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Archivio digitale delle tesi discusse presso l’Università di Pisa

Tesi etd-10022020-095259


Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale LM5
Autore
LUSINI, MARTA SOFIA
URN
etd-10022020-095259
Titolo
Violenza domestica, di genere, assistita: la tutela del minore
Dipartimento
GIURISPRUDENZA
Corso di studi
GIURISPRUDENZA
Relatori
relatore Prof.ssa Favilli, Chiara
Parole chiave
  • minori
  • violenza domestica
  • violenza di genere
  • violenza assistita
Data inizio appello
20/10/2020
Consultabilità
Tesi non consultabile
Riassunto
Nel 2017 l’Istat ha rilevato che 6 milioni e 788 mila donne nel corso della propria vita hanno subito una qualche forma di violenza fisica o morale. Il dossier del Ministero dell’Interno, datato agosto 2020, attesta che, nei difficili mesi di confinamento a causa dell’emergenza sanitaria, a fronte di una flessione del 19% degli omicidi, la percentuale delle vittime donne è incrementata del 5%. I numeri, quindi, spiegano da dove nasce la necessità di studiare il fenomeno, ancora attuale, della violenza domestica. In particolare, si è scelto di guardare a questo fenomeno da una prospettiva civilistica, studiando cioè gli strumenti di tutela approntati dal legislatore all’interno del Codice civile, con particolare riferimento alla situazione giuridica del minore coinvolto, direttamente o indirettamente, negli episodi di violenza. Da qui, l’ulteriore declinazione della violenza domestica in violenza assistita, categoria dai confini ancora incerti.
Il primo capitolo si occupa di descrivere in via generale quali difficoltà si incontrano nell’approcciarsi, da una prospettiva civilistica, al fenomeno della violenza domestica. Le difficoltà sono, da un lato, di carattere sostanziale, in quanto sintagmi quali «violenza domestica», «violenza di genere» e «violenza assistita» non trovano alcuna definizione nel sistema normativo italiano; unico punto di riferimento per l’interprete è la Convenzione di Istanbul. Dall’altro lato, le difficoltà sono di carattere processuale, perché, anche qualora gli episodi di violenza domestica vengano riconosciuti come tali e vengano dedotti in giudizio, le vittime si scontrano con la complessità dei meccanismi probatori, che non le agevolano, e talvolta anche con l’incerto riparto di competenze tra autorità giudiziarie, in particolare tra il Tribunale dei minori e il Tribunale ordinario.
Entrando, poi, nello specifico degli istituti contenuti nel Codice civile, la tutela di cui sono destinatarie le vittime di violenza domestica è stata distinta in una tutela inibitoria e in una tutela successiva. Alla prima categoria è stato dedicato il secondo capitolo, concernente la disciplina degli ordini di protezione contro gli abusi familiari. Scopo dell’istituto è quello di dare, attraverso l’allontanamento fisico del coniuge o genitore violento dalla casa familiare, a tutti i soggetti – maltrattante e maltrattato – lo spazio e il tempo per riflettere sull’accaduto e scegliere se metabolizzarlo e ricomporre la famiglia, oppure separarsi definitivamente. La disciplina degli articoli 342-bis e ter cod. civ., introdotta quasi venti anni fa, nonostante i correttivi cui è andata incontro mostra alcuni difetti che comportano uno scarso utilizzo di questo strumento.
Il terzo capitolo è stato dedicato alla tutela successiva, ma da questo punto di vista, poiché il legislatore non ha predisposto uno strumento specifico, è stato necessario studiare gli istituti di respiro generale contenuti nel Libro I del Codice civile, per verificare se la violenza domestica può trovare spazio all’interno del loro ambito di applicazione. Per quanto riguarda le misure a carattere personale, lo studio ha riguardato in primis la disciplina dell’affidamento, per verificare in che misura la violenza domestica, anche assistita, venga considerata contraria all’interesse del minore e quindi faccia propendere il giudice per il regime di affidamento esclusivo. Tra tutti, questo è il profilo che offre il panorama più desolante, in quanto il verificarsi di episodi di violenza domestica sembra essere, nella maggior parte dei casi, irrilevante; c’è una ferrea volontà di preservare ad ogni costo il rapporto genitore-figlio, indipendentemente dalla condotta violenta dell’uomo.
La seconda misura a carattere personale esaminata sono stati i rimedi contro l’esercizio abusivo della responsabilità genitoriale, analizzando se la violenza domestica può dar luogo ad un provvedimento del Tribunale dei minori ai sensi degli articoli 330 e 333 cod. civ. Sebbene la violenza domestica, che colpisce direttamente o indirettamente il minore, integri a tutti gli effetti il presupposto del «grave pregiudizio», i provvedimenti di decadenza dalla responsabilità genitoriale sono rari, anche a causa della serietà degli effetti del provvedimento in questione.
Per quanto riguarda, invece, le misure a carattere patrimoniale, il presente lavoro ha tentato di rispondere all’interrogativo se avverso la violenza domestica possano essere esperiti rimedi risarcitori a carattere generale, riconoscendo il diritto della vittima al risarcimento del danno non patrimoniale ai sensi degli articoli 2043 e 2059 cod. civ., o a carattere speciale, con specifico riferimento all’articolo 709-ter cod. proc. civ. Infine, è stata studiata la rilevanza che la violenza domestica può avere da un punto di vista successorio, alla luce dell’istituto dell’indegnità a succedere, con la recente integrazione normativa della sospensione della successione ai sensi dell’articolo 463-bis cod. civ.
Il quarto capitolo ha concluso la presente trattazione evidenziando gli imperativi che non possono più essere trascurati né dal legislatore né dagli operatori sul campo nel condurre la lotta contro la violenza domestica; riferimento fondamentale a questo scopo è stato il Rapporto GREVIO sull’attuazione della Convenzione di Istanbul in Italia.
In conclusione, ciò che preme sottolineare è che il percorso espositivo fin qui descritto è stato elaborato attraverso le lenti dell’analisi di genere, perché questo è l’approccio che un tema simile richiede. In altre parole, in più punti della trattazione si è cercato di studiare in che misura l’apparato normativo e la sua applicazione concreta siano il risultato di stereotipi di genere, profondamente radicati in seno alla società, anche tra soggetti, quali i magistrati, che per definizione dovrebbero essere immuni da ogni forma di pregiudizio. Difatti, se, da un lato, oggi, grazie al coraggio delle vittime che denunciano, si conosce molto sulla frequenza, le caratteristiche e le conseguenze della violenza, nonché sulle strategie degli aggressori, dall’altro, l’immagine che ne emerge è a volte così insostenibile che molti soccombono alla tentazione di non vedere e non sentire, di voltarsi dall’altra parte e di concludere che è la vittima a ricordare male o a mentire. Invece, ciò che deve essere sempre tenuto presente, è che «la violenza c’è, occorre vederla».
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