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Archivio digitale delle tesi discusse presso l’Università di Pisa

Tesi etd-09012015-201623


Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale LM5
Autore
DI VETTA, GIUSEPPE
URN
etd-09012015-201623
Titolo
La tipicita debole del delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione. La dialettica tra statica del tipo criminoso e dinamica del processo.
Dipartimento
GIURISPRUDENZA
Corso di studi
GIURISPRUDENZA
Relatori
relatore Prof. Di Martino, Alberto
Parole chiave
  • Bancarotta fraudolenta
  • determinatezza
  • distrazione
  • interferenze
  • processo
  • tipicità
Data inizio appello
28/09/2015
Consultabilità
Non consultabile
Data di rilascio
28/09/2085
Riassunto
La presente tesi di laurea propone uno studio critico delle fattispecie incriminatrici di «Bancarotta fraudolenta», tra cui, in particolare, quelle previste dagli artt. 216, 1° co., l. fall. e 223, 1° e 2° co. l. fall., anche in considerazione di due importanti pronunce della Corte di Cassazione (Cass. pen., sez. V, 24 settembre 2012, n. 47502, c.d. sentenza «Corvetta»; Cass. pen., sez. V, 7 marzo 2014, n. 32352, c.d. sentenza «Parmalat») che hanno riproposto, in tutta la sua criticità, il dibattuto tema della collocazione nella struttura dei «reati di bancarotta» della sentenza dichiarativa di fallimento. E’ stato così confermato, a seguito del duplice intervento della Cassazione, un «insormontabile» divario tra la dottrina, per lo più orientata a considerare la sentenza dichiarativa dello stato di dissesto come «condizione obiettiva di punibilità» e la giurisprudenza di legittimità, che, rievocando la lontana impostazione espressa nel 1958, continua a qualificare il fallimento come un elemento costitutivo del reato, tuttavia non identificabile come evento della fattispecie di bancarotta (propria ed impropria).
La rinnovata attenzione intorno alle fattispecie penali fallimentari – e, più in generale, al sistema penale fallimentare, che presenta spiccati elementi di specialità rispetto all’ordinamento penale codicistico – è l’occasione per tentare una più ampia riflessione sui rapporti tra l’intervento penalistico e la gestione d’impresa, soprattutto nella sua fase terminativa (dissesto irreversibile). La considerazione del contesto economico – aziendale in cui si innestano i comportamenti imprenditoriali suscettibili di assumere rilevanza penale ex art. 216 l. fall. (o ex art. 223 l. fall., 1° co., quando si tratta di un’impresa societaria) è funzionale alla soluzione di essenziali aspetti interpretativi, a cominciare dalla definizione del bene giuridico tutelato dalle norme penali fallimentari. In tal senso, la presente indagine tenta di formulare una soluzione all’alternativa, foriera di importanti implicazioni sul piano della struttura oggettiva delle fattispecie fallimentari, tra la tutela della garanzia creditoria, concepita in termini concretamente patrimoniali oppure intesa come tutela di una funzione di garanzia patrimoniale.
L’indagine si concentra inoltre sulla ricostruzione delle modalità della condotta penalmente rilevante descritte dal legislatore all’art. 216, 1° co. (es. dissipazione, distruzione, distrazione, occultamento), tentando di intercettare in senso critico i recenti interventi della giurisprudenza, che, attraverso vari itinerari logico – argomentativi, perviene al sostanziale svuotamento dei connotati modali dell’azione tipica, con gravi esiti sul piano dell’osservanza del principio di determinatezza. L’Autore propone una lettura di questi meccanismi di semplificazione del fatto tipico alla luce di quel fenomeno – sempre attuale e molto discusso – che viene indicato come «processualizzazione» o «flessibilizzazione» delle categorie sostanziali del diritto penale al fine di far fronte alle esigenze proprie dell’accertamento processuale (es. semplificazione dell’onere probatorio). Per tali ragioni, è dedicata alla dimensione processuale delle fattispecie penali fallimentari una particolare attenzione, attraverso un esame attento ed approfondito del formante giurisprudenziale, anche con riferimento a particolari ipotesi, come il concorso di persone nei delitti di bancarotta e la presunta fungibilità tra la condotta di distrazione e l’operazione dolosa nella repressione del fenomeno delle c.d. frodi Carosello.
All’analisi delle modalità tipizzate in cui deve estrinsecarsi la condotta penalmente rilevante segue l’approfondimento del profilo dell’offensività del fatto di bancarotta. In tal senso, la tesi affronta il problema di fondo dei delitti di bancarotta fraudolenta patrimoniale: la necessità che si individui un evento, coerente con le esigenze di tipicità ed offensività del fatto tipico, e allo stesso modo tale da non riproporre le aporie derivanti dall’adesione al modello c.d. eziologico proposto dalla sentenza «Corvetta», in cui lo stato irreversibile di dissesto è concepito quale evento, causalmente connesso alla condotta tipica. L’individuazione dell’evento nei reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale (propria ed impropria) è tra gli aspetti più controversi (e, forse, irrisolvibili, salvo un intervento legislativo) del diritto penale dell’economia. Dopo un’accurata disamina delle tesi che si sono avvicendate sul tema, il presente lavoro si sofferma sulla ricostruzione delle fattispecie fallimentari come «reati di pericolo concreto», considerando il peculiare modo di atteggiarsi del giudizio di pericolo nel contesto economico – gestionale dell’impresa. La tesi che l’Autore propone è nel senso del recupero della perdurante attualità della critica, proposta da una parte della dottrina (P. Nuvolone) e consistente nel rilevare che la configurazione dello stato di dissesto irreversibile come condizione obiettiva di punibilità estrinseca sottende il pericolo – ampiamente confermato nella prassi giurisprudenziale - di un sindacato retrospettivo delle condotte penalmente rilevanti, anche cronologicamente molto distanti dal fallimento dell’impresa. In definitiva, e tenendo ferma l’impostazione proposta da C. Pedrazzi, la tesi promuove una discussione sulla necessità di istituire un «nesso» tra il fatto di bancarotta e lo stato di dissesto irreversibile; in tal senso, si rende necessario il confronto sia con l’applicazione della teorica dell’imputazione obiettiva dell’evento alle fattispecie fallimentari, che postula un «nesso di rischio» tra la condotta tipica e il dissesto, sia con la teorica della condizione obiettiva di punibilità intrinseca. Pregiudiziale è tuttavia l’individuazione dell’esatto significato del termine dissesto all’interno del sistema penale fallimentare, dal momento che, a causa di successivi interventi legislativi, esso si connota per una pluralità di differenti referenti terminologici.
Le criticità che emergono dall’individuazione di un nesso oggettivo o soggettivo – in tal’ultimo caso, apprezzabile sul piano della rappresentazione dello stato di dissesto da parte del soggetto agente – consentono di volgere l’attenzione al più ampio problema del sindacato del giudice penale nell’ambito della gestione dell’impresa, reso ancor più significativo, nella sua problematicità, dall’introduzione dell’art. 217-bis («Esenzioni dai reati di bancarotta»).
Infine, lo studio delle fattispecie penali fallimentari si conclude con la considerazione dell’elemento soggettivo, cogliendo due profili particolarmente problematici, l’uno concernente le modalità di accertamento processuale del dolo, e l’altro inerente alla peculiare forma di intensità che questo «necessariamente» assume nei delitti di bancarotta fraudolenta. In ordine al primo profilo, la ricerca evidenzia come l’elemento soggettivo del dolo subisca una surrettizia «normativizzazione», operata dalla giurisprudenza attraverso il ricorso ad un modello di accertamento a carattere presuntivo (dolus ex re).
In relazione al secondo profilo, e alla luce della configurazione dei reati di bancarotta accolta dalla giurisprudenza prevalente, l’analisi pone in luce la difficoltà logica di postulare un dolo intenzionale o diretto rispetto all’evento costituito dal dissesto economico - finanziario, con la conseguenza di derubricare implicitamente l’elemento soggettivo doloso alla sola forma «eventuale», da cui derivano le gravi debolezze in ordine alla differenziazione con la c.d. colpa cosciente.
L’interrogativo finale al quale la tesi tenta di formulare una risposta è se, in considerazione dei persistenti vizi di determinatezza e delle molteplici perplessità che emergono sul piano dell’imputazione soggettiva, le fattispecie penali fallimentari siano destinate ad evocare sempre un fumus di incostituzionalità, in attesa di un auspicabile ed organico intervento del legislatore.
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