Tesi etd-10142024-113455 |
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Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale
Autore
MARCHESE, LUDOVICA
URN
etd-10142024-113455
Titolo
Le Sale del Capitolo di Niccolò di Pietro Gerini
Dipartimento
CIVILTA' E FORME DEL SAPERE
Corso di studi
STORIA E FORME DELLE ARTI VISIVE, DELLO SPETTACOLO E DEI NUOVI MEDIA
Relatori
relatore Prof. Farinella, Vincenzo
correlatore Prof. Palozzi, Luca
correlatore Prof. Palozzi, Luca
Parole chiave
- Niccolò di Pietro Gerini
Data inizio appello
08/11/2024
Consultabilità
Non consultabile
Data di rilascio
08/11/2094
Riassunto
Alla base di questo studio vi è lo scopo di offrire un’analisi delle opere realizzate dall’artista fiorentino Niccolò di Pietro Gerini, attivo in Toscana dalla seconda metà del Trecento fino al 1415, anno in cui viene datata la sua morte. La motivazione che mi ha portata alla realizzazione di questo elaborato è la scarsa presenza di studi inerenti alla vita e alle opere di Gerini, ma anche la volontà di mettere in discussione ciò che fino ad oggi è stato scritto su questo artista.
In particolare, il mio studio si è concentrato sulla realizzazione degli affreschi delle Sale Capitolari di Pisa, Firenze e Prato. È stata condotta quindi un’indagine in loco per analizzare gli affreschi di Niccolò di Pietro Gerini, con l’aiuto di importanti testi e documenti di archivio. Inoltre, di notevole interesse sono stati i numerosi documenti trovati presso la Soprintendenza di Belle Arti di Pisa, dove è stata eseguita un’approfondita lettura sui lavori di restauro che interessano, ormai dagli inizi del Novecento, la Chiesa di San Francesco a Pisa e la Sala del Capitolo di San Bonaventura.
Per stilare un’attenta analisi sugli affreschi delle Sale Capitolari, è necessario introdurre l’artista Niccolò di Pietro Gerini analizzando il giudizio di importanti storici dell’arte, quali Frederick Antal, Miklòs Boskovits, Luciano Bellosi e Richard Offner. Da questi si è giunti a raccogliere un parere unanime: la grande quantità di opere commissionate al Gerini nel corso della sua vita lo rendono uno degli artisti più affermati del suo tempo; la committenza faceva parte – per la maggior parte dei casi – della classe “popolare”. Infatti, i lavori di questo artista si concentrano maggiormente all’interno delle chiese francescane, come San Francesco a Prato, San Francesco a Pisa e la Basilica di Santa Croce a Firenze. Sebbene il suo stile si possa definire “giottesco”, persiste nelle sue opere la rigidità e la bidimensionalità delle figure, rimanendo ancorato in maniera “patetica” ad uno stile ormai passato e che, alla fine del Trecento, sta cercando di evolversi. Come emerge nel capitolo II, Niccolò di Pietro Gerini proviene da una scuola di eredità giottesca, a cui appartenevano anche altri artisti fiorentini come Taddeo Gaddi (1290-1366) e Andrea di Cione (detto l’Orcagna) (1308-1366), che furono suoi maestri. In particolare, Gerini collaborerà molto con il fratello dell’Orcagna, Jacopo di Cione, ma anche con altri artisti noti di quel periodo: Pietro Nelli, Spinello Aretino, Ambrogio di Baldese e Lorenzo di Niccolò, suo figlio.
La prima testimonianza biografica di Niccolò di Pietro Gerini risale al 1366, quando viene documentata la decorazione di una volta nella sala del Palazzo del Proconsolo – oggi non più esistente – realizzata per mano di Jacopo di Cione e di Niccolò “cofanerio”. Ulteriore testimonianza è quella del 1368, quando Gerini si iscrive all’Arte dei Medici e degli Speziali. Successivamente a queste datazioni la sua presenza nel panorama artistico si fa sempre più fitta, arrivando a ricevere numerosissime commissioni, nelle quali spesso lascia anche la sua firma e l’anno di esecuzione. Questo dettaglio non è da trascurare, in quanto non era ancora usuale tra gli artisti della fine del Trecento sottoscrivere le proprie opere. Inoltre, un’altra peculiarità di Gerini sta anche nelle numerose testimonianze che egli lascia nei carteggi con i suoi committenti, come ad esempio con il mercante pratese Francesco di Marco Datini. In queste lettere emerge anche la personalità dell’artista, che farà capire di essere molto sicuro di sé elogiando la qualità delle sue opere, alcune ritenendole persino eseguite meglio di come avrebbe fatto Giotto.
Le Sale Capitolari prese in esame sono quelle della Chiesa di Santa Felicita di Firenze, realizzata da Gerini nel 1387; della Chiesa di San Francesco a Pisa, risalente al 1392 e della Chiesa di San Francesco a Prato, nel 1396. A causa dei numerosi problemi legati all’umidità, gli affreschi di Firenze e di Pisa sono ad oggi poco leggibili, ma legati alle scene della Passione di Cristo. Nella Sala del Capitolo del capoluogo toscano sono rimasti solo gli affreschi raffiguranti la Crocifissione e i tondi del soffitto raffiguranti le Virtù teologali e cardinali e Cristo Verbo Benedicente. A Pisa, invece, rimangono ben visibili la maggior parte degli affreschi che, nel corso degli anni, hanno subito numerosi restauri. La Sala di Pisa è dedicata a San Bonaventura da Bagnoregio (1247-1274), in quanto fu proprio lui che in questo ambiente tenne il Capitolo Generale dell’Ordine nel 1263, recitando per la prima volta l’Angelus Domini.
Diversamente accade nella Sala del Capitolo della Chiesa di San Francesco a Prato, denominata Cappella de’ Migliorati, dove gli affreschi sono ben conservati e raffigurano le Storie di San Matteo, le Store di Sant’Antonio Abate, la Crocifissione e Santi. Tuttavia, le scene raffiguranti Sant’Antonio Abate e i Santi rappresentati nella controfacciata sono stati in parte coperti a causa della successiva costruzione del campanile a vela, avvenuta nel 1793, all’interno della sala capitolare.
In particolare, il mio studio si è concentrato sulla realizzazione degli affreschi delle Sale Capitolari di Pisa, Firenze e Prato. È stata condotta quindi un’indagine in loco per analizzare gli affreschi di Niccolò di Pietro Gerini, con l’aiuto di importanti testi e documenti di archivio. Inoltre, di notevole interesse sono stati i numerosi documenti trovati presso la Soprintendenza di Belle Arti di Pisa, dove è stata eseguita un’approfondita lettura sui lavori di restauro che interessano, ormai dagli inizi del Novecento, la Chiesa di San Francesco a Pisa e la Sala del Capitolo di San Bonaventura.
Per stilare un’attenta analisi sugli affreschi delle Sale Capitolari, è necessario introdurre l’artista Niccolò di Pietro Gerini analizzando il giudizio di importanti storici dell’arte, quali Frederick Antal, Miklòs Boskovits, Luciano Bellosi e Richard Offner. Da questi si è giunti a raccogliere un parere unanime: la grande quantità di opere commissionate al Gerini nel corso della sua vita lo rendono uno degli artisti più affermati del suo tempo; la committenza faceva parte – per la maggior parte dei casi – della classe “popolare”. Infatti, i lavori di questo artista si concentrano maggiormente all’interno delle chiese francescane, come San Francesco a Prato, San Francesco a Pisa e la Basilica di Santa Croce a Firenze. Sebbene il suo stile si possa definire “giottesco”, persiste nelle sue opere la rigidità e la bidimensionalità delle figure, rimanendo ancorato in maniera “patetica” ad uno stile ormai passato e che, alla fine del Trecento, sta cercando di evolversi. Come emerge nel capitolo II, Niccolò di Pietro Gerini proviene da una scuola di eredità giottesca, a cui appartenevano anche altri artisti fiorentini come Taddeo Gaddi (1290-1366) e Andrea di Cione (detto l’Orcagna) (1308-1366), che furono suoi maestri. In particolare, Gerini collaborerà molto con il fratello dell’Orcagna, Jacopo di Cione, ma anche con altri artisti noti di quel periodo: Pietro Nelli, Spinello Aretino, Ambrogio di Baldese e Lorenzo di Niccolò, suo figlio.
La prima testimonianza biografica di Niccolò di Pietro Gerini risale al 1366, quando viene documentata la decorazione di una volta nella sala del Palazzo del Proconsolo – oggi non più esistente – realizzata per mano di Jacopo di Cione e di Niccolò “cofanerio”. Ulteriore testimonianza è quella del 1368, quando Gerini si iscrive all’Arte dei Medici e degli Speziali. Successivamente a queste datazioni la sua presenza nel panorama artistico si fa sempre più fitta, arrivando a ricevere numerosissime commissioni, nelle quali spesso lascia anche la sua firma e l’anno di esecuzione. Questo dettaglio non è da trascurare, in quanto non era ancora usuale tra gli artisti della fine del Trecento sottoscrivere le proprie opere. Inoltre, un’altra peculiarità di Gerini sta anche nelle numerose testimonianze che egli lascia nei carteggi con i suoi committenti, come ad esempio con il mercante pratese Francesco di Marco Datini. In queste lettere emerge anche la personalità dell’artista, che farà capire di essere molto sicuro di sé elogiando la qualità delle sue opere, alcune ritenendole persino eseguite meglio di come avrebbe fatto Giotto.
Le Sale Capitolari prese in esame sono quelle della Chiesa di Santa Felicita di Firenze, realizzata da Gerini nel 1387; della Chiesa di San Francesco a Pisa, risalente al 1392 e della Chiesa di San Francesco a Prato, nel 1396. A causa dei numerosi problemi legati all’umidità, gli affreschi di Firenze e di Pisa sono ad oggi poco leggibili, ma legati alle scene della Passione di Cristo. Nella Sala del Capitolo del capoluogo toscano sono rimasti solo gli affreschi raffiguranti la Crocifissione e i tondi del soffitto raffiguranti le Virtù teologali e cardinali e Cristo Verbo Benedicente. A Pisa, invece, rimangono ben visibili la maggior parte degli affreschi che, nel corso degli anni, hanno subito numerosi restauri. La Sala di Pisa è dedicata a San Bonaventura da Bagnoregio (1247-1274), in quanto fu proprio lui che in questo ambiente tenne il Capitolo Generale dell’Ordine nel 1263, recitando per la prima volta l’Angelus Domini.
Diversamente accade nella Sala del Capitolo della Chiesa di San Francesco a Prato, denominata Cappella de’ Migliorati, dove gli affreschi sono ben conservati e raffigurano le Storie di San Matteo, le Store di Sant’Antonio Abate, la Crocifissione e Santi. Tuttavia, le scene raffiguranti Sant’Antonio Abate e i Santi rappresentati nella controfacciata sono stati in parte coperti a causa della successiva costruzione del campanile a vela, avvenuta nel 1793, all’interno della sala capitolare.
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