Tesi etd-08262025-182031 |
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Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale LM5
Autore
CAPPELLI, GIORGIO
URN
etd-08262025-182031
Titolo
Lo ius culturae come modello di cittadinanza inclusiva. Compatibilità giuridica, esperienze europee e riforme legislative
Dipartimento
GIURISPRUDENZA
Corso di studi
GIURISPRUDENZA
Relatori
relatore Prof. Consorti, Pierluigi
Parole chiave
- assimilazionismo
- Canada
- cittadinanza
- Francia
- integrazione
- ius culturae
- ius scholae
- multiculturalismo
- Regno Unito
Data inizio appello
15/09/2025
Consultabilità
Completa
Riassunto
La tesi in esame si propone di esaminare le possibilità, i limiti e le sfide legate all’introduzione dello ius culturae in Italia.
In particolare, si intende valutare se tale strumento possa rappresentare un supporto valido alle politiche integrative del nostro Paese, oggi più che mai caratterizzato da una società superdiversa, in cui la diversità sociale, in particolare quella migratoria, non è più riconducibile a categorie vaste ed omogenee, manifestandosi invece come una rete complessa di origini, legami, status e condizioni economiche. Una società che richiede al nostro ordinamento il continuo adattarsi per far fronte a un pluralismo sempre crescente, derivante dall’incontro di persone diverse per fede religiosa, cultura e origini. Questo crogiolo di culture porta difatti con sé ricchezza e diversità, ma le sfide politiche e culturali legate all’accoglienza di nuovi cittadini di etnie diverse possono suscitare timori di perdita di identità nazionale, inasprendo il dibattito sull'integrazione e sull’applicazione dei diritti civili in un contesto di crescente diversità.
L’approccio iniziale per trattare tali diversità dovrebbe essere la consapevolezza piena del concetto del diritto ad essere sé stessi.
Tale prospettiva si fonda sull’uguaglianza “senza distinzioni”, ponendo particolare attenzione verso le categorie più vulnerabili. Si rende quindi necessaria a tale approccio un’estensione del principio di uguaglianza, andando a contemplare e a comprendere il più specifico principio di non discriminazione.
Proprio i diritti di libertà religiosa, che costituiscono uno degli aspetti più divisivi del tema trattato, dovrebbero presupporre una tutela antidisciminatoria, in quanto strettamente connessi con la dignità umana ed essendo, probabilmente, la massima espressione del diritto a essere sé stessi, laddove interpretati alla luce del più ampio ombrello della libertà di coscienza.
Sebbene non sia espressamente menzionata, la garanzia del diritto ad essere sé stessi, quale diritto alla propria identità complessivamente considerata, non meramente anagrafica o apparente, è stata l’obiettivo principale di numerosi provvedimenti legislativi adottati a partire dalla fine del secolo scorso. Si pensi, ad esempio, alle normative in materia di diritto alla riservatezza e di trattamento dei dati personali, le quali sono andate oltre l’originario intento di bilanciare il diritto ad essere lasciati in pace e il diritto di informazione, approdando invece alla tutela dell’identità personale intesa come garanzia di ognuno ad essere rappresentato esternamente in una maniera non travisata né distorta dall’idea che ciascuno ha di sé.
È proprio in quest’ottica che si inserisce la riflessione sulla cittadinanza, la quale potrebbe rivelarsi uno strumento fondamentale per la possibilità – diritto – di esprimere la propria persona umana nella sua totalità nonché nella forma più aderente alla percezione di sé stesso.
Pur riconoscendo che l'Italia garantisce comunque alcuni diritti fondamentali anche ai non cittadini, come l'accesso all'istruzione, alla salute e al lavoro, trattandosi di diritti umani fondamentali, quando si parla della possibilità di esprimere la propria identità e di esercitare le libertà individuali finalizzate alla realizzazione della propria persona, la cittadinanza assume un ruolo cruciale per garantire una piena espressione dell'identità personale.
Emerge difatti un nucleo di diritti e doveri che attualmente caratterizza il cittadino, differenziandolo da tutti coloro che non sono cittadini.
Proprio tale differenza mette in luce come la cittadinanza si configuri come uno strumento giuridico di fondamentale rilevanza, non rappresentando soltanto uno status formale attribuito dall’ordinamento, bensì incorpora un complesso articolato di diritti civili, politici e sociali, la cui titolarità risulta spesso subordinata al possesso dello status civitatis. Essa si presenta, pertanto, come un dispositivo normativo che opera una distinzione strutturale tra inclusi ed esclusi, determinando, di fatto, una linea di confine tra chi è pienamente riconosciuto dall’ordinamento giuridico – “noi” – e chi, pur presente nel territorio statale, ne rimane ai margini – “loro” –.
In questa prospettiva, la volontà dell’individuo di ottenere la cittadinanza non può essere interpretata solo come una mera richiesta di regolarizzazione amministrativa, bensì come un atto che mira al superamento di una condizione di estraneità non solo giuridica ma anche simbolica. Tale aspirazione evidenzia l’esistenza di una frattura tra appartenenza territoriale e appartenenza giuridico-politica, che si traduce, nella pratica, in un’asimmetria nell’accesso ai diritti, anche laddove si affermi il principio formale di uguaglianza.
Di conseguenza, il concetto di cittadinanza non può essere analizzato in termini meramente normativi, ma va collocato in una più ampia dimensione valoriale e costituzionale, che tenga conto dei principi di pluralismo religioso, inclusione e dignità della persona.
Un fondamentale profilo che caratterizza il cittadino attiene poi al rapporto col territorio: il cittadino ha un incondizionato diritto d’ingresso e un diritto a non esserne allontanato, laddove lo straniero ha un diritto di ingresso suscettibile di limitazioni, salvo il caso di una persona straniera titolare di protezione internazionale.
Il secondo profilo riguarda i rapporti politici e soprattutto il diritto di voto, oltre ad alcuni doveri costituzionali che sono di pertinenza esclusiva dei cittadini.
Per valutare l’opportunità dell’introduzione dello ius culturae, procederò anzitutto a tracciare il quadro dell’attuale disciplina in tema di cittadinanza, mettendo in evidenza come lo ius culturae possa migliorare i processi di integrazione per gli stranieri.
Un approccio comparativo sarà poi utile per osservare come altri Paesi europei hanno affrontato la questione, traendo, se possibile, insegnamenti dai loro errori o dagli obiettivi raggiunti.
Infine risulta opportuno analizzare le più recenti proposte di riforma in materia.
La presente ricerca si propone, dunque, non solo di esaminare la fattibilità dell’introduzione dello ius culturae, ma di contribuire a una riflessione più ampia sulle politiche di integrazione e sulla costruzione di una società inclusiva e pluralista, capace di rispondere alle sfide di un mondo globalizzato.
In particolare, si intende valutare se tale strumento possa rappresentare un supporto valido alle politiche integrative del nostro Paese, oggi più che mai caratterizzato da una società superdiversa, in cui la diversità sociale, in particolare quella migratoria, non è più riconducibile a categorie vaste ed omogenee, manifestandosi invece come una rete complessa di origini, legami, status e condizioni economiche. Una società che richiede al nostro ordinamento il continuo adattarsi per far fronte a un pluralismo sempre crescente, derivante dall’incontro di persone diverse per fede religiosa, cultura e origini. Questo crogiolo di culture porta difatti con sé ricchezza e diversità, ma le sfide politiche e culturali legate all’accoglienza di nuovi cittadini di etnie diverse possono suscitare timori di perdita di identità nazionale, inasprendo il dibattito sull'integrazione e sull’applicazione dei diritti civili in un contesto di crescente diversità.
L’approccio iniziale per trattare tali diversità dovrebbe essere la consapevolezza piena del concetto del diritto ad essere sé stessi.
Tale prospettiva si fonda sull’uguaglianza “senza distinzioni”, ponendo particolare attenzione verso le categorie più vulnerabili. Si rende quindi necessaria a tale approccio un’estensione del principio di uguaglianza, andando a contemplare e a comprendere il più specifico principio di non discriminazione.
Proprio i diritti di libertà religiosa, che costituiscono uno degli aspetti più divisivi del tema trattato, dovrebbero presupporre una tutela antidisciminatoria, in quanto strettamente connessi con la dignità umana ed essendo, probabilmente, la massima espressione del diritto a essere sé stessi, laddove interpretati alla luce del più ampio ombrello della libertà di coscienza.
Sebbene non sia espressamente menzionata, la garanzia del diritto ad essere sé stessi, quale diritto alla propria identità complessivamente considerata, non meramente anagrafica o apparente, è stata l’obiettivo principale di numerosi provvedimenti legislativi adottati a partire dalla fine del secolo scorso. Si pensi, ad esempio, alle normative in materia di diritto alla riservatezza e di trattamento dei dati personali, le quali sono andate oltre l’originario intento di bilanciare il diritto ad essere lasciati in pace e il diritto di informazione, approdando invece alla tutela dell’identità personale intesa come garanzia di ognuno ad essere rappresentato esternamente in una maniera non travisata né distorta dall’idea che ciascuno ha di sé.
È proprio in quest’ottica che si inserisce la riflessione sulla cittadinanza, la quale potrebbe rivelarsi uno strumento fondamentale per la possibilità – diritto – di esprimere la propria persona umana nella sua totalità nonché nella forma più aderente alla percezione di sé stesso.
Pur riconoscendo che l'Italia garantisce comunque alcuni diritti fondamentali anche ai non cittadini, come l'accesso all'istruzione, alla salute e al lavoro, trattandosi di diritti umani fondamentali, quando si parla della possibilità di esprimere la propria identità e di esercitare le libertà individuali finalizzate alla realizzazione della propria persona, la cittadinanza assume un ruolo cruciale per garantire una piena espressione dell'identità personale.
Emerge difatti un nucleo di diritti e doveri che attualmente caratterizza il cittadino, differenziandolo da tutti coloro che non sono cittadini.
Proprio tale differenza mette in luce come la cittadinanza si configuri come uno strumento giuridico di fondamentale rilevanza, non rappresentando soltanto uno status formale attribuito dall’ordinamento, bensì incorpora un complesso articolato di diritti civili, politici e sociali, la cui titolarità risulta spesso subordinata al possesso dello status civitatis. Essa si presenta, pertanto, come un dispositivo normativo che opera una distinzione strutturale tra inclusi ed esclusi, determinando, di fatto, una linea di confine tra chi è pienamente riconosciuto dall’ordinamento giuridico – “noi” – e chi, pur presente nel territorio statale, ne rimane ai margini – “loro” –.
In questa prospettiva, la volontà dell’individuo di ottenere la cittadinanza non può essere interpretata solo come una mera richiesta di regolarizzazione amministrativa, bensì come un atto che mira al superamento di una condizione di estraneità non solo giuridica ma anche simbolica. Tale aspirazione evidenzia l’esistenza di una frattura tra appartenenza territoriale e appartenenza giuridico-politica, che si traduce, nella pratica, in un’asimmetria nell’accesso ai diritti, anche laddove si affermi il principio formale di uguaglianza.
Di conseguenza, il concetto di cittadinanza non può essere analizzato in termini meramente normativi, ma va collocato in una più ampia dimensione valoriale e costituzionale, che tenga conto dei principi di pluralismo religioso, inclusione e dignità della persona.
Un fondamentale profilo che caratterizza il cittadino attiene poi al rapporto col territorio: il cittadino ha un incondizionato diritto d’ingresso e un diritto a non esserne allontanato, laddove lo straniero ha un diritto di ingresso suscettibile di limitazioni, salvo il caso di una persona straniera titolare di protezione internazionale.
Il secondo profilo riguarda i rapporti politici e soprattutto il diritto di voto, oltre ad alcuni doveri costituzionali che sono di pertinenza esclusiva dei cittadini.
Per valutare l’opportunità dell’introduzione dello ius culturae, procederò anzitutto a tracciare il quadro dell’attuale disciplina in tema di cittadinanza, mettendo in evidenza come lo ius culturae possa migliorare i processi di integrazione per gli stranieri.
Un approccio comparativo sarà poi utile per osservare come altri Paesi europei hanno affrontato la questione, traendo, se possibile, insegnamenti dai loro errori o dagli obiettivi raggiunti.
Infine risulta opportuno analizzare le più recenti proposte di riforma in materia.
La presente ricerca si propone, dunque, non solo di esaminare la fattibilità dell’introduzione dello ius culturae, ma di contribuire a una riflessione più ampia sulle politiche di integrazione e sulla costruzione di una società inclusiva e pluralista, capace di rispondere alle sfide di un mondo globalizzato.
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