Tesi etd-10012018-172428 |
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Tipo di tesi
Tesi di dottorato di ricerca
Autore
ARCA, ANDREA
URN
etd-10012018-172428
Titolo
La Grande Roccia del Parco Nazionale delle Incisioni rupestri di Naquane, Valcamonica, analisi iconografica e contestualizzazione crono-interpretativa delle figure incise
Settore scientifico disciplinare
L-ANT/01
Corso di studi
SCIENZE DELL'ANTICHITA' E ARCHEOLOGIA
Relatori
tutor Prof. Martini, Fabio
controrelatore Prof. Biagi, Paolo
controrelatore Prof. Tecchiati, Umberto
controrelatore Dott.ssa Poggiani Keller, Raffaella
controrelatore Prof. Biagi, Paolo
controrelatore Prof. Tecchiati, Umberto
controrelatore Dott.ssa Poggiani Keller, Raffaella
Parole chiave
- arte rupestre
- catalogo
- età del Ferro
- rilievo iconografico
- Valcamonica
Data inizio appello
11/10/2018
Consultabilità
Non consultabile
Data di rilascio
11/10/2027
Riassunto
Per quantità e qualità dei segni incisi la Grande Roccia (NAQ1) del Parco Nazionale delle Incisioni Rupestri di Naquane è uno dei petroglifi più significativi della Valcamonica e dell'intero arco alpino; il progetto di ricerca condotto ne ha realizzato il rilievo iconografico, la catalogazione delle figure incise, la contestualizzazione cronologica e, per le fasi di fine età del Bronzo e di prima età del Ferro, una proposta di lettura interpretativa sulla base di numerosi confronti con il patrimonio figurativo coevo.
Per quanto riguarda la storia delle ricerche, la consultazione dell'archivio della Soprintendenza Archeologica della Lombardia, a Milano, ha permesso di chiarire come la scoperta di NAQ1 sia avvenuta tra dicembre 1931 e marzo 1932 ad opera di Giuseppe Amaracco, il valligiano che fece da guida all'antropologo Giovanni Marro, tra i primi studiosi dell'area, il quale agiva contemporaneamente, ma non in accordo, con Raffaello Battaglia, archeologo dell'allora Regia Sopraintendenza alle Antichità di Padova, alla quale al tempo era affidata la competenza territoriale sulla Valcamonica.
Riguardo ai metodi di documentazione (cap. 1), nel corso del progetto di ricerca è stato perfezionato il rilievo iconografico integrale a contatto della superficie istoriata, comprendente tutte le figure incise, successivamente pulito e digitalizzato in formato raster e infine vettorializzato per il montaggio e la restituzione finale. Si tratta del primo rilievo iconografico a contatto realizzato, in quanto quello pubblicato nel 1960 da Emmanuel Anati, all'interno dell'unica monografia sinora pubblicata sulla Grande Roccia, è risultato essere, considerandone la deformazione prospettica e la mancanza di vari dettagli, un tracciamento semplificato ricavato da riprese fotografiche. Il nuovo rilievo, composto da 221 fogli e dal loro montaggio, ha coperto una superficie incisa di circa 65 mq. La restituzione finale vettoriale, che è composta di oltre 11mila oggetti grafici delimitati da oltre 11 milioni di nodi di curva, è in scala 1:2, e occupa un foglio di 18x4,4 metri, visionabile a piena definizione solo in forma digitale; il formato vettoriale è di grande aiuto nella riduzione del "peso" digitale, nel mantenimento della definizione indipendentemente dal fattore di scala e nella facilitazione delle operazioni grafiche, sopratutto in sede di pubblicazione.
Sono state catalogate 2054 figure incise (cap. 2), di cui 978 significative, con 876 casi di relazione tra figure – in massima parte relazioni paratattiche – 411 di sovrapposizione e 159 diverse tipologie specifiche; in Anati 1960 erano state conteggiate 876 figure, di cui 688 significative, e 50 casi di sovrapposizione. Per la redazione del catalogo chi scrive ha compilato in linguaggio Clipper-XBase l'applicativo di base dati RARO (cap. 1), specifico per l'arte rupestre, incentrato sulla scheda di figura, realizzando il porting a 32-64bit in ambiente Windows del precedente software DOS già dall'autore compilato per altre rocce, tra le quali la Rupe Magna in Valtellina, arricchito di nuove funzioni, tra le quali un'ampia scelta di filtri che permettono un output già formattato in html e pronto per essere pubblicato su Internet, con testo e immagini, sia del catalogo generale delle figure che di numerosi cataloghi specifici adattabili alle varie esigenze di studio.
In ordine decrescente, le figure presenti, organizzate in classi, consistono, limitandosi a quelle significative, in 479 zoomorfi, 239 antropomorfi, 108 armi o attrezzi, 44 coppelle, 39 costruzioni, 38 croci (storiche), 13 impronte, 13 iscrizioni (2 protostoriche), 3 figure simboliche e 2 spirali.
Per quanto riguarda la documentazione fotografica, sono stati prodotti varie migliaia di scatti fotografici, sia generali che di dettaglio, preferibilmente a luce radente, 4 riprese panoramiche cilindriche e sferiche a fotomosaico, 18 fotopiani zenitali a fotomosaico ad altissima risoluzione per i vari settori incisi, oltre che un modello virtuale di navigazione immersiva che combina gli elementi predetti e permette di "navigare" online sopra la Grande Roccia, osservandone in estremo dettaglio la superficie incisa (panorami e fotopiani zenitali), anche in abbinamento sincronizzato con il rilievo iconografico (cap. 1). Chi scrive ha inoltre realizzato un modello tridimensionale su base fotogrammetrica dell'intera roccia, che ne mostra la morfologia, ricavandone altresì in pianta un modello di elevazione digitale (DEM) e una planimetria a isoispe. Sono stati infine realizzati, con il contributo di Paolo Emilio Bagnoli dell'Università di Pisa, alcuni test di modellizzazione 3D su base fotometrica, che si mostrano ben più performanti, a livello di definizione fine, dei modelli su base stereo-fotogrammetrica, ma che non possono, per i limiti attuali della capacità di calcolo, essere applicati, alla massima definizione, alle grandi superfici.
Sulla base dei confronti con i reperti di cultura materiale (cap. 3), soprattutto metallici, e stilistici, l'attribuzione cronologica delle figure incise conferma le fasi già proposte all'interno della seriazione dell'arte rupestre della Valcamonica, e definisce per la Grande Roccia un'estensione che copre più di 54 secoli, dalle pochissime figure (0,34%) di tipo topografico, attribuibili alla prima metà del IV millennio a.C., alle altrettanto poche di età del Rame 2 (0,98%), sino al recente busto di alpino inciso nel 1942 da un parente del primo custode del Parco. Considerando che anche la presenza di figure della fine dell'età del Bronzo è tutto sommato limitata (2,45%, oranti), così come non sono certo preponderanti quelle di età moderna o contemporanea (10,33%), l'83,31% di figure dell'età del Ferro, in gran parte di stile IV1 e IV2, cioè dall'VIII alla fine del VI-metà del V sec. a.C., qualificano principalmente il patrimonio iconico della Grande Roccia come pertinente al secondo quarto del primo millennio a.C.
E' lungo quest'arco cronologico, estendendolo al IX e al IV-III sec. a.C., che chi scrive ha concentrato l'analisi dei confronti materiali e iconici, analizzando una numerosa serie coeva di reperti metallici, fittili, eburnei, litici e pittorici (affreschi tombali) arricchiti di elementi figurativi, postulandone altresì il valore semantico e simbolico. Secondo l'interpretazione che viene proposta, è da tali confronti iconici, in alcuni casi integrati da elementi etnografici, che deriva la possibilità di procedere lungo il percorso esegetico. I confronti sono stati affrontati sulla base di alcune tra tematiche più significative espresse dalle figure della Grande Roccia, riguardanti gli armati, gli agoni, i telai, la tessitura, le Anguane-Aquane, i cervi, le palette e gli antropomorfi schematici. L'area dei confronti ha compreso reperti ed iconica di provenienza paleoveneta, hallstattiana, etrusca ed italica, pertinenti all'arte delle situle, agli affreschi tombali, alla ceramica, alla bronzistica, alle stele e agli elementi architettonici decorati, con una marcata prevalenza di contesti funerari.
L'analisi esegetica (cap. 4) non è esente da rischi, e difficilmente può essere affrontata sotto un unico punto di vista; chi scrive ha ritenuto preferibile scegliere un percorso e cercare di sostanziarlo, piuttosto che astenersi dal giudizio; la chiave di lettura che emerge ha pertanto il valore di proposta interpretativa. Il dato più significativo è la connessione, quanto a soggetti e temi, tra l'iconica della Grande Roccia, e in genere dell'arte rupestre della Valcamonica della prima metà del primo millennio a.C., e quella delle culture analizzate in sede di confronto. Tale connessione si esprime soprattutto nelle tematiche citate, e in particolare nelle figure di armati, cervi, telai e palette, per le quali i confronti sono particolarmente numerosi; nel corso della trattazione ne sono stati affrontati in dettaglio quasi cinquecento. Posto che da tale disamina emerge l'attento utilizzo semantico degli elementi iconici e dei linguaggi figurativi in chiave simbolica, e che tale chiave si può articolare come indirizzata, nei vari casi, al mondo dei vivi o al mondo dei morti, chi scrive ritiene che analoga lettura possa essere applicata agli oggetti iconici rupestri, considerandoli pertanto, come già in parte da più autori sostenuto, come dediche votive figurate. Tale linea interpretativa porta altresì a ipotizzare la raffigurazione di personaggi divini e mitologici, che presentano più di un punto di contatto con elementi della mitologia greca, romana ed etrusca.
Per quanto riguarda le dediche in vita, ritengo si possano enucleare una ben definita serie di soggetti in armi e alcune figure interpretabili come partorienti. Per i primi, le 77 figure di armati stanti con lancia e scudo levati, in otto casi con elmo a cimiero crestato, possono ben corrispondere ai numerosi bronzetti votivi paleoveneti, etruschi ed italici, interpretabili come effigie di "Marte in armi", o di "Marte all'assalto", da intendere come divinità protettiva. Per le seconde, tre figure schematiche a braccia levate con sesso pendente anatomicamente scorretto e grandi mani possono essere lette come di partorienti, unitamente ad una figura con analoghe caratteristiche con chiave in mano, elemento simbolico legato al parto nel mondo antico; per lo stesso tema, due piccole figure di mustelidi, una delle quali associata ad una cavalla incinta, possono suggerire un collegamento con il personaggio mitologico di Galantide, che facilita il parto di Alcmena e la nascita di Eracle ingannando le Moire, poi trasformata in donnola da Era; cito a confronto semantico le nove statuine fittili di "ragazze donnola" dalla stipe votiva di Praeneste.
Per quanto riguarda le dediche funerarie, dieci figure antropomorfe schematiche compongono una scena la cui lettura più probabile è da ritenersi essere quella di lamentazione funebre di fronte alla πρόθεσις della defunta, riconoscendo pertanto in tali "oranti" femminili il ruolo di ploranti. Al proposito vanno considerate anche le 66 figure di paletta, ben confrontabili con la nutrita serie di reperti metallici provenienti da corredi sepolcrali femminili, soprattutto paleoveneti, dove sono associati a strumenti da fuoco e cucina quali alari, mestoli, colini, spiedi, coltelli e pentole. La presenza di figure di paletta impugnate da demoni psicopompi su alcune stele femminili felsinee, in particolare San Michele in Bosco e Certosa 169, suggerisce si possa trattare di strumento simbolo della defunta, consegnato come viatico nel corso del viaggio oltremondano; le palette incise sulla roccia potrebbero pertanto essere lette come offerta votiva per l’anima della defunta. Analoga linea tematica per quanto riguarda l'esame, tra i confronti, della nutrita serie di figurazioni di cervo (190 su NAQ1); si evidenza una forte corrispondenza con la sfera funeraria, correlata a sepolture sia maschili che femminili; è possibile suggerire per tali figure una metafora della dipartita, intesa come ghermizione, per i cervi azzannati, o come raggiungimento di una pace ultraterrena, tipo giardino dell'Eden, per gruppi e file di cervi non cacciati e non inseguiti, che si ritrovano pacificamente affiancati da predatori o animali fantastici quali grifoni e sfingi nei registri animalistici dell'arte delle situle o dei programmi figurativi dell'orientalizzante. Anche una figura di upupa, presagio di guerra e morte in alcune tradizioni popolari e associata alla pietà filiale per il genitore defunto nell'antico Egitto, può essere inserita all'interno di questa linea tematica, così come i 25 cosiddetti busti di orante, figure di armati a braccia levate privi di arti inferiori che ritroviamo anche sulla cista XIII del Kröllkogel (prima metà VI a.C.).
Rivolgendosi a possibili personaggi del mito, e premettendo che nessuna immagine è didascalizzata, spicca la presenza di due possenti figure di cavalieri gemelli, le più grandi di tutta l'arte rupestre dell'arte rupestre camuna dell'età del Ferro, che suggeriscono un riferimento ai Dioscuri. Al mito di Teseo si può connettere un'altra figura molto conosciuta della Grande Roccia, il labirinto, che presenta forti punti di contatto con l'οἰνοχόη della Tragliatella (630 a.C.), dove sono raffigurati Teseo, Arianna, il labirinto di Cnosso e la danza della γέρανος (gru) compiuta dai compagni di Teseo; anche a fianco del labirinto di NAQ1 è presente una figura di gru. Le poche scene di caccia al cervo con cane e presenza del cacciatore, sempre armato di lancia su NAQ1, possono suggerire una connessione con il mito di Eracle e cerva di Cerinea, che nelle raffigurazioni più antiche, si veda la fibula attico-beota della seconda metà dell'VIII sec. a.C. al museo di Philadelphia, attacca il cervo, che è maschio, con la lancia, mentre il cane lo azzanna. Infine, alcune figure di armati a gambe inarcate o innaturalmente storte, più che all'imperizia dell'incisore, possono eventualmente diagnosticare l'attributo principale di Efesto, κυλλοποδίων, storto di gambe in Omero.
I due percorsi di lettura, immagini per i vivi e immagini per i morti, possono riunirsi simbolicamente nelle figure di telai, le uniche di tutta l'arte rupestre della Valcamonica, alpina ed europea. Si tratta in realtà di scene di tessitura – due tessitrici sono chiaramente all'opera – per le quali chi scrive suggerisce di riconoscere anche la presenza di un cesto con pennecchi, di uno spadino da tessitura e di un panchetto, così come raffigurato in alcuni reperti di cultura materiale, come il tintinnabulo della Tomba degli Ori o la λήκυθος del Pittore di Amasis. Propongo di leggere in tali scene, i telai sono disposti in allineamenti ternari, un riferimento simbolico all'entità mitologica femminile triadica delle Moire o Parche, presenti anche in ambito norreno come Norne, figure del fato che rappresentano inizio, svolgimento e fine del filo della vita terrena. Di tale entità femminile triadica potrebbe essere rimasta traccia nelle figure note nel folklore alpino centro-orientale come Anguane o Enguane, alle quali verosimilmente sono connessi i toponimi di Naquane e della strada delle Acquane, che passa poco a monte della Grande Roccia. In questo senso, legandosi a vita, morte e destino, gran parte del complesso figurativo di NAQ1, possibile Grande Roccia delle Aquane, potrebbe essere inteso come liminare e riferito al passaggio.
Va osservato come, secondo tali proposte di lettura, emerga una ben più sostanziosa presenza di figure connesse alla sfera femminile, considerate quasi assenti per l'età del Ferro negli studi precedenti. Va infine sottolineato come il confronto con i complessi programmi figurativi dell'arte delle situle, delle pissidi eburnee e delle pitture tombali, pur evidenziando una concreta analogia di temi e soggetti, dimostri una netta differenza quanto a struttura del linguaggio figurativo, laddove nell'iconica rupestre sono assenti le sequenze narrative e molto limitate le scene sintattiche: la presenza destrutturata degli stessi elementi, unita alle caratteristiche spesso corsive della figurazione rupestre, potrebbe indiziare una maggiore pertinenza popolare dei depositi iconici, in contrasto con la dimostrata provenienza da corredi aristocratici e regali dei più ricchi reperti materiali dotati di articolati programmi figurativi.
Per quanto riguarda la storia delle ricerche, la consultazione dell'archivio della Soprintendenza Archeologica della Lombardia, a Milano, ha permesso di chiarire come la scoperta di NAQ1 sia avvenuta tra dicembre 1931 e marzo 1932 ad opera di Giuseppe Amaracco, il valligiano che fece da guida all'antropologo Giovanni Marro, tra i primi studiosi dell'area, il quale agiva contemporaneamente, ma non in accordo, con Raffaello Battaglia, archeologo dell'allora Regia Sopraintendenza alle Antichità di Padova, alla quale al tempo era affidata la competenza territoriale sulla Valcamonica.
Riguardo ai metodi di documentazione (cap. 1), nel corso del progetto di ricerca è stato perfezionato il rilievo iconografico integrale a contatto della superficie istoriata, comprendente tutte le figure incise, successivamente pulito e digitalizzato in formato raster e infine vettorializzato per il montaggio e la restituzione finale. Si tratta del primo rilievo iconografico a contatto realizzato, in quanto quello pubblicato nel 1960 da Emmanuel Anati, all'interno dell'unica monografia sinora pubblicata sulla Grande Roccia, è risultato essere, considerandone la deformazione prospettica e la mancanza di vari dettagli, un tracciamento semplificato ricavato da riprese fotografiche. Il nuovo rilievo, composto da 221 fogli e dal loro montaggio, ha coperto una superficie incisa di circa 65 mq. La restituzione finale vettoriale, che è composta di oltre 11mila oggetti grafici delimitati da oltre 11 milioni di nodi di curva, è in scala 1:2, e occupa un foglio di 18x4,4 metri, visionabile a piena definizione solo in forma digitale; il formato vettoriale è di grande aiuto nella riduzione del "peso" digitale, nel mantenimento della definizione indipendentemente dal fattore di scala e nella facilitazione delle operazioni grafiche, sopratutto in sede di pubblicazione.
Sono state catalogate 2054 figure incise (cap. 2), di cui 978 significative, con 876 casi di relazione tra figure – in massima parte relazioni paratattiche – 411 di sovrapposizione e 159 diverse tipologie specifiche; in Anati 1960 erano state conteggiate 876 figure, di cui 688 significative, e 50 casi di sovrapposizione. Per la redazione del catalogo chi scrive ha compilato in linguaggio Clipper-XBase l'applicativo di base dati RARO (cap. 1), specifico per l'arte rupestre, incentrato sulla scheda di figura, realizzando il porting a 32-64bit in ambiente Windows del precedente software DOS già dall'autore compilato per altre rocce, tra le quali la Rupe Magna in Valtellina, arricchito di nuove funzioni, tra le quali un'ampia scelta di filtri che permettono un output già formattato in html e pronto per essere pubblicato su Internet, con testo e immagini, sia del catalogo generale delle figure che di numerosi cataloghi specifici adattabili alle varie esigenze di studio.
In ordine decrescente, le figure presenti, organizzate in classi, consistono, limitandosi a quelle significative, in 479 zoomorfi, 239 antropomorfi, 108 armi o attrezzi, 44 coppelle, 39 costruzioni, 38 croci (storiche), 13 impronte, 13 iscrizioni (2 protostoriche), 3 figure simboliche e 2 spirali.
Per quanto riguarda la documentazione fotografica, sono stati prodotti varie migliaia di scatti fotografici, sia generali che di dettaglio, preferibilmente a luce radente, 4 riprese panoramiche cilindriche e sferiche a fotomosaico, 18 fotopiani zenitali a fotomosaico ad altissima risoluzione per i vari settori incisi, oltre che un modello virtuale di navigazione immersiva che combina gli elementi predetti e permette di "navigare" online sopra la Grande Roccia, osservandone in estremo dettaglio la superficie incisa (panorami e fotopiani zenitali), anche in abbinamento sincronizzato con il rilievo iconografico (cap. 1). Chi scrive ha inoltre realizzato un modello tridimensionale su base fotogrammetrica dell'intera roccia, che ne mostra la morfologia, ricavandone altresì in pianta un modello di elevazione digitale (DEM) e una planimetria a isoispe. Sono stati infine realizzati, con il contributo di Paolo Emilio Bagnoli dell'Università di Pisa, alcuni test di modellizzazione 3D su base fotometrica, che si mostrano ben più performanti, a livello di definizione fine, dei modelli su base stereo-fotogrammetrica, ma che non possono, per i limiti attuali della capacità di calcolo, essere applicati, alla massima definizione, alle grandi superfici.
Sulla base dei confronti con i reperti di cultura materiale (cap. 3), soprattutto metallici, e stilistici, l'attribuzione cronologica delle figure incise conferma le fasi già proposte all'interno della seriazione dell'arte rupestre della Valcamonica, e definisce per la Grande Roccia un'estensione che copre più di 54 secoli, dalle pochissime figure (0,34%) di tipo topografico, attribuibili alla prima metà del IV millennio a.C., alle altrettanto poche di età del Rame 2 (0,98%), sino al recente busto di alpino inciso nel 1942 da un parente del primo custode del Parco. Considerando che anche la presenza di figure della fine dell'età del Bronzo è tutto sommato limitata (2,45%, oranti), così come non sono certo preponderanti quelle di età moderna o contemporanea (10,33%), l'83,31% di figure dell'età del Ferro, in gran parte di stile IV1 e IV2, cioè dall'VIII alla fine del VI-metà del V sec. a.C., qualificano principalmente il patrimonio iconico della Grande Roccia come pertinente al secondo quarto del primo millennio a.C.
E' lungo quest'arco cronologico, estendendolo al IX e al IV-III sec. a.C., che chi scrive ha concentrato l'analisi dei confronti materiali e iconici, analizzando una numerosa serie coeva di reperti metallici, fittili, eburnei, litici e pittorici (affreschi tombali) arricchiti di elementi figurativi, postulandone altresì il valore semantico e simbolico. Secondo l'interpretazione che viene proposta, è da tali confronti iconici, in alcuni casi integrati da elementi etnografici, che deriva la possibilità di procedere lungo il percorso esegetico. I confronti sono stati affrontati sulla base di alcune tra tematiche più significative espresse dalle figure della Grande Roccia, riguardanti gli armati, gli agoni, i telai, la tessitura, le Anguane-Aquane, i cervi, le palette e gli antropomorfi schematici. L'area dei confronti ha compreso reperti ed iconica di provenienza paleoveneta, hallstattiana, etrusca ed italica, pertinenti all'arte delle situle, agli affreschi tombali, alla ceramica, alla bronzistica, alle stele e agli elementi architettonici decorati, con una marcata prevalenza di contesti funerari.
L'analisi esegetica (cap. 4) non è esente da rischi, e difficilmente può essere affrontata sotto un unico punto di vista; chi scrive ha ritenuto preferibile scegliere un percorso e cercare di sostanziarlo, piuttosto che astenersi dal giudizio; la chiave di lettura che emerge ha pertanto il valore di proposta interpretativa. Il dato più significativo è la connessione, quanto a soggetti e temi, tra l'iconica della Grande Roccia, e in genere dell'arte rupestre della Valcamonica della prima metà del primo millennio a.C., e quella delle culture analizzate in sede di confronto. Tale connessione si esprime soprattutto nelle tematiche citate, e in particolare nelle figure di armati, cervi, telai e palette, per le quali i confronti sono particolarmente numerosi; nel corso della trattazione ne sono stati affrontati in dettaglio quasi cinquecento. Posto che da tale disamina emerge l'attento utilizzo semantico degli elementi iconici e dei linguaggi figurativi in chiave simbolica, e che tale chiave si può articolare come indirizzata, nei vari casi, al mondo dei vivi o al mondo dei morti, chi scrive ritiene che analoga lettura possa essere applicata agli oggetti iconici rupestri, considerandoli pertanto, come già in parte da più autori sostenuto, come dediche votive figurate. Tale linea interpretativa porta altresì a ipotizzare la raffigurazione di personaggi divini e mitologici, che presentano più di un punto di contatto con elementi della mitologia greca, romana ed etrusca.
Per quanto riguarda le dediche in vita, ritengo si possano enucleare una ben definita serie di soggetti in armi e alcune figure interpretabili come partorienti. Per i primi, le 77 figure di armati stanti con lancia e scudo levati, in otto casi con elmo a cimiero crestato, possono ben corrispondere ai numerosi bronzetti votivi paleoveneti, etruschi ed italici, interpretabili come effigie di "Marte in armi", o di "Marte all'assalto", da intendere come divinità protettiva. Per le seconde, tre figure schematiche a braccia levate con sesso pendente anatomicamente scorretto e grandi mani possono essere lette come di partorienti, unitamente ad una figura con analoghe caratteristiche con chiave in mano, elemento simbolico legato al parto nel mondo antico; per lo stesso tema, due piccole figure di mustelidi, una delle quali associata ad una cavalla incinta, possono suggerire un collegamento con il personaggio mitologico di Galantide, che facilita il parto di Alcmena e la nascita di Eracle ingannando le Moire, poi trasformata in donnola da Era; cito a confronto semantico le nove statuine fittili di "ragazze donnola" dalla stipe votiva di Praeneste.
Per quanto riguarda le dediche funerarie, dieci figure antropomorfe schematiche compongono una scena la cui lettura più probabile è da ritenersi essere quella di lamentazione funebre di fronte alla πρόθεσις della defunta, riconoscendo pertanto in tali "oranti" femminili il ruolo di ploranti. Al proposito vanno considerate anche le 66 figure di paletta, ben confrontabili con la nutrita serie di reperti metallici provenienti da corredi sepolcrali femminili, soprattutto paleoveneti, dove sono associati a strumenti da fuoco e cucina quali alari, mestoli, colini, spiedi, coltelli e pentole. La presenza di figure di paletta impugnate da demoni psicopompi su alcune stele femminili felsinee, in particolare San Michele in Bosco e Certosa 169, suggerisce si possa trattare di strumento simbolo della defunta, consegnato come viatico nel corso del viaggio oltremondano; le palette incise sulla roccia potrebbero pertanto essere lette come offerta votiva per l’anima della defunta. Analoga linea tematica per quanto riguarda l'esame, tra i confronti, della nutrita serie di figurazioni di cervo (190 su NAQ1); si evidenza una forte corrispondenza con la sfera funeraria, correlata a sepolture sia maschili che femminili; è possibile suggerire per tali figure una metafora della dipartita, intesa come ghermizione, per i cervi azzannati, o come raggiungimento di una pace ultraterrena, tipo giardino dell'Eden, per gruppi e file di cervi non cacciati e non inseguiti, che si ritrovano pacificamente affiancati da predatori o animali fantastici quali grifoni e sfingi nei registri animalistici dell'arte delle situle o dei programmi figurativi dell'orientalizzante. Anche una figura di upupa, presagio di guerra e morte in alcune tradizioni popolari e associata alla pietà filiale per il genitore defunto nell'antico Egitto, può essere inserita all'interno di questa linea tematica, così come i 25 cosiddetti busti di orante, figure di armati a braccia levate privi di arti inferiori che ritroviamo anche sulla cista XIII del Kröllkogel (prima metà VI a.C.).
Rivolgendosi a possibili personaggi del mito, e premettendo che nessuna immagine è didascalizzata, spicca la presenza di due possenti figure di cavalieri gemelli, le più grandi di tutta l'arte rupestre dell'arte rupestre camuna dell'età del Ferro, che suggeriscono un riferimento ai Dioscuri. Al mito di Teseo si può connettere un'altra figura molto conosciuta della Grande Roccia, il labirinto, che presenta forti punti di contatto con l'οἰνοχόη della Tragliatella (630 a.C.), dove sono raffigurati Teseo, Arianna, il labirinto di Cnosso e la danza della γέρανος (gru) compiuta dai compagni di Teseo; anche a fianco del labirinto di NAQ1 è presente una figura di gru. Le poche scene di caccia al cervo con cane e presenza del cacciatore, sempre armato di lancia su NAQ1, possono suggerire una connessione con il mito di Eracle e cerva di Cerinea, che nelle raffigurazioni più antiche, si veda la fibula attico-beota della seconda metà dell'VIII sec. a.C. al museo di Philadelphia, attacca il cervo, che è maschio, con la lancia, mentre il cane lo azzanna. Infine, alcune figure di armati a gambe inarcate o innaturalmente storte, più che all'imperizia dell'incisore, possono eventualmente diagnosticare l'attributo principale di Efesto, κυλλοποδίων, storto di gambe in Omero.
I due percorsi di lettura, immagini per i vivi e immagini per i morti, possono riunirsi simbolicamente nelle figure di telai, le uniche di tutta l'arte rupestre della Valcamonica, alpina ed europea. Si tratta in realtà di scene di tessitura – due tessitrici sono chiaramente all'opera – per le quali chi scrive suggerisce di riconoscere anche la presenza di un cesto con pennecchi, di uno spadino da tessitura e di un panchetto, così come raffigurato in alcuni reperti di cultura materiale, come il tintinnabulo della Tomba degli Ori o la λήκυθος del Pittore di Amasis. Propongo di leggere in tali scene, i telai sono disposti in allineamenti ternari, un riferimento simbolico all'entità mitologica femminile triadica delle Moire o Parche, presenti anche in ambito norreno come Norne, figure del fato che rappresentano inizio, svolgimento e fine del filo della vita terrena. Di tale entità femminile triadica potrebbe essere rimasta traccia nelle figure note nel folklore alpino centro-orientale come Anguane o Enguane, alle quali verosimilmente sono connessi i toponimi di Naquane e della strada delle Acquane, che passa poco a monte della Grande Roccia. In questo senso, legandosi a vita, morte e destino, gran parte del complesso figurativo di NAQ1, possibile Grande Roccia delle Aquane, potrebbe essere inteso come liminare e riferito al passaggio.
Va osservato come, secondo tali proposte di lettura, emerga una ben più sostanziosa presenza di figure connesse alla sfera femminile, considerate quasi assenti per l'età del Ferro negli studi precedenti. Va infine sottolineato come il confronto con i complessi programmi figurativi dell'arte delle situle, delle pissidi eburnee e delle pitture tombali, pur evidenziando una concreta analogia di temi e soggetti, dimostri una netta differenza quanto a struttura del linguaggio figurativo, laddove nell'iconica rupestre sono assenti le sequenze narrative e molto limitate le scene sintattiche: la presenza destrutturata degli stessi elementi, unita alle caratteristiche spesso corsive della figurazione rupestre, potrebbe indiziare una maggiore pertinenza popolare dei depositi iconici, in contrasto con la dimostrata provenienza da corredi aristocratici e regali dei più ricchi reperti materiali dotati di articolati programmi figurativi.
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