Thesis etd-10152021-084503 |
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Thesis type
Tesi di specializzazione (5 anni)
Author
CITI, EMANUELE
URN
etd-10152021-084503
Thesis title
La relazione tra acido urico e trigliceridi nel rischio di mortalita cardiovascolare e per tutte le cause: un'analisi dello studio URRAH
Department
MEDICINA CLINICA E SPERIMENTALE
Course of study
MEDICINA INTERNA
Supervisors
relatore Prof. Virdis, Agostino
Keywords
- acido urico
- inflammosoma
- mortalità
- NLRP3
- rischio cardiovascolare
- trigliceridi
Graduation session start date
03/11/2021
Availability
Withheld
Release date
03/11/2024
Summary
Le patologie cardiovascolari sono una delle principali cause di mortalità al mondo, in particolare nei paesi occidentali, dove l’età media in aumento, così come le malattie croniche, tendono ad aumentare la morbilità cardiovascolare appesantendo i sistemi sanitari nazionali. Un’accurata stratificazione del rischio è pertanto necessaria.
Diversi studi hanno indicato l’acido urico come determinante indipendente del rischio cardiovascolare, anche se non viene attualmente considerato dalle linee guida internazionali: rimane da chiarire il valore soglia di uricemia da cui si osservi un incremento del rischio cardiovascolare e se questo cut-off sia o meno in linea con il valore soglia di riferimento per iperuricemia attualmente utilizzato.
Ulteriore dato da chiarire è se il trattamento dei valori di uricemia sia seguito da un’effettiva riduzione del rischio cardiovascolare.
In quest’ottica, lo studio URRAH ha confermato che alti livelli di uricemia correlano indipendentemente con l’aumento della mortalità cardiovascolare, dimostrando anche che livelli di acido urico più bassi dei tradizionali valori soglia costituiscono un fattore di rischio indipendente.
Attualmente altro importante fattore predittivo di rischio cardiovascolare è rappresentato dal profilo lipidico, in particolare dal’analisi dei livelli di colesterolo LDL (c-LDL), colesterolo HDL (c-HDL) e del rapporto tra trigliceridi e c-HDL. Nonostante venga usualmente dosata, la trigliceridemia ha fin ora rappresentato un indicatore marginale del rischio cardiovascolare globale del paziente, sebbene le evidenze suggeriscano possa rappresentare un fattore di rischio indipendente del rischio cardiovascolare.
Ci sono dati che metterebbero in relazione acido urico e trigliceridemia, in particolare nei pazienti con sindrome metabolica. Nei pazienti con sindrome metabolica, caratterizzati da un pattern lipidico ad alta trigliceridemia, si è visto aumentare il rischio di iperucemia: viceversa alti livelli di acido urico correlerebbero con la presenza di sindrome metabolica. In maniera speculare i valori di uricemia aiutano a definire meglio il rischio cardiovascolare in pazienti con sindrome metabolica.
Dal punto di vista fisiopatologico si deve ricordare come si ormai assodato che la meta-infiammazione, intesa con infiammazione di basso grado, sia determinante nello sviluppo di alterazioni metaboliche e di aterosclerosi, partecipando allo sviluppo di obesità, diabete di tipo 2, sindrome metabolica e concorrendo all’incremento del rischio cardiovascolare. All’origine di questo fenomeno ci sarebbero complessi multiproteici, chiamati inflammosomi, come ad esempio l’inflammosoma NLRP3: questi complessi, regolati a loro volta da diversi mediatori esogeni ed endogeni, come urato e trigliceridi, sarebbero alla base della produzione dei mediatori che sostengono l’infiammazione.
Questo lavoro si è posto l’obiettivo di rivalutare l’impatto che uricemia e trigliceridemia possano avere sinergicamente sul rischio cardiovascolare. Si è cercato inoltre di caratterizzare il contribuito dell’uricemia alla meta-infiammazione, cercando di correlare i dati raccolti al meccanismo fisiopatologico.
Abbiamo reclutato, in uno studio di coorte retrospettivo osservazionale multicentrico, dati su 27078 soggetti raccolti da ambulatori cardio-metabolici distribuitici ubiquitariamente sul territorio italiano: i valori di acido urico e trigliceridi sono stati raccolti nella totalità dei soggetti, i dati a riguardo della mortalità al follow up su 21938 pazienti e i dati sui valori di PCR ultrasensibile e di velocità di eritrosedimentazione (VES) rispettivamente su 3844 e 680 pazienti.
Il follow up mediano è stato di 139 mesi.
Includendo trigliceridi e acido urico nello stesso modello di analisi multivariata abbiamo dimostrato come siano entrambi fattori indipendenti di mortalità cardiovascolare.
È stata quindi eseguita una stratificazione della popolazione suddividendo i pazienti in tre categorie (basso, intermedio ed alto rischio), riferibili a soggetti con normali livelli di trigliceridemia ed uricemia per la categoria basso rischio, a soggetti con ipertrigliceridemia e normali valori di acido urico o con iperuricemia e normali valori di trigliceridi per la categoria a rischio intermedio e a soggetti con ipertrigliceridemia e iperuricemia per la categoria alto rischio. Dall’analisi dei dati si è osservato come vi sia un progressivo incremento della mortalità passando dalla categoria basso rischio a quella ad intermedio ed alto rischio.
Dati contrastanti sono emersi dalla correlazione coi markers infiammatori: verosimilmente, essendo i dati raccolti numericamente bassi rispetto al campione totale, i risultati sono risultati insufficienti ai fini di un’analisi significativa.
In conclusione, considerando la relativa facilità nel dosare le due componenti ematiche e i bassi costi che questo comporta, i nostri risultati supportano l’inclusione sia di trigliceridi che di acido urico in modelli di stratificazione del rischio cardiovascolare.
In prospettiva futura, in relazione ai risultati ottenuti, proseguiremo le nostre analisi producendo uno score utile ai fine di ottimizzare il rischio cardiovascolare; è auspicabile inoltre l’esecuzione di studi mirati con l’obiettivo di chiarire il ruolo dell’infiammazione nel rischio cardiovascolare mediato da acido urico e trigliceridi.
Diversi studi hanno indicato l’acido urico come determinante indipendente del rischio cardiovascolare, anche se non viene attualmente considerato dalle linee guida internazionali: rimane da chiarire il valore soglia di uricemia da cui si osservi un incremento del rischio cardiovascolare e se questo cut-off sia o meno in linea con il valore soglia di riferimento per iperuricemia attualmente utilizzato.
Ulteriore dato da chiarire è se il trattamento dei valori di uricemia sia seguito da un’effettiva riduzione del rischio cardiovascolare.
In quest’ottica, lo studio URRAH ha confermato che alti livelli di uricemia correlano indipendentemente con l’aumento della mortalità cardiovascolare, dimostrando anche che livelli di acido urico più bassi dei tradizionali valori soglia costituiscono un fattore di rischio indipendente.
Attualmente altro importante fattore predittivo di rischio cardiovascolare è rappresentato dal profilo lipidico, in particolare dal’analisi dei livelli di colesterolo LDL (c-LDL), colesterolo HDL (c-HDL) e del rapporto tra trigliceridi e c-HDL. Nonostante venga usualmente dosata, la trigliceridemia ha fin ora rappresentato un indicatore marginale del rischio cardiovascolare globale del paziente, sebbene le evidenze suggeriscano possa rappresentare un fattore di rischio indipendente del rischio cardiovascolare.
Ci sono dati che metterebbero in relazione acido urico e trigliceridemia, in particolare nei pazienti con sindrome metabolica. Nei pazienti con sindrome metabolica, caratterizzati da un pattern lipidico ad alta trigliceridemia, si è visto aumentare il rischio di iperucemia: viceversa alti livelli di acido urico correlerebbero con la presenza di sindrome metabolica. In maniera speculare i valori di uricemia aiutano a definire meglio il rischio cardiovascolare in pazienti con sindrome metabolica.
Dal punto di vista fisiopatologico si deve ricordare come si ormai assodato che la meta-infiammazione, intesa con infiammazione di basso grado, sia determinante nello sviluppo di alterazioni metaboliche e di aterosclerosi, partecipando allo sviluppo di obesità, diabete di tipo 2, sindrome metabolica e concorrendo all’incremento del rischio cardiovascolare. All’origine di questo fenomeno ci sarebbero complessi multiproteici, chiamati inflammosomi, come ad esempio l’inflammosoma NLRP3: questi complessi, regolati a loro volta da diversi mediatori esogeni ed endogeni, come urato e trigliceridi, sarebbero alla base della produzione dei mediatori che sostengono l’infiammazione.
Questo lavoro si è posto l’obiettivo di rivalutare l’impatto che uricemia e trigliceridemia possano avere sinergicamente sul rischio cardiovascolare. Si è cercato inoltre di caratterizzare il contribuito dell’uricemia alla meta-infiammazione, cercando di correlare i dati raccolti al meccanismo fisiopatologico.
Abbiamo reclutato, in uno studio di coorte retrospettivo osservazionale multicentrico, dati su 27078 soggetti raccolti da ambulatori cardio-metabolici distribuitici ubiquitariamente sul territorio italiano: i valori di acido urico e trigliceridi sono stati raccolti nella totalità dei soggetti, i dati a riguardo della mortalità al follow up su 21938 pazienti e i dati sui valori di PCR ultrasensibile e di velocità di eritrosedimentazione (VES) rispettivamente su 3844 e 680 pazienti.
Il follow up mediano è stato di 139 mesi.
Includendo trigliceridi e acido urico nello stesso modello di analisi multivariata abbiamo dimostrato come siano entrambi fattori indipendenti di mortalità cardiovascolare.
È stata quindi eseguita una stratificazione della popolazione suddividendo i pazienti in tre categorie (basso, intermedio ed alto rischio), riferibili a soggetti con normali livelli di trigliceridemia ed uricemia per la categoria basso rischio, a soggetti con ipertrigliceridemia e normali valori di acido urico o con iperuricemia e normali valori di trigliceridi per la categoria a rischio intermedio e a soggetti con ipertrigliceridemia e iperuricemia per la categoria alto rischio. Dall’analisi dei dati si è osservato come vi sia un progressivo incremento della mortalità passando dalla categoria basso rischio a quella ad intermedio ed alto rischio.
Dati contrastanti sono emersi dalla correlazione coi markers infiammatori: verosimilmente, essendo i dati raccolti numericamente bassi rispetto al campione totale, i risultati sono risultati insufficienti ai fini di un’analisi significativa.
In conclusione, considerando la relativa facilità nel dosare le due componenti ematiche e i bassi costi che questo comporta, i nostri risultati supportano l’inclusione sia di trigliceridi che di acido urico in modelli di stratificazione del rischio cardiovascolare.
In prospettiva futura, in relazione ai risultati ottenuti, proseguiremo le nostre analisi producendo uno score utile ai fine di ottimizzare il rischio cardiovascolare; è auspicabile inoltre l’esecuzione di studi mirati con l’obiettivo di chiarire il ruolo dell’infiammazione nel rischio cardiovascolare mediato da acido urico e trigliceridi.
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