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Archivio digitale delle tesi discusse presso l'Università di Pisa

Tesi etd-10072013-114817


Tipo di tesi
Tesi di dottorato di ricerca
Autore
BOLOGNESI, PIA
URN
etd-10072013-114817
Titolo
The Shape Of Things to Come. Aldo Tambellini The Electromedia Project (1959-1969)
Settore scientifico disciplinare
L-ART/06
Corso di studi
STORIA, ORIENTALISTICA E STORIA ARTI
Relatori
tutor Prof.ssa Lischi, Alessandra
Parole chiave
  • Videoarte
  • Mixed Media
  • Performance Art
  • Intermedia Art
  • Espressionismo Astratto
  • Cinema Sperimentale
  • Arte Americana
  • Aldo Tambellini
Data inizio appello
06/12/2013
Consultabilità
Parziale
Data di rilascio
06/12/2024
Riassunto
A più di cinquant’anni dalla sua comparsa, la storia del progetto Electromedia (1962-1969) si attesta come il raccordo sulla trasversalità degli sguardi che hanno caratterizzato alcune tra le più significative esperienze artistiche degli anni Sessanta. Concepita da Aldo Tambellini come l’unione organica di pittura, scultura, installazione, arte cinetica e performance, questa opera in divenire sintetizza le proprietà di trasformazione dei linguaggi visivi, nati dall’eredità dell’espressionismo americano e approdati alle primigenee esperienze di Intermedia ed Expanded Cinema. Esempio rimasto nel corso degli anni escluso dall’antologizzazione critica delle pratiche multimediali nella seconda avanguardia statunitense, il progetto Electromedia ci appare oggi come un satellite che esplora lo spazio a limine delle contaminazioni disciplinari tra il film sperimentale, il video d’artista, le tecniche di pittura in azione, la sinestesia intermediale, travalicando, in ogni sua attestazione, la definizione di genere e prassi.
Tentare di circoscriverne la forma, rintracciarne lo sviluppo e portarne alla luce gli elementi costitutivi, ha segnato un percorso di ricerca che ha permesso di confrontare i processi di annullamento della separazione fra arte e vita con l’analisi culturale del favorevole contesto socioeconomico che ha determinato gli albori di questo rinnovamento. Partendo da una fortunata scoperta, con la ricostituzione integrale dell’archivio dell’autore, avvenuta nel 2001, è emerso un corpus di opere che ha indicato una revisione analitica ed una possibile rilettura del lavoro multimediale dell’artista di Syracuse. Sotto questa lente, è stato affrontato il progetto iniziato da Tambellini nel 1959 con l’abbandono del figurativismo, e giunto nel corso di un decennio alla multiproiezione e all’installazione dell’immagine elettronica. Verificandone i moduli linguistici e le scelte produttive attraverso l’analisi inedita del materiale privato, i processi di sistematizzazione storiografica hanno portato in evidenza una tendenza dialogica verso le espressioni in bilico tra le correnti teoriche postminimaliste, le derivazioni dell’Happening e dell’Environment di Fluxus, l’Intermedia teorizzata da Dick Higgins, l’approccio della corrente concettuale all’impianto espositivo, e la riformulazione esperienziale del ruolo dello spettatore nella Performance Art (§ II.1, II.2, II.4).
Abbiamo iniziato questa ricognizione sull’opera Electromedia, ponendoci di fronte a qualcosa di sconosciuto e “non classificabile”. Il titolo, The Shape of Things to Come, riflette questa disposizione, rintracciando nell’interdisciplinarità dei supporti visivi un’autonomia della forma che influenzerà sia il percorso dell’artista – il ricorso iconografico al cerchio, il nero come unica colorazione, l’attenzione verso i sistemi di comunicazione –, sia lo stile di quel magmatico territorio di confine tra azioni performative ed esperienze multimediali, veicolato da quella che possiamo definire come una collisione transmediale, ossia un momento di propizia confluenza tra tecnologia, arti del tempo ed arti dello spazio. La questione che si pone in questa lettura è stabilire in che modo gli elementi che costruiscono il progetto Electromedia – il supporto fotografico, il film dipinto e astratto, la scultura elettronica, le pratiche time-based –, entrino a far parte dell’opera strutturata, e siano al contempo identificativi di una pratica autoriale.
Basandoci su un’analisi inizialmente compilativa che ha portato a definire la contestualizzazione storica ed il percorso di approfondimento sui moduli tematici presi in esame, siamo giunti ad una visione sintattica del progetto Electromedia, inteso proprio come la tramutazione degli elementi osservati in un sistema di dispositivi autodeterminanti.
Nella prima fase della ricerca, concluso lo studio delle opere e lo spoglio della documentazione depositata nell’Archivio Tambellini (Cambridge), ci siamo confrontati con una considerazione strutturale: ciò che differenzia questo archivio da altri che conservano una varietà affine di materiale (i cataloghi di privati e istituzioni conservati presso Fales e Tamiment Library, NYU, databili tra il 1959 e il 1969, e geograficamente riconducibile all’area newyorkese), è prima di tutto la sua particolare tipologia. L’Archivio Tambellini è una collezione privata, nata non con la necessità di documentare una corrente o un dato periodo storico, ma con l’intento di preservare la testimonianza e la memoria di una raccolta affettiva. Se la qualità della documentazione ha apportato il vantaggio di lavorare su materiale particolarmente eterogeneo, lasciando un buon margine di libertà critica nello sviluppo delle connessioni, utili soprattutto alla ricostruzione storiografica, la natura stessa della collezione ha tuttavia inciso sulla difficoltà di reperire le informazioni essenziali alla classificazione delle opere (in diversi casi l’unica fonte oltre il dato stesso, spesso incompleto, è stata la memoria dell’artista).
Soffermarsi su quella che possiamo definire una premessa biografica sulla formazione di Aldo Tambellini è stato necessario per approfondire il rapporto tra l’autore e le derivazioni estetiche dell’Espressionismo Astratto, tecnica adottata sul volgere degli anni Cinquanta ed in seguito trasferita nei lavori videografici e su pellicola (§ I.1, I.3). I movimenti della Scuola di New York, figli delle Avanguardie Americane e riconosciuti dall’artista come principale referente storico, promulgando un possibile modello di prassi figurativa, utilizzarono l’immagine sottoponendola ad un processo di metamorfosi ontologica. Questa prospettiva, che riflette in realtà lo scardinamento più ampio di ogni referenza moderna legata alla natura permanente dell’opera – scientifica, d’arte, testuale –, porta a rileggere la nascita della multimedialità audiovisiva alla luce di quello che verrà definito il nuovo linguaggio immateriale. Il progetto Electromedia, inserendosi a pieno in questo processo di mutamento sensibile, sconfina dalla pittura al film sperimentale, sollecitando il coinvolgimento di Tambellini con i dispositivi di proiezione ed i supporti pellicolari (film e slides, § I.4-I.5.3). L’interesse verso le tecniche di intervento sul supporto fotografico in proiezione – storicamente preceduto dalle proiezioni dirette di Bruno Munari –, e verso la fotografia microscopica di Roman Vishniac, si conferma come la naturale conseguenza di questo processo, e lo snodo essenziale per definire l’approccio che Tambellini sviluppa nell’opera performativa. In particolare, due saranno le modalità che ritroveremo reiterate nel passaggio dal fotogramma statico all’immagine in movimento: la sottrazione e la trasposizione. In queste linee di tendenza, abbandonate le referenze dirette a maestri come Harry Smith e Len Lye, Tambellini sperimenta in mixed media su differenti supporti, per mezzo di tecniche quali la sovrimpressione, il dripping, il direct film ed il found footage. La materialità del segno passa così dal quadro al fotogramma, per uscirne in proiezione sotto forma anomala, espansa, ed è qui che si entra nel vivo del progetto Electromedia, nella costruzione dell’apparato multiespressivo che assegna al dispositivo il ruolo di connettore tra artista e audience (§ II.3).
Se le sperimentazioni degli anni Cinquanta e dei primi anni Sessanta premevano nella direzione di un’uscita dal quadro, avvalendosi di procedimenti e strumenti mutuati dalle discipline antropologiche in un’espansione organica della prassi performativa, alla fine del decennio assistiamo ad una netta scissione nella ricerca sul multimedia: due correnti distinte che indagano una la natura teorica e gli sviluppi legati all’azione performativa, l’altra il corpo quale mezzo d’espressione in relazione al dispositivo tecnologico (§ II.1, II.2, II.6). In questa prospettiva, le sperimentazioni sulle possibilità formali del mezzo audiovisivo combinato (film, video, multiproiezione) si aprono a nuovi sistemi di produzione e distribuzione (§ II.5), dando vita ad un’embrionale microeconomia declinata su due fronti: una visione più militante dell’atto artistico che coincide con le forme di autoproduzione e condivisione collettiva (§ II.5, III.2), e la nascita di un sistema di finanziamento istituzionale, promosso da enti pubblici quali New York State Council on the Arts (NYSCA) e National Endowment for the Arts (NEA). L’attività di Tambellini è impostata su queste due forme di sostentamento, e si promuove in parte grazie ai grant e, principalmente, con il ricorso all’autoproduzione come pratica artistica e sociale, che si concretizza dal 1962 con le esperienze di The Group Center (§ III.2) e con la nascita degli artist-run spaces The Gate Theatre (§ III.4) e The Black Gate (§ III.6).
Sebbene la travalicazione di genere sia la cifra stilistica che contraddistingue la maggior parte degli interventi dell’artista, l’impianto strutturale dell’opera Electromedia coincide con la manifestazione della performance intermediale, conservando qualche elemento deliberatamente preservato dalla tradizione dell’happening. La decontestualizzazione e il ricorso ad un assetto marcatamente condizionato dalla presenza del dispositivo, essenza e vera specificità dell’autore, si presenta già nel particolare insieme di azioni definite come Performance as protest (§ III.3), per poi esprimersi a pieno nei principali eventi messi in scena dall’artista nel suo più fervido periodo di produzione: Black, 1965 (§ III.5), Black Zero, 1965-68 (§ III.4), Moondial, 1966 (§ III.5). La ricerca di una possibile definizione dell’esperienza Electromedia, ad uno stadio più avanzato della ricerca, ha affrontato i tratti unitari del fenomeno nella sua rappresentazione estetica e nelle sue qualità costitutive, quale elemento promotore quell’autosufficienza che ne ha marcato la divulgazione avvenuta e, purtroppo, quella mancata. A causa di questa sua scomparsa, dalle fonti e dalle registrazioni (rari e quasi inintellegibili sono i documenti filmati dell’opera in azione, solo un servizio fotografico del 1965 ricostruisce in studio Black Zero), l’opera di Aldo Tambellini rimane un reperto invisibile di una storia che, attraversando trasversalmemente le cesure e i territori vergini delle correnti che hanno influenzato gran parte dell’attività artistica degli ultimi cinquant’anni, torna a svanire nel buio.
In una sorta di premonizione, l’autore che si è contraddistinto per l’indagine incessante del nero, della biologica dell’oscurità, e della forma circolare come primordiale ed unica espressione figurativa, torna ellitticamente al primo stadio della sua ricerca. L’elemento scultoreo del videotape chiude il cerchio delle prassi e delle forme, iniziato a metà degli anni Cinquanta durante lo studio accademico con Ivan Meštrović e divenuto materia elettronica con la necessità di testare, malleare, e imprimere, il senso della propria soggettività in una forma non tanto radicale, quanto militante e immediata (§ III.7).
L’Electromedia si rivela, alla luce di questo scardinamento analitico e della ricostruzione delle sue componenti strutturali (il film, il videotape, la pittura, la scultura, la performance), non tanto come un’opera conclusa, ma come la sintesi, quanto più possibilmente organica, di un progetto che scommette e rilancia la sinestesia possibile delle espressioni citate. Tra le principali referenze dell’underground americano, l’Electromedia Project di Aldo Tambellini nutre così lo scambio dialettico e sempre vivo della multiforme espressività dell’Intermedia, attestandosi allo stesso tempo come un’importante memoria storica di Performed ed Expanded Cinema.
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