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Archivio digitale delle tesi discusse presso l’Università di Pisa

Tesi etd-09012024-123629


Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale
Autore
ROSSATI, SILVIA
URN
etd-09012024-123629
Titolo
La musealizzazione dei reperti archeoantropologici in Italia. Analisi di casi studio e proposte metodologiche
Dipartimento
CIVILTA' E FORME DEL SAPERE
Corso di studi
ARCHEOLOGIA
Relatori
relatore Prof.ssa Rosselli, Lisa
correlatore Prof.ssa Giuffra, Valentina
Parole chiave
  • musealizzazione archeoantropologia
Data inizio appello
01/10/2024
Consultabilità
Completa
Riassunto
All’interno degli istituti museali, la diversità intrinseca dei beni archeologici ivi presenti obbliga a necessità espositive di tipo comunicativo, conservativo ed etico peculiari.
La volontà di chi scrive di concentrarsi sulla musealizzazione di reperti esclusivamente archeoantropologici è dovuta all’interesse personale per tale argomento archeologico e al riscontro di esposizioni museali italiane non sempre confacenti alle loro potenzialità informative e alle loro esigenze conservative.
Al principio di tutto si trova la parola che definisce tale ambito di studio: il termine che in archeologia distingue lo studio dei reperti umani all’interno dei resti archeologici è “archeoantropologia”. Tale studio racchiude in sé molteplici analisi di differente natura, come quelle demografiche, patologiche, sociali e altre che verranno trattate all’interno del primo capitolo di questa produzione scritta. Il vocabolo stesso rientra all’interno di una categoria di studio archeologico più ampio, che si definisce “bioarcheologia”, che comprende tutte le ricerche di carattere organico in ambito archeologico.
Viene posta, in questi anni, enfasi sulle tematiche legali dal momento che i reperti archeoantropologici si distinguono, tra gli altri beni culturali, per una caratteristica che ha provocato, negli ultimi decenni, crescenti cambiamenti negli approcci giuridici di differenti nazioni: si tratta dell’interesse etico che tali resti continuano a possedere inevitabilmente e che ha condotto differenti studiosi di tutto il mondo a domandarsi se sia necessario istituire delle norme e delle leggi dedicate esclusivamente a questi. Alcuni provvedimenti hanno iniziato a essere adottati, a partire dagli Stati Uniti, in merito alla possibilità e alla modalità di raccolta e di esposizione di reperti archeoantropologici.
In Italia, sin dalle prime legislazioni post-unitarie ideate per riconoscere e salvaguardare le “cose” di interesse culturale, le commissioni parlamentari e i legislatori incaricati di realizzare leggi e decreti legislativi a queste pertinenti non hanno curato i beni archeoantropologici separatamente dai beni culturali. Probabilmente tale mancanza risiede in motivi di differente sensibilità etica e di disinteresse dei reperti antropologici sin dalle prime ricerche archeologiche ottocentesche.
Al momento di scrittura dell’elaborato, tutti i beni culturali sono regolati attraverso l’ultimo codice emanato attraverso il Decreto legislativo del 22 gennaio 2004 n. 42. L’articolo 91 attribuisce alloStato la proprietà legittima dei beni elencati nell’articolo 10 e rinvenuti sia sottoterra che sott’acqua, ma che possiedono più di settant’anni. Pertanto, i resti archeoantropologici rientrano, per mancanza di specifiche, all’interno delle regolamentazioni comuni a tutti gli altri beni archeologici.
Le istituzioni museali internazionali hanno cercato di proporre delle norme che possano guidare i propri funzionari attraverso questo complicato ambiente, in cui si fondono necessità scientifiche al rispetto delle sensibilità altrui, attraverso un “Code of Ethics for Museums”. Si tratta di un’autoregolamentazione realizzata dall’ICOM, International Council of Museums, adottato nel 1986 e riesaminato diverse volte, l’ultima risalente agli anni 2021-2022. nella versione aggiornata al 2018, sezione 2, è indicato che questi possano venire acquisiti solo qualora sia garantita che la loro collocazione sia sicura e rispettosa all’interno del museo; di seguito si autorizza che i resti umani possano essere soggetti a ricerche che seguano degli standard professionali, considerando gli interessi e le credenze delle comunità da cui essi provengono. La loro esposizione, trattata invece nella sezione 4, deve seguire delle accortezze poiché, essendo considerati materiali sensibili, questi devono essere collocati con assoluto rispetto, seguendo degli standard professionali. Si nota la centralità data al rispetto, con cui approcciare tali reperti durante qualunque fase di lavoro con questi. L’ICOM lascia a ogni nazione aderente la possibilità di approfondire singolarmente l’approccio a questi reperti, la cui collocazione viene definita da Marco Arizza come “limbo etico”.
La volontà, attraverso questo elaborato, è quella di trattare un tema museologico specifico, ossia l’esposizione e la valorizzazione di reperti archeoantropologici all’interno dei musei archeologici contemporanei italiani. Attraverso la disamina di alcune musealizzazioni attuate dai musei presi a campione all’interno della realtà italiana, verranno indicate le differenti modalità adottate da ogni istituzione in merito all’esposizione, alla valorizzazione e alla comunicazione dei reperti archeoantropologici e delle differenti informazioni di cui sono naturalmente portatori. Emergeranno musealizzazioni più o meno riuscite, che permetteranno di evidenziare i comportamenti e le scelte necessarie da adottare nei confronti di reperti archeologici così sensibili, sia a livello etico sia a livello conservativo. La moderna esigenza di considerare temi etici e culturali obbliga oggi le istituzioni museali mondiali a mantenere un costante dialogo con la società tutta e il pubblico che prende parte alle visite al loro interno.
Sono stati stipati, nel corso dei secoli di scoperte, più o meno consapevolmente, resti archeoantropologici all’interno di magazzini e di sale espositive di luoghi deputati anche alla loro valorizzazione. Accademici e museografi hanno evitato, però, per secoli discussioni etiche in merito, anche per mancanza di interesse all’interno del pubblico visitante.
Le scosse sociali, susseguitesi dopo gli eventi del secondo conflitto mondiale, hanno interessato anche il mondo culturale, portando alla luce la problematicità insita nella mancanza di tutele nei confronti di corpi umani, o parti di essi, presenti all’interno di molti musei diffusi in tutto il mondo. Questa presa di consapevolezza permette oggi di parlare di resti archeoantropologici come beni culturali che necessitano di approcci, sia conservativi che comunicativi, differenti da qualunque altro reperto di natura archeologica e di adottare, ci si augura in maniera sempre più capillare, metodi di approccio consoni anche alle emergenti sensibilità dei differenti pubblici, senza però rinunciare alle innegabili e necessarie informazioni di cui tali reperti sono portatori.
La tesi cerca di riportare un’immagine delle situazioni in cui si trovano, al momento della scrittura, i reperti archeoantropologici sul territorio nazionale italiano (Capitolo III), considerandone anche i contesti locativi e le possibili restrizioni che queste conferiscono. Le pagine che seguiranno (Capitolo IV) forniscono, dal punto di vista di chi scrive, musei presi a esempio per le scelte adottate, adeguate, per differenti aspetti, alle necessità della società contemporanea. I luoghi evidenziati come esemplificativi sono stati selezionati considerando le modalità comunicative (Capitolo II) possibili. I metodi di esposizione e di valorizzazione di tali reperti sono anticipati (Capitolo I) da una breve presentazione dei corretti metodi, stando ai manuali correnti, di estrazione e di conservazione di tali reperti, imprescindibili azioni per un trattamento rispettoso dei soggetti e delle informazioni recuperabili, al fine di poter comunicare al meglio la loro vita.
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