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Archivio digitale delle tesi discusse presso l’Università di Pisa

Tesi etd-09042025-181102


Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale LM6
Autore
BRUNO, GIUSEPPE ANDREA
URN
etd-09042025-181102
Titolo
LA STENOSI AORTICA A FRAZIONE DI EIEZIONE PRESERVATA: IL RUOLO DEL TESSUTO ADIPOSO EPICARDICO
Dipartimento
RICERCA TRASLAZIONALE E DELLE NUOVE TECNOLOGIE IN MEDICINA E CHIRURGIA
Corso di studi
MEDICINA E CHIRURGIA
Relatori
relatore Prof. Taddei, Stefano
correlatore Dott. Pugliese, Nicola Riccardo
Parole chiave
  • ecocardiografia
  • frazione di eiezione preservata
  • stenosi aortica
  • tessuto adiposo epicardico
Data inizio appello
23/09/2025
Consultabilità
Completa
Riassunto
La stenosi aortica degenerativa rappresenta la valvulopatia più frequente nei paesi occidentali e costituisce una delle principali cause di morbilità e mortalità cardiovascolare nella popolazione anziana. Sebbene la sua evoluzione sia nota da decenni, la crescente attenzione verso i sottotipi clinici ha permesso di riconoscere entità particolari, come la stenosi aortica con frazione di eiezione preservata (ASpEF). Quest’ultima si colloca tra la malattia valvolare classica e lo scompenso cardiaco a frazione di eiezione preservata (HFpEF), con cui condivide molteplici caratteristiche fisiopatologiche.
Inizialmente nei pazienti con ASpEF la frazione di eiezione ventricolare sinistra rimane ≥50%, suggerendo una funzione sistolica conservata. Tuttavia, dietro questa apparente normalità, si nascondono disfunzioni profonde a livello diastolico, strutturale e funzionale, che conducono a una compromissione clinica paragonabile a quella di altre forme di scompenso. È proprio in questo scenario che entra in gioco il tessuto adiposo epicardico (EAT), un compartimento viscerale cardiaco con funzioni endocrine e paracrine rilevanti. L’EAT è oggi considerato un attore centrale nel rimodellamento cardiaco e nella modulazione della risposta infiammatoria. Nel contesto dell’HFpEF, il suo ruolo è stato ampiamente documentato, ma molto meno esplorato nei pazienti con ASpEF, dove potrebbe rappresentare un marker di severità e un predittore prognostico.
Obiettivi dello studio - Questa tesi si propone di indagare le somiglianze e le differenze tra ASpEF e HFpEF, confrontando parametri clinici, funzionali e morfo-funzionali, con particolare attenzione al ruolo dell’EAT. L’obiettivo è comprendere se l’aumento dello spessore epicardico costituisca soltanto un epifenomeno metabolico o se, al contrario, possa essere un indicatore diretto della gravità valvolare e della compromissione funzionale, soprattutto in pazienti con ASpEF.
Metodi - Lo studio ha arruolato 150 pazienti con ASpEF, dei quali 134 presentavano una forma ad alto gradiente, 6 una stenosi a flusso normale e basso gradiente, e 10 la variante a basso flusso–basso gradiente. Sono stati inoltre inclusi 148 pazienti con HFpEF non valvolare e 66 controlli sani, appaiati per età e sesso.
Tutti i partecipanti sono stati sottoposti a valutazione clinica, biochimica ed ecocardiografica. La quasi totalità del campione (96%) ha completato un test cardiopolmonare da sforzo integrato con ecocardiografia da stress (CPET-ESE), che ha permesso di stimare la capacità funzionale e i parametri emodinamici sotto carico. Nei candidati a sostituzione valvolare transcatetere (TAVI), è stata eseguita anche una TC cardiaca per quantificare il burden calcifico valvolare. Lo spessore dell’EAT è stato misurato ecocardiograficamente in proiezione parasternale, tecnica non invasiva e riproducibile.
Risultati - L’analisi ha messo in luce alcune convergenze e differenze significative fra i gruppi.
Sul piano clinico e biochimico, i pazienti con ASpEF e quelli con HFpEF mostravano caratteristiche simili: età avanzata, prevalenza di comorbilità metaboliche (ipertensione, diabete, obesità) e profili demografici comparabili.
Dal punto di vista funzionale, entrambi i gruppi presentavano una riduzione marcata della capacità di esercizio rispetto ai controlli sani. In particolare, il consumo di ossigeno di picco (VO₂ max), la gittata cardiaca e la differenza artero-venosa di ossigeno risultavano significativamente inferiori (tutti p < 0,01), confermando che sia ASpEF sia HFpEF determinano una limitazione funzionale severa, anche in presenza di una frazione di eiezione conservata.
Un elemento distintivo emerso riguarda lo spessore dell’EAT. Nei pazienti con ASpEF, lo spessore medio era pari a 9 mm (intervallo 7–11), significativamente superiore a quello riscontrato nei pazienti con HFpEF (7 mm, intervallo 4–9, p < 0,01) e nei controlli (3 mm, intervallo 2–5, p < 0,01). L’aumento dell’EAT correlava inversamente con la capacità funzionale (VO₂ di picco) in tutta la popolazione studiata, suggerendo un ruolo diretto del grasso epicardico nella riduzione della tolleranza allo sforzo.
Inoltre, in modo specifico per i pazienti con ASpEF, l’EAT correlava positivamente con i parametri di severità valvolare: velocità massima del getto aortico (Vmax), gradiente medio transvalvolare e carico calcifico valvolare. Questi dati indicano che l’EAT non è soltanto un marker metabolico, ma si associa strettamente alla gravità della stenosi valvolare aortica.
Discussione - I risultati confermano che ASpEF e HFpEF rappresentano due condizioni diverse ma strettamente correlate. Entrambe condividono un profilo clinico simile e una compromissione funzionale paragonabile, ma l’ASpEF mostra un legame più diretto con la lesione valvolare, che ne condiziona la prognosi.
L’EAT, già noto per il suo ruolo nello scompenso cardiaco diastolico, si rivela in ASpEF un indicatore di severità specifica: maggiore è lo spessore del tessuto adiposo epicardico, più gravi risultano i gradienti pressori e il carico calcifico valvolare. Ciò suggerisce che l’EAT possa essere utilizzato come biomarcatore integrativo nella stratificazione del rischio, accanto ai parametri ecocardiografici tradizionali.
Questa osservazione apre scenari interessanti anche sul piano terapeutico. Non esistono al momento farmaci in grado di ridurre in modo mirato l’EAT o di rallentare la progressione della stenosi aortica. Tuttavia, interventi sullo stile di vita e sul controllo dei fattori di rischio metabolici (obesità, diabete, dislipidemia) potrebbero avere un impatto positivo sul grasso epicardico, con potenziali ricadute sulla prognosi. L’integrazione dell’EAT nella valutazione pre-operatoria potrebbe inoltre aiutare a identificare i pazienti a maggiore rischio, ottimizzando il timing della sostituzione valvolare chirurgica o percutanea.
Conclusioni - Si evidenzia che ASpEF e HFpEF, pur condividendo una profonda limitazione funzionale e un profilo clinico simile, differiscono per la relazione con il tessuto adiposo epicardico. L’EAT emerge come marker di ridotta tolleranza allo sforzo in tutta la popolazione, ma assume un valore prognostico peculiare nei pazienti con ASpEF, in cui si associa direttamente alla gravità della stenosi aortica.
Queste evidenze rafforzano l’ipotesi che l’ASpEF non sia soltanto un sottotipo di HFpEF, ma un’entità autonoma con meccanismi fisiopatologici distinti. L’incremento dell’EAT potrebbe rappresentare un segnale precoce di progressione della malattia valvolare e, in futuro, un target per interventi personalizzati.
L’integrazione del grasso epicardico nella valutazione globale dei pazienti con stenosi aortica potrebbe quindi migliorare la stratificazione prognostica, orientare le decisioni terapeutiche e, più in generale, contribuire a un approccio multidimensionale che superi la mera valutazione anatomico-valvolare.
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