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Archivio digitale delle tesi discusse presso l’Università di Pisa

Tesi etd-08262024-152913


Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale LM5
Autore
GIANNONE, MICHELE
URN
etd-08262024-152913
Titolo
Confini incerti tra dilettanti e professionisti di fatto alla luce della riforma del diritto del lavoro sportivo
Dipartimento
GIURISPRUDENZA
Corso di studi
GIURISPRUDENZA
Relatori
relatore Galardi, Raffaele
Parole chiave
  • D.Lgs. 28 febbraio 2021
  • dilettante
  • lavoratore sportivo
  • legge n. 91 del 23 marzo 1981
  • n. 36
  • professionista di fatto
  • rapporto di lavoro sportivo
Data inizio appello
16/09/2024
Consultabilità
Completa
Riassunto
Prima del 2021, il lavoro sportivo riguardava esclusivamente i professionisti che, ai sensi della Legge del n.91 del 1981, svolgevano un’attività sportiva con le caratteristiche di continuità e a titolo oneroso presso un sodalizio affiliato ad una federazione sportiva nazionale, la quale qualificava, discrezionalmente, il relativo sport come professionistico. Di fatto si attribuiva a questa scelta discrezionale il valore di fattore determinante per l’accesso del lavoratore ad un regime di favore e compatibile all’esigenze dell’attività sportiva rispetto a quello ordinario. Nel caso in cui la federazione avesse deciso di non aprire le porte al professionismo bisognava ricorrere al regime del lavoro ordinario. Il dilettante non essendo un professionista non veniva riconosciuto dall’ordinamento sportivo come lavoratore dello sport. La figura del dilettante si è evoluta nel corso degli anni; il dilettante non è più solamente lo sportivo che gioca ma è diventato un lavoratore, che svolge un’attività a titolo oneroso e in maniera continuativa, al pari dei professionisti con la sola differenza della qualifica da parte delle federazioni di appartenenza. La suddetta situazione veniva definita “professionismo di fatto” ed era una zona grigia priva di regolamentazione che ha dato il via ad una serie di pronunce giurisprudenziali d’impulso alla riforma. I professionisti di fatto subivano una discriminazione rispetto ai professionisti legali perché non avevano accesso alla disciplina speciale in tema di contratti e di tutele. Di conseguenza si doveva applicare, qualora il professionista di fatto ricorresse in giudizio e riconosciuti gli estremi del rapporto di lavoro, la disciplina ordinaria del rapporto di lavoro la quale, però, non era adatta alle caratteristiche dell’attività sportiva. Solo con la riforma del 2021 si riconosce il professionista di fatto come lavoratore sportivo, estendendo la disciplina previgente ai dilettanti con le conseguenti tutele e agevolazioni fiscali e contributive. Inoltre, l’obbiettivo è quello di garantire, attraverso oneri comunicativi, maggiore certezza nella qualificazione lavorativa. Ai fini del riconoscimento del dilettante come lavoratore sportivo, si pone l’accento sullo scambio tra prestazione e retribuzione piuttosto che sulla qualifica da parte delle federazioni. Inizialmente la questione dei dilettanti si pensava fosse risolta con il solo fatto di farli rientrare all’interno della categoria del lavoratore sportivo, tuttavia non tutti i dilettanti sono dei lavoratori. La disciplina prevista per gli amatori riproponeva in maniera identica quella che si applicava ai dilettanti nel periodo antecedente la riforma, fungendo da escamotage per quelle associazioni dilettantistiche che volevano ottenere un risparmio contributivo. Gli amatori, al pari dei vecchi dilettanti, ricevevano dei rimborsi spesa e indennità di trasferta fino alla soglia dei 10.000 euro annui. In sintesi, al di sotto di questa soglia venivano riconosciuti dall’ordinamento sportivo come amatori e come tali diversi dai lavoratori sportivi. Dunque, l’obbiettivo di eliminare le elusioni nel campo lavorativo ritorna sotto altre vesti e cioè quelle dell’amatore. La disciplina dell’amatore viene sostituita con quella del volontario così da creare una disciplina più rigida. I volontari ricevono rimborsi spesa e indennità di viaggio, non lavorano, non posso essere retribuiti, possono ricevere rimborsi e indennità. Gli unici rimborsi ammissibili riguardano le spese documentate quali vitto, alloggio, viaggio e trasporto, sostenute durante servizi svolti al di fuori del territorio comunale di residenza del volontario. Tali rimborsi non contribuiscono al reddito. Inoltre, possono essere rimborsati le spese sostenute presentando un'autocertificazione, purché l'importo complessivo non superi i 150 euro mensili. L'organismo sociale competente determina le tipologie di spese e di attività di volontariato ammissibili a tale modalità di rimborso. È importante notare che tali rimborsi non contano nel reddito del volontario. Così facendo si pone una linea di confine più netta tra lavoro e volontariato, eliminando le zone grigie dei vecchi dilettanti.
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