Tesi etd-08202025-212954 |
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Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale
Autore
DE FRANCO, LORENZO
URN
etd-08202025-212954
Titolo
Coesistenza Pacifica e Rivalità in Asia: Il Ruolo di India e Cina tra Guerra di Corea, Tibet e la Politica dei Non Allineati
Dipartimento
CIVILTA' E FORME DEL SAPERE
Corso di studi
STORIA E CIVILTÀ
Relatori
relatore Prof. Polsi, Alessandro
Parole chiave
- Cina
- coesistenza pacifica
- geopolitica
- guerra di Corea
- India
- Nehru
- non allineamento
- Panchsheel
- Tibet
Data inizio appello
03/10/2025
Consultabilità
Non consultabile
Data di rilascio
03/10/2065
Riassunto
Le relazioni tra India e Cina nel periodo 1949-1955 costituiscono un capitolo fondamentale della storia asiatica contemporanea, caratterizzato da un complesso intreccio di eredità storiche e nuove dinamiche geopolitiche emerse dopo la Seconda guerra mondiale. Questo studio analizza l’evoluzione del rapporto tra le due potenze in un contesto segnato dalla nascita della Repubblica Popolare Cinese e dal processo di definizione del ruolo internazionale dell’India dopo la sua indipendenza, con l’obiettivo di comprendere come elementi di rivalità e tentativi di coesistenza pacifica abbiano convissuto in una fase storica dominata dalla Guerra Fredda.
L’avvento del regime comunista nel 1949 segnò un cambiamento profondo nella politica estera cinese, ma non cancellò del tutto le tradizioni politiche precedenti. Il pragmatismo rimase un elemento costante, evidente nell’alleanza con l’Unione Sovietica, che tuttavia non implicò una totale subordinazione. La politica di Mao Zedong fu fortemente influenzata dall’esigenza di garantire la stabilità interna e consolidare il controllo sui confini terrestri, secondo una logica che richiamava la lunga storia dell’Impero cinese. In questa prospettiva si colloca l’invasione del Tibet del 1950, interpretata come riaffermazione della sovranità cinese, ma che provocò tensioni con i Paesi confinanti e richiamò l’attenzione della comunità internazionale.
Parallelamente, l’India, appena uscita dal colonialismo, affrontava la sfida di definire una politica estera autonoma. La visione di Jawaharlal Nehru si fondava sul principio del non allineamento, concepito come strumento per preservare l’indipendenza in un mondo diviso in blocchi contrapposti. Tuttavia, il Paese ereditava dal periodo coloniale britannico interessi strategici legati al Tibet, oltre a una relazione storica con quel territorio, che lo collocavano in una posizione ambigua. Sebbene Nuova Delhi manifestasse simpatia per le rivendicazioni tibetane, evitò un confronto diretto con Pechino per non compromettere rapporti considerati vitali per la stabilità regionale.
La Guerra di Corea (1950-1953) rappresentò un banco di prova significativo per le due potenze. La Cina consolidò la propria immagine di potenza regionale attraverso un coinvolgimento militare diretto, mentre l’India assunse un ruolo di mediazione, rafforzando la propria aspirazione a proporsi come promotrice della coesistenza pacifica. Tuttavia, nello stesso periodo la questione tibetana divenne il principale punto di attrito. Il Dalai Lama fece appello alle Nazioni Unite, ma le grandi potenze occidentali, Stati Uniti e Gran Bretagna, evitarono un impegno diretto, lasciando l’India in una posizione diplomatica estremamente delicata.
Il momento culminante dei rapporti bilaterali fu il trattato del 1954, noto come Panchsheel, che sancì i Cinque Principi di Coesistenza Pacifica. L’accordo rappresentò il tentativo più ambizioso di instaurare relazioni stabili, fondandosi su impegni reciproci di rispetto territoriale e non aggressione. L’India, attraverso questo trattato, riconobbe formalmente la sovranità cinese sul Tibet, mentre la Cina si impegnava a non interferire negli affari interni indiani. Tuttavia, dietro la retorica dell’amicizia e della solidarietà asiatica, Pechino continuava a rafforzare la propria presenza in Tibet, mentre Nuova Delhi subiva critiche interne per la percezione di aver ceduto su questioni fondamentali.
L’analisi del periodo 1949-1955 rivela dunque un quadro complesso, nel quale la cooperazione apparente mascherava tensioni latenti destinate a riemergere negli anni successivi. Le dinamiche di questa fase gettano luce sulle radici storiche delle odierne rivalità tra India e Cina, evidenziando come scelte compiute in un contesto di profonde trasformazioni abbiano avuto conseguenze durature sul piano geopolitico asiatico.
L’avvento del regime comunista nel 1949 segnò un cambiamento profondo nella politica estera cinese, ma non cancellò del tutto le tradizioni politiche precedenti. Il pragmatismo rimase un elemento costante, evidente nell’alleanza con l’Unione Sovietica, che tuttavia non implicò una totale subordinazione. La politica di Mao Zedong fu fortemente influenzata dall’esigenza di garantire la stabilità interna e consolidare il controllo sui confini terrestri, secondo una logica che richiamava la lunga storia dell’Impero cinese. In questa prospettiva si colloca l’invasione del Tibet del 1950, interpretata come riaffermazione della sovranità cinese, ma che provocò tensioni con i Paesi confinanti e richiamò l’attenzione della comunità internazionale.
Parallelamente, l’India, appena uscita dal colonialismo, affrontava la sfida di definire una politica estera autonoma. La visione di Jawaharlal Nehru si fondava sul principio del non allineamento, concepito come strumento per preservare l’indipendenza in un mondo diviso in blocchi contrapposti. Tuttavia, il Paese ereditava dal periodo coloniale britannico interessi strategici legati al Tibet, oltre a una relazione storica con quel territorio, che lo collocavano in una posizione ambigua. Sebbene Nuova Delhi manifestasse simpatia per le rivendicazioni tibetane, evitò un confronto diretto con Pechino per non compromettere rapporti considerati vitali per la stabilità regionale.
La Guerra di Corea (1950-1953) rappresentò un banco di prova significativo per le due potenze. La Cina consolidò la propria immagine di potenza regionale attraverso un coinvolgimento militare diretto, mentre l’India assunse un ruolo di mediazione, rafforzando la propria aspirazione a proporsi come promotrice della coesistenza pacifica. Tuttavia, nello stesso periodo la questione tibetana divenne il principale punto di attrito. Il Dalai Lama fece appello alle Nazioni Unite, ma le grandi potenze occidentali, Stati Uniti e Gran Bretagna, evitarono un impegno diretto, lasciando l’India in una posizione diplomatica estremamente delicata.
Il momento culminante dei rapporti bilaterali fu il trattato del 1954, noto come Panchsheel, che sancì i Cinque Principi di Coesistenza Pacifica. L’accordo rappresentò il tentativo più ambizioso di instaurare relazioni stabili, fondandosi su impegni reciproci di rispetto territoriale e non aggressione. L’India, attraverso questo trattato, riconobbe formalmente la sovranità cinese sul Tibet, mentre la Cina si impegnava a non interferire negli affari interni indiani. Tuttavia, dietro la retorica dell’amicizia e della solidarietà asiatica, Pechino continuava a rafforzare la propria presenza in Tibet, mentre Nuova Delhi subiva critiche interne per la percezione di aver ceduto su questioni fondamentali.
L’analisi del periodo 1949-1955 rivela dunque un quadro complesso, nel quale la cooperazione apparente mascherava tensioni latenti destinate a riemergere negli anni successivi. Le dinamiche di questa fase gettano luce sulle radici storiche delle odierne rivalità tra India e Cina, evidenziando come scelte compiute in un contesto di profonde trasformazioni abbiano avuto conseguenze durature sul piano geopolitico asiatico.
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