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Archivio digitale delle tesi discusse presso l’Università di Pisa

Tesi etd-10162025-111907


Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale
Autore
SALVETTI, ELISA
URN
etd-10162025-111907
Titolo
Vite sotto vetro. Biopolitica, distopia e il corpo sorvegliato
Dipartimento
CIVILTA' E FORME DEL SAPERE
Corso di studi
STORIA E CIVILTÀ
Relatori
relatore Prof. Banti, Alberto Mario
correlatore Prof. Capocci, Mauro
Parole chiave
  • aborto
  • biopolítica
  • distopia
  • riproduzione
  • serie tv
  • sorveglianza
Data inizio appello
07/11/2025
Consultabilità
Non consultabile
Data di rilascio
07/11/2028
Riassunto
La tesi esplora il tema del controllo biologico nelle narrazioni distopiche contemporanee, analizzando come la gestione della vita e del corpo diventi strumento di potere nelle società immaginate e, per riflesso, nel nostro presente. Attraverso un approccio interdisciplinare che intreccia teoria, letteratura, cinema e serialità televisiva, il lavoro indaga le connessioni tra biopolitica, tecnologia e sorveglianza, mettendo in dialogo i concetti di biopotere e governamentalità elaborati da Michel Foucault con le rappresentazioni distopiche dal Novecento a oggi.
La prima parte ricostruisce la genealogia del genere distopico, dalle radici utopiche di Thomas More alle degenerazioni totalitarie raccontate da Zamjatin, Huxley e Orwell, mostrando come l’utopia del progresso finisca per rovesciarsi nel suo opposto: un mondo in cui la razionalità si trasforma in strumento di dominio e la scienza, anziché liberare, diventa mezzo di assoggettamento. Parallelamente, viene approfondito il rapporto tra biopotere e sorveglianza, per evidenziare come la distopia rappresenti in forma amplificata i meccanismi reali di controllo esercitati sui corpi. Dalla manipolazione genetica al monitoraggio digitale, il potere si insinua negli spazi più intimi dell’esistenza, trasformando la vita biologica in oggetto di governo. La tecnologia, in questa prospettiva, non è più solo mezzo di progresso, ma infrastruttura di disciplinamento e conformismo.
La seconda parte analizza narrazioni letterarie e audiovisive che mettono in scena la tensione tra controllo e identità, mostrando come la sorveglianza, da pratica esterna e autoritaria, si sia trasformata in esperienza quotidiana interiorizzata dagli individui stessi. Queste rappresentazioni descrivono società in cui il corpo, costantemente monitorato e regolato, diventa il principale strumento di riconoscimento e disciplina. La tecnologia si fonde con la dimensione biologica, dando vita a una forma di controllo invisibile ma capillare, che plasma comportamenti, desideri ed emozioni. In tale contesto, l’essere umano perde progressivamente la propria autonomia, riducendosi a ingranaggio di un sistema che pretende efficienza, conformità e trasparenza.
Un’attenzione specifica è dedicata al controllo del corpo femminile, concepito come fondamento simbolico e materiale del potere distopico. Le opere considerate mostrano come la gestione della fertilità, della maternità e della sessualità diventi un dispositivo biopolitico di governo, capace di ridefinire l’identità femminile attraverso il linguaggio della colpa, della funzione riproduttiva e del dovere sociale. La distopia assume così una valenza femminista, rivelando come il corpo della donna sia il terreno su cui si giocano le tensioni tra dominio e autodeterminazione, ma anche il luogo potenziale di una resistenza che nasce dal recupero della soggettività e del diritto alla scelta.
Il lavoro affronta poi il tema del capitalismo della sorveglianza, in cui la logica del controllo si sposta dal corpo fisico al dato digitale. In queste società immaginate, ogni gesto, emozione o pensiero viene registrato, misurato e interpretato in funzione della produttività e del consenso. La promessa di una trasparenza totale, apparentemente sinonimo di democrazia e sicurezza, si rivela invece una nuova forma di assoggettamento che annulla la privacy e trasforma la libertà in partecipazione obbligata. La distopia contemporanea mette così in luce la continuità tra potere politico ed economico, mostrando come la persuasione e l’adesione volontaria sostituiscano la coercizione, e come il controllo più efficace sia quello che si maschera da scelta personale.
Un ulteriore nucleo tematico è dedicato alle forme di resistenza che emergono all’interno dei mondi distopici. Anche negli scenari più oppressivi, le narrazioni lasciano intravedere spazi di libertà, piccole incrinature nel sistema di controllo che rivelano la persistenza dell’umano. La solidarietà, la memoria, l’affettività e la cultura diventano strumenti di opposizione all’omologazione e alla perdita di identità. La ribellione non si manifesta necessariamente attraverso gesti grandiosi o rivoluzioni collettive, ma spesso attraverso atti minimi, personali, capaci di riaffermare la dignità e l’autonomia del soggetto. La speranza, in questo contesto, non è più utopia ingenua, ma consapevolezza critica: la convinzione che la sopravvivenza dell’umano dipenda dalla capacità di immaginare alternative al presente.
La distopia contemporanea si configura dunque come strumento di riflessione sul reale, più che come rappresentazione del peggiore dei mondi possibili. Analizzare il controllo biologico e tecnologico in queste opere significa interrogarsi sulle derive della nostra civiltà, sui limiti etici dell’innovazione e sulla fragilità delle libertà individuali. Nello specchio deformante delle distopie si riflettono le contraddizioni del mondo contemporaneo: la riduzione della vita a dato, l’erosione della privacy e la mercificazione dei corpi e delle emozioni. Tuttavia, proprio nella denuncia di tali pericoli, queste narrazioni custodiscono una promessa di speranza: quella di un’umanità capace di resistere alla disumanizzazione attraverso la memoria, la solidarietà e l’immaginazione.
In questa prospettiva, la distopia continua a svolgere una funzione essenziale: avverte, riflette e resiste. È il linguaggio con cui il presente interroga se stesso, ricordando che anche nei futuri più oscuri sopravvive la possibilità del cambiamento.

This thesis explores the theme of biological control in contemporary dystopian narratives, examining how the management of life and the body becomes a tool of power within imagined societies and, by reflection, within our present reality. Through an interdisciplinary approach combining theory, literature, cinema, and television studies, the research investigates the connections between biopolitics, technology, and surveillance, putting Michel Foucault’s concepts of biopower and governmentality in dialogue with dystopian representations from the twentieth century to the present.
The first part reconstructs the genealogy of the dystopian genre, from Thomas More’s utopian origins to the totalitarian degenerations portrayed by Zamjatin, Huxley, and Orwell, showing how the utopia of progress turns into its opposite: a world where rationality becomes an instrument of domination and science, rather than liberating, becomes a means of subjugation. At the same time, it explores the relationship between biopower and surveillance, illustrating how dystopia magnifies the real mechanisms of control exerted over bodies. From genetic manipulation to digital monitoring, power infiltrates the most intimate spaces of existence, transforming biological life into an object of governance. In this view, technology is no longer merely a vehicle of progress but an infrastructure of discipline and conformity.
The second part examines a series of literary and audiovisual narratives that portray the tension between control and identity, showing how surveillance, once external and authoritarian, has become an internalized and everyday experience. These representations depict societies where the body, constantly monitored and regulated, becomes the main instrument of recognition and discipline. Technology merges with the biological sphere, creating an invisible yet pervasive form of control that shapes behavior, desires, and emotions. Within such systems, human beings progressively lose autonomy, reduced to components of a mechanism demanding efficiency, conformity, and transparency.
Particular attention is given to the control of the female body, conceived as both the symbolic and material foundation of dystopian power. The works analyzed reveal how the regulation of fertility, maternity, and sexuality functions as a biopolitical mechanism of governance, redefining female identity through discourses of guilt, reproduction, and social duty. In this sense, dystopia acquires a feminist dimension, exposing how the female body becomes the site of conflict between domination and self-determination, yet also a potential space of resistance through the reclaiming of subjectivity and bodily autonomy.
The study then addresses the issue of surveillance capitalism, where the logic of control shifts from the physical body to digital data. In these imagined societies, every gesture, emotion, and thought is recorded, quantified, and interpreted in service of productivity and consensus. The promise of total transparency—apparently synonymous with democracy and safety—reveals itself as a new form of subjugation that erases privacy and transforms freedom into compulsory participation. Contemporary dystopias thus expose the continuity between political and economic power, showing how persuasion and voluntary adherence replace coercion, and how the most effective control is that which disguises itself as free choice.
Another thematic focus concerns the forms of resistance emerging within dystopian worlds. Even in the most oppressive contexts, these narratives open spaces of freedom—small fractures within systems of control that reveal the persistence of the human. Solidarity, memory, affection, and culture become tools of opposition against homogenization and the loss of identity. Rebellion rarely takes the form of grand revolutions; rather, it often manifests through small, personal acts that reaffirm dignity and autonomy. Hope, in this context, is no longer a naïve utopia but a critical awareness—the belief that the survival of the human depends on the capacity to imagine alternatives to the present.
Contemporary dystopia thus serves as a critical mirror of reality, not merely a portrayal of the worst possible world. Examining biological and technological control in these works means questioning the ethical limits of innovation and the fragility of individual freedom. In the distorted mirror of dystopian imagination, the contradictions of modernity emerge clearly: life reduced to data, privacy eroded, bodies and emotions commodified. Yet, even while exposing these dangers, dystopian narratives preserve a promise of hope—the endurance of humanity that resists dehumanization through memory, solidarity, and imagination.
From this perspective, dystopia continues to play a vital role: it warns, reflects, and resists. It is the language through which the present questions itself, reminding us that even in the darkest futures, the possibility of change endures.
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