| Tesi etd-09042025-172628 | 
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    Tipo di tesi
  
  
    Tesi di laurea magistrale
  
    Autore
  
  
    ZAGO, FRANCESCO  
  
    URN
  
  
    etd-09042025-172628
  
    Titolo
  
  
    Leibniz di fronte alla tradizione platonica: una proposta a partire dalla formazione del lipsiense
  
    Dipartimento
  
  
    CIVILTA' E FORME DEL SAPERE
  
    Corso di studi
  
  
    FILOSOFIA E FORME DEL SAPERE
  
    Relatori
  
  
    relatore Prof.ssa Bassi, Simonetta
correlatore Prof. Fronterotta, Francesco
  
correlatore Prof. Fronterotta, Francesco
    Parole chiave
  
  - corpus platonico
- cristianesimo
- Gottfried Wilhelm von Leibniz
- Marsilio Ficino
- neoplatonismo
- Pierre-Daniel Huet
- pirronismo storico
- platonismo
- pubblicità del sapere
- Ralph Cudworth
- Simon Foucher
- Stephanus
- trasmissione testuale
    Data inizio appello
  
  
    03/10/2025
  
    Consultabilità
  
  
    Non consultabile
  
    Data di rilascio
  
  
    03/10/2065
  
    Riassunto
  
  Questo lavoro di tesi articola una proposta interpretativa in merito al rapporto di Leibniz con il pensiero di Platone e della tradizione platonica, attraverso un confronto tra il lipsiense e i principali esponenti primo-moderni del platonismo: Marsilio Ficino e i Platonici di Cambridge. 
La ricerca prende avvio dalla formazione storico-filosofica di Leibniz, che da questo punto di vista deve molto all’esempio di Jakob Thomasius, ma non solo. Infatti, nel primo capitolo è offerto un esame del contesto culturale in cui si forma il filosofo, volto a mostrare come l’interesse storiografico non fosse una prerogativa solo di Thomasius, ma della società colta di Lipsia di cui il giovane Leibniz è avvertito e partecipe, frequentando i collegia legati a figure come Thomas Reinesius e Caspar von Barth. Leibniz dà una prima prova di competenza storico-filosofica soprattutto in veste di editore dell’opera rinascimentale di Mario Nizolio; in tale occasione, seguendo il modello thomasiano, mostra come la conoscenza della dottrina filosofica di un autore debba partire da una consapevolezza storico-critica del contesto in cui nasce una determinata opera e delle mediazioni che separano inevitabilmente lo studioso dall’oggetto di studio (commenti, interpretazioni, edizioni). Questo approccio al sapere rivela una metodologia di ricerca storica che supera e approfondisce l’erudizione fine a sé stessa e chiarisce anche l'altrimenti bizzarra tolleranza che Leibniz esibisce dialogando lungo tutto la sua vita con gli intellettuali francesi ascrivibili al pirronismo storico (Huet, Foucher) e in generale a posizioni scettiche (Bayle).
Nel secondo capitolo viene offerta una panoramica critica del ritorno di Platone nella cultura occidentale, a partire dall’ovvio impulso fornito dalle traduzioni di Marsilio Ficino. Si ricostruisce la storia delle traduzioni ficiniane, che hanno un’impronta esegetica molto forte, e se ne rilevano gli assi teoretico-metodologici, che risentono in particolar modo dell’appartenenza, più volte dichiarata da Ficino, a una catena aurea di sapienti illuminati (prisca theologia). Il destino del testo platonico-ficiniano viene seguito attraverso le ri-traduzioni cinquecentesche degli
Opera Omnia effettuate primariamente in ambiente calvinista da gruppi di studiosi legati a stamperie celebri come quella di Froben e quella di Stephanus. Lo studio delle imprese portate avanti da editori eruditi, generalmente ignorati dalla storiografia filosofica, mostra chiaramente che, nonostante il testo ficiniano continui a essere letto ed utilizzato ancora a lungo, chi unisce le preoccupazioni filosofico-teologiche con una sensibilità proto-filologica opera in aperto contrasto con la traduzione-interpretazione di Ficino. Questo vuol dire che non c’è accordo unanime nel modo in cui si debba intendere la filosofia di Platone, e soprattutto che tra le ragioni del disaccordo figurano valutazioni filologiche, filosofiche, storico-filosofiche e religiose.
Il rapporto privilegiato che Leibniz intrattiene con l’opera di Platone è noto e più volte dichiarato dallo stesso lipsiense. Nel terzo capitolo si cerca di capire ‘con quali lenti’ Leibniz legga e utilizzi Platone; ancora una volta, chi ha la possibilità di accedere direttamente al testo e di situarlo nel suo contesto si mantiene a debita distanza dall’esegesi ficiniana, pur dipendendo dalle traduzioni del fiorentino. Vediamo gli esiti di ciò, oltre che nella svalutazione del pensiero di Ficino e del platonismo post-plotiniano cui egli si rifà, anche nell’impiego leibniziano di tesi platoniche. Un caso di grande interesse ce lo offre il confronto coi platonici di Cambridge – di cui ci dà testimonianza il carteggio con Damaris Masham – in cui il rifiuto che Leibniz oppone alle nature plastiche esemplifica una divergenza filosofica le cui motivazioni sembrano risiedere anche nel diverso approccio alla fonte platonica, condivisa da entrambi ma recepita in maniera diversa. Se per i cantabrigiensi vale ancora l’adagio ficiniano di una sapienza rivelata a pochi e trasmessa provvidenzialmente nel corso dei secoli, in Leibniz il fascino esoterico della prisca philosophia si è esaurito, lasciando spazio a un diverso modo di intendere la storia, in cui le scintillae di sapienza non risalgono a Mosè o al Trismegisto, ma al lume naturale di ogni essere umano, alla sua ragione. La coscienza storica con cui Leibniz si accosta e associa a Platone e al platonismo non è un caso isolato nella comunità colta protestante; prendere in considerazione questo aspetto ci aiuta dunque a chiarire alcune sfumature del sue pensiero e ci avverte dell’impossibilità di metterlo, come pure continua ad essere fatto, accanto ad autori la cui preoccupazione precipua è di natura mistico-teologica, restituendolo invece alla dimensione culturale e alle esigenze filosofiche che gli sono proprie.
La ricerca prende avvio dalla formazione storico-filosofica di Leibniz, che da questo punto di vista deve molto all’esempio di Jakob Thomasius, ma non solo. Infatti, nel primo capitolo è offerto un esame del contesto culturale in cui si forma il filosofo, volto a mostrare come l’interesse storiografico non fosse una prerogativa solo di Thomasius, ma della società colta di Lipsia di cui il giovane Leibniz è avvertito e partecipe, frequentando i collegia legati a figure come Thomas Reinesius e Caspar von Barth. Leibniz dà una prima prova di competenza storico-filosofica soprattutto in veste di editore dell’opera rinascimentale di Mario Nizolio; in tale occasione, seguendo il modello thomasiano, mostra come la conoscenza della dottrina filosofica di un autore debba partire da una consapevolezza storico-critica del contesto in cui nasce una determinata opera e delle mediazioni che separano inevitabilmente lo studioso dall’oggetto di studio (commenti, interpretazioni, edizioni). Questo approccio al sapere rivela una metodologia di ricerca storica che supera e approfondisce l’erudizione fine a sé stessa e chiarisce anche l'altrimenti bizzarra tolleranza che Leibniz esibisce dialogando lungo tutto la sua vita con gli intellettuali francesi ascrivibili al pirronismo storico (Huet, Foucher) e in generale a posizioni scettiche (Bayle).
Nel secondo capitolo viene offerta una panoramica critica del ritorno di Platone nella cultura occidentale, a partire dall’ovvio impulso fornito dalle traduzioni di Marsilio Ficino. Si ricostruisce la storia delle traduzioni ficiniane, che hanno un’impronta esegetica molto forte, e se ne rilevano gli assi teoretico-metodologici, che risentono in particolar modo dell’appartenenza, più volte dichiarata da Ficino, a una catena aurea di sapienti illuminati (prisca theologia). Il destino del testo platonico-ficiniano viene seguito attraverso le ri-traduzioni cinquecentesche degli
Opera Omnia effettuate primariamente in ambiente calvinista da gruppi di studiosi legati a stamperie celebri come quella di Froben e quella di Stephanus. Lo studio delle imprese portate avanti da editori eruditi, generalmente ignorati dalla storiografia filosofica, mostra chiaramente che, nonostante il testo ficiniano continui a essere letto ed utilizzato ancora a lungo, chi unisce le preoccupazioni filosofico-teologiche con una sensibilità proto-filologica opera in aperto contrasto con la traduzione-interpretazione di Ficino. Questo vuol dire che non c’è accordo unanime nel modo in cui si debba intendere la filosofia di Platone, e soprattutto che tra le ragioni del disaccordo figurano valutazioni filologiche, filosofiche, storico-filosofiche e religiose.
Il rapporto privilegiato che Leibniz intrattiene con l’opera di Platone è noto e più volte dichiarato dallo stesso lipsiense. Nel terzo capitolo si cerca di capire ‘con quali lenti’ Leibniz legga e utilizzi Platone; ancora una volta, chi ha la possibilità di accedere direttamente al testo e di situarlo nel suo contesto si mantiene a debita distanza dall’esegesi ficiniana, pur dipendendo dalle traduzioni del fiorentino. Vediamo gli esiti di ciò, oltre che nella svalutazione del pensiero di Ficino e del platonismo post-plotiniano cui egli si rifà, anche nell’impiego leibniziano di tesi platoniche. Un caso di grande interesse ce lo offre il confronto coi platonici di Cambridge – di cui ci dà testimonianza il carteggio con Damaris Masham – in cui il rifiuto che Leibniz oppone alle nature plastiche esemplifica una divergenza filosofica le cui motivazioni sembrano risiedere anche nel diverso approccio alla fonte platonica, condivisa da entrambi ma recepita in maniera diversa. Se per i cantabrigiensi vale ancora l’adagio ficiniano di una sapienza rivelata a pochi e trasmessa provvidenzialmente nel corso dei secoli, in Leibniz il fascino esoterico della prisca philosophia si è esaurito, lasciando spazio a un diverso modo di intendere la storia, in cui le scintillae di sapienza non risalgono a Mosè o al Trismegisto, ma al lume naturale di ogni essere umano, alla sua ragione. La coscienza storica con cui Leibniz si accosta e associa a Platone e al platonismo non è un caso isolato nella comunità colta protestante; prendere in considerazione questo aspetto ci aiuta dunque a chiarire alcune sfumature del sue pensiero e ci avverte dell’impossibilità di metterlo, come pure continua ad essere fatto, accanto ad autori la cui preoccupazione precipua è di natura mistico-teologica, restituendolo invece alla dimensione culturale e alle esigenze filosofiche che gli sono proprie.
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