoperto nella Terza Ricerca, scopriamo che l’estensione non può darsi senza qualità, la geometria deve portarsi qualcosa dal mondo della vita. Entrambe, difatti, vengono determinate come momenti non indipendenti nella costituzione dell’intero-cosale.
L’insegnamento della Dingvorlesung è quello di farci comprendere come all’interno dell’analisi del campo prefenomenale stesso, si possano individuare delle legalità che non appartengono al funtore psichico, bensì all’oggetto stesso. La questione si modifica dunque dal dover comprendere come collegare i vissuti all’interno dei quali lo spazio si manifesta al dover comprendere le legalità del campo visivo, appartenenti alla natura dei contenuti stessi. Esse sono sempre necessariamente correlate alle cinestesi del soggetto esperiente, dando vita al binomio con cui Husserl persegue le sue analisi, cioè “Cx-Ix”, dove la “I” sta per l’immagine a cui è collegata una aspecifica cinestesi “C”.
Questa correlazione non esclusiva permette un’associazione rigida tra l’intera estensione dei luoghi e il campo delle cinestesi generale grazie all’ ordinamento di entrata ed uscita dei dati dal campo visivo bidimensionale, permettendo a quest’ultimo di diventare un campo oggettuale tridimensionale e concedendo al soggetto esperiente la sicurezza di uno spazio nel quale sapere sempre aprioristicamente come muoversi. Qui troviamo un concetto di evidenza molto più forte di quello del Raumbuch, un’evidenza che può finalmente parlare di una infinita prosecuzione delle rette parallele in seno all’esperienza e la costituzione di un mondo stabile antifenomenistico.
Il nuovo concetto di evidenza collegato a quello di perceptio e dunque di relazione tra manifestazione autentica e inautentica permette di mantenere l’identità e realtà di un mondo anche quando esso si manifesta parzialmente, cioè prospetticamente, e così lo spazio che lo inscena. Lo strutturarsi stesso dell’apparire ci suggerisce la formulazione di postulati euclidei. Ricondurre dunque il concetto di spazio infinito alla costituzione delle cose nel campo visivo significa ricondurre la sua validità alla sua genesi nel mondo dell’esperienza. Approdato a queste considerazioni il terzo capitolo si apre con uno sguardo su Idee, dove vengono messi in evidenza: 1) gli effetti della Terza Ricerca in quanto l’a-priori materiale ci permette di pervenire a giudizi sintetici a priori fondati sulla natura del contenuto e 2) la dottrina della variazione eidetica che ci permette di isolare le condizioni essenziali della materialità di un ente.
La visione eidetica sullo spazio, basandosi sulla variazione a partire dall’individuo spaziale e dalle sue determinazioni geometriche, ci permette di vedere l’idea pura di spazio non come spazio astratto dai contenuti, bensì come spazio che si crea a partire dalla variazione dei contenuti stessi. La geometria comincia dunque a definirsi come eidetica spaziale, cioè come la definizione di ciò che è imprescindibile in ogni manifestazione di cosa trascendente. Da un punto di vista analitico, invece, lo spazio può definirsi solo in senso logico, solo dal sistema di leggi che definisce la teoria, ovvero lo spazio come forma categoriale. Dunque attraverso lo sguardo di Idee possiamo comprendere come la geometria sia una disciplina situata a cavallo tra formalità e materialità.
Le legalità materiali predeterminano le possibili idealizzazioni dei concetti geometrici: La geometria è dunque un sistema regolativo di tutte le possibili forme spaziali, non è quindi solo la forma di una teoria corretta, bensì un reticolato di leggi che modellano i corpi nella loro parte geometrica e determinano a priori le forme possibili. La cosa, difatti, come X identica trattiene su di sé la spazialità come sua parte regionale. Essa ha un’estensione come suo contenuto primario (“schema di cosa”) e un riempimento come suo contenuto secondario.
Continuando a esplorare questo suolo costitutivo stratificato ho trovato dei passaggi in più rispetto alla Dingvorlesung: il livello causale (dunque inserire la cosa all’interno di un mondo con altre cose), il livello somatico del corpo (per sventare gli attentati fisicalistici delle anomalie percettive) e il livello intersoggettivo, che nell’ottica di Krisis rimane in realtà quello primario. La normalità ci perviene infatti sia attraverso il confronto con le altre prospettive, sia attraverso la successiva presa di coscienza che il nostro sguardo sia relativo e che il mio Leib sia in realtà anche un corpo tra altri corpi: l’altro ci inserisce nel mondo.
Ciò che è soggettivo non riguarda più dunque solo quelle qualità secondarie, ma la relatività si gioca anche sul piano delle determinazioni geometriche laddove la forma stessa si dà al soggetto secondo manifestazioni prospettiche: l’ellisse può essere un cerchio. La premessa di questo accordo in uno sguardo soggettivo comune è l’appartenenza al medesimo sistema di luoghi, senza il quale non si potrebbe paragonare il mio qui al tuo lì. L’obiettività dello spazio euclideo passa attraverso lo scambio entropatico. Lo spazio puro diviene quindi l’obiettivazione della coscienza sociale.
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