• compliance
• d.lgs. 231/2001
• investigazioni interne

Nell’ampio contesto della responsabilità amministrativa degli enti ex D.lgs. 231/2001, l’istituto delle investigazioni interne non trova ad oggi in Italia una disciplina ad hoc e a dettarne le modalità di svolgimento sono la prassi, fonti di carattere non vincolante o le norme del codice di procedura penale dedicate all’istituto delle indagini difensive. Esso si rivela essere uno strumento dalle enormi potenzialità in tema di prevenzione del rischio reato e lotta alla criminalità di impresa, pur necessitando di adeguate cautele in merito alle modalità di svolgimento e all’utilizzo degli esiti in sede processuale. In altri ordinamenti, quali quello statunitense, l’istituto è posto a fondamento di strumenti premiali molto ampi per l’ente che scelga di effettuare una self-disclosure alle autorità e ci si domanda se anche nel nostro ordinamento non vi sia spazio per una maggiore premialità per l’ente che scelga di riferire gli esiti delle investigazioni interne tramite autodenuncia, incentivando la collaborazione con l’autorità prima ancora dell’instaurarsi di un procedimento penale. Numerose sono le proposte di riforma avanzate dalla dottrina sul tema, tra cui rilevano la possibile importazione dei DPA (deferred prosecution agreements) di stampo americano, l’estensione all’ente dell’istituto della sospensione del procedimento con messa alla prova e l’introduzione di specifiche cause di non punibilità, tutte ipotesi che presentano potenziali, ma non insuperabili, problematicità. Indubbia appare in ogni caso la necessità di un rinnovamento della disciplina, che sembra non essere più rinviabile alla luce delle spinte provenienti dalla dottrina e dalla giurisprudenza di merito.