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Archivio digitale delle tesi discusse presso l’Università di Pisa

Tesi etd-09132025-143537


Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale
Autore
TURCATO, MARCO
URN
etd-09132025-143537
Titolo
Studio tafonomico su ossa di cetacei della cava del Colle della Croce (Miocene Inferiore, Feltre)
Dipartimento
SCIENZE DELLA TERRA
Corso di studi
SCIENZE E TECNOLOGIE GEOLOGICHE
Relatori
relatore Prof. Bianucci, Giovanni
correlatore Dott.ssa Bosio, Giulia
correlatore Dott. Nobile, Franceso
Parole chiave
  • Cetacei
  • Feltre
  • Fossilizzazione
  • Miocene
  • Ossa fossili
  • Tafonomia
Data inizio appello
17/10/2025
Consultabilità
Non consultabile
Data di rilascio
17/10/2095
Riassunto
La cava di marna per laterizi del Colle della Croce si trova a Feltre in provincia di Belluno (Veneto). I depositi affioranti in cava, dal punto di vista geologico, sono formati da sedimenti che si depositarono nel Bacino Veneto Friulano, un bacino di avampaese che si estendeva per 150 km all’interno delle regioni del Veneto e del Friuli-Venezia Giulia. Durante il Miocene in questo bacino si depositarono una serie di sedimenti che hanno costituito una molassa di 4 km di spessore. Le rocce della molassa sono suddivisibili in 5 megasequenze, testimoni di cicli trasgressivi e regressivi avvenuti nel Miocene che hanno trasformato l’ambiente e gli habitat di molti organismi marini, tra cui mammiferi marini.
Durante il Miocene Inferiore nel Bacino Veneto Friulano, in particolare nell’area del Bacino di Belluno, viveva una ricca fauna di cetacei odontoceti composta da rappresentanti di almeno cinque famiglie estinte (Dalpiazinidae, Eoplatanistidae, Eurhinodelphinidae, Squalodelphinidae, Squalodontidae) e di una forma basale della superfamiglia ancora vivente dei Physeteroidea. Dato che i fossili di Eoplatanisistidae e Dalpiazinidae sono stati ritrovati unicamente nel Bacino Veneto Friulano potrebbero essere considerati endemici di quest’area nordorientale del Mediterraneo. Anche se si ha testimonianza dei primi ritrovamenti di cetacei fossili dal Bacino di Belluno già a partire dalla seconda metà dell’800, lo studio sistematico della maggior parte dei reperti risale all’inizio del ‘900 ad opera di Giorgio dal Piaz. Grazie al contributo di questo paleontologo e geologo, i depositi fossiliferi del Bacino di Belluno sono diventati un riferimento a livello mondiale per lo studio delle faune ad odontoceti del Miocene Inferiore.
Per quanto riguarda l’area di Feltre (un bacino sedimentario facente parte, insieme a quello di Belluno, del Veneto-Friulano) ed i depositi della cava Colle della Croce, il loro potenziale fossilifero è noto già dai tempi della sua apertura negli anni ‘60 del secolo scorso, grazie ai numerosi ritrovamenti di denti di squalo e resti frammentari di odontoceti. Solo recentemente, tuttavia, sono stati effettuati degli studi accurati che hanno permesso di delineare un quadro preciso dell’associazione fossile all’interno dei livelli sedimentari della cava. I resti fossili scoperti e studiati di questi mammiferi marini rinvenuti nella cava Colle della Croce si sono rilevati di massima importanza nel delineare l’evoluzione delle faune ad odontoceti del Bacino Veneto Friulano durante il Miocene Inferiore ed a capire i processi di dispersione di alcune linee di odontoceti negli oceani globali.
Il materiale fossile recuperato all’interno della cava, tuttavia, non è mai stato studiato dal punto di vista tafonomico e l’obiettivo di questo lavoro è stata pertanto l’analisi tafonomica di alcuni dei reperti fossili recuperati all’interno dei depositi. In totale sono stati presi in considerazione dieci reperti appartenenti a due formazioni differenti della cava (Marna di Bolago ed Arenaria di Libano) ed uno recuperato nei dintorni del Torrente Caorame localizzato a Nord della cava e datato ad un Aquitaniano più basso di quello affiorante in cava.
Questi reperti fossili sono stati analizzati e studiati per poter approfondire ed estrapolare similitudini e differenze nel tipo di sedimento (marnoso, arenaceo o ricco in glauconite), conservazione delle ossa e caratteri tafonomici di ognuno di essi. Le ossa durante le analisi hanno mostrato una grande varietà di caratteristiche macro-micro strutturali e chimiche. Ognuna di queste caratteristiche ha suggerito l'esistenza di diversi processi che hanno contribuito al percorso di fossilizzazione. Su scala macroscopica, i campioni sono stati classificati in sei diverse categorie in base al colore (del sedimento inglobante e dell’osso) ed alla durezza dell’osso (che si riferisce alla sua ricristallizzazione). Microscopicamente, la microstruttura originale del tessuto osseo, sia compatto che spugnoso, si è rilevata essere ben conservata in tutti i campioni studiati, con differenze nell’impregnazione delle cavità da parte di minerali diagenetici, sedimento e solfuri di ferro, nella distribuzione delle fratture e nella presenza di tracce di bioerosione nel tessuto osseo. Dal punto di vista chimico e mineralogico, infine, il tessuto osseo si è rivelato essere una fluoroapatite o carbonato-fluoroapatite. Le differenze di colore nelle ossa, la loro mineralizzazione e i loro caratteri geochimici sono stati interpretati in termini di diversi percorsi di fossilizzazione, dalla deposizione dei resti sul fondale fino all’esumazione nei depositi attuali della cava. L’aspetto esteriore dei fossili è il risultato di fenomeni di abrasione e trasporto (differenti a seconda della litologia di appartenenza) nel momento della loro deposizione sul fondale. Le tracce di bioerosione hanno dato informazioni sul tipo di ambiente in cui questi resti si sono depositati, interpretandolo come un fondale francamente marino di piattaforma continentale (open shelf) e ben ossigenato per la presenza di tracce di animali osteofagi (ad es. l’ichnogenere Osspecus, traccia probabilmente lasciata da policheti simili agli odierni Osedax) e di resti fossili di faune di fondale ritrovate assieme a queste ossa nei depositi della cava. I minerali diagenetici all’interno delle cavità e la ricristallizzazione delle ossa sono invece correlabili alle fasi di diagenesi precoce e tardiva, identificate principalmente grazie alla successione di fasi minerali all’interno del tessuto osseo. Infine i caratteri macroscopici dei fossili (durezza e colore delle ossa) sono risultati essere direttamente correlabili solamente ai processi diagenetici che hanno coinvolto le ossa originali e non sono state riscontrate caratteristiche derivanti dall’esposizione all’ambiente attuale della cava.
In conclusione, la conservazione di questi resti è stata interpretata come una combinazione di due principali fattori che hanno contribuito, in tempi e modi diversi, a preservarli fino ai giorni nostri. L’abbondanza di faune negli antichi ambienti marini di quest’area ha permesso di avere una grande quantità di materiale osseo che si depositasse nel fondale marino; i processi avvenuti durante la diagenesi precoce, come l’infiltrazione di fluidi carbonatici e silicatici nelle cavità dell’osso e la ricristallizzazione del tessuto osseo e sostituzione con minerali più stabili termodinamicamente, hanno permesso di mantenere, infine, la struttura generale delle ossa intatta per milioni di anni.

The marl quarry for brick production at Colle della Croce is located in Feltre, in the province of Belluno (Veneto, northeastern Italy). From a geological perspective, the deposits exposed in the quarry are composed of sediments that accumulated in the Venetian-Friulian Basin, a foreland basin that extended for about 150 km across the Veneto and Friuli-Venezia Giulia regions. During the Miocene, a succession of sediments was deposited within this basin, forming a molasse sequence up to 4 km thick. The molasse rocks can be subdivided into five megasequences, which record the transgressive and regressive cycles that occurred during the Miocene and profoundly transformed the environment and the habitats of many marine organisms, including marine mammals.

During the Early Miocene, the Venetian-Friulian Basin—particularly the Belluno Basin area—hosted a rich odontocete cetacean fauna, comprising representatives of at least five extinct families (Dalpiazinidae, Eoplatanistidae, Eurhinodelphinidae, Squalodelphinidae, and Squalodontidae) as well as a basal form of the still extant superfamily Physeteroidea. Since fossils belonging to Eoplatanistidae and Dalpiazinidae have been found exclusively within the Venetian-Friulian Basin, these taxa may be considered endemic to this northeastern sector of the Mediterranean. Although fossil cetaceans from the Belluno Basin were first reported in the second half of the 19th century, the systematic study of most specimens was carried out in the early 20th century by Giorgio Dal Piaz. Thanks to the contributions of this geologist and paleontologist, the fossil-bearing deposits of the Belluno Basin have become a global reference point for the study of Early Miocene odontocete faunas.

Regarding the Feltre area (a sedimentary sub-basin forming, together with Belluno, the Venetian-Friulian Basin) and the deposits of the Colle della Croce quarry, their fossil potential has been known since the quarry’s opening in the 1960s, following the discovery of numerous shark teeth and fragmentary odontocete remains. Only in recent years, however, have detailed studies been undertaken that allowed researchers to establish a clearer picture of the fossil assemblage within the quarry’s sedimentary levels. The fossil remains of marine mammals discovered and studied from Colle della Croce have proven to be of major significance in reconstructing the evolution of odontocete faunas within the Venetian-Friulian Basin during the Early Miocene and in understanding the dispersal processes of certain odontocete lineages across the global oceans.

The fossil material recovered from the quarry had never been analyzed from a taphonomic perspective prior to this study. The main aim of this work was therefore the taphonomic analysis of several fossil specimens collected from the deposits. In total, ten specimens were examined, belonging to two different formations within the quarry (the Bolago Marl and the Libàno Sandstone), as well as one additional specimen recovered near the Caorame Stream, located north of the quarry and dated to a slightly older Aquitanian stage than that exposed within the quarry itself.

These fossil specimens were analyzed and compared in order to investigate similarities and differences in sediment type (marly, arenaceous, or glauconite-rich), bone preservation, and taphonomic characteristics. The bones exhibited a wide range of macro-, microstructural, and chemical features, each suggesting the influence of distinct fossilization processes. On a macroscopic scale, the samples were classified into six categories based on color (of both enclosing sediment and bone) and bone hardness (related to its degree of recrystallization). Microscopically, the original microstructure of both compact and cancellous bone tissue was well preserved in all studied samples, showing variation in cavity infilling by diagenetic minerals, sediment, and iron sulfides, in fracture distribution, and in the presence of bioerosion traces within the bone matrix. From a chemical and mineralogical perspective, the bone tissue was found to consist of fluoroapatite or carbonate-fluoroapatite. Differences in bone color, degree of mineralization, and geochemical composition were interpreted as indicative of distinct fossilization pathways, from the initial deposition of remains on the seafloor to their exhumation within the present-day quarry deposits.

The external appearance of the fossils reflects abrasion and transport phenomena—varying according to the host lithology—at the time of deposition. Bioerosion traces provided valuable information about the depositional environment, which was interpreted as a fully marine, well-oxygenated continental shelf (open-shelf) setting. This interpretation is supported by the presence of traces produced by bone-eating organisms (e.g., the ichnogenus Osspecus, likely created by polychaetes similar to modern Osedax) and by associated benthic fossil remains found alongside the bones in the quarry deposits. The diagenetic minerals infilling the bone cavities and the degree of bone recrystallization are related to early and late diagenetic phases, identified primarily through the succession of mineralogical stages within the bone tissue. Finally, the macroscopic characteristics of the fossils (bone hardness and color) were found to be directly correlated with the diagenetic processes that affected the original bones, with no evidence of alteration due to exposure to the modern quarry environment.

In conclusion, the preservation of these remains is interpreted as the result of two main factors that acted at different times and in different ways to ensure their survival to the present day. The abundance of faunal material in the ancient marine environments of this area led to the accumulation of large quantities of bone remains on the seafloor. Moreover, the early diagenetic processes—such as the infiltration of carbonate and silicate fluids into bone cavities, along with recrystallization and replacement of the original tissue by thermodynamically more stable minerals—ultimately enabled the general bone structure to remain intact for millions of years.
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