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Archivio digitale delle tesi discusse presso l’Università di Pisa

Tesi etd-08192025-111547


Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale LM5
Autore
LEMMI, GUENDALINA
URN
etd-08192025-111547
Titolo
Il "mito" della collaborazione di giustizia nella logica della finalità rieducativa della pena
Dipartimento
GIURISPRUDENZA
Corso di studi
GIURISPRUDENZA
Relatori
relatore Prof. Bresciani, Luca
Parole chiave
  • benefici penitenziari
  • collaboratori di giustizia
  • criminalità organizzata
  • finalità rieducativa della pena
  • i soggetti "irriducibili"
  • pentiti
Data inizio appello
15/09/2025
Consultabilità
Non consultabile
Data di rilascio
15/09/2095
Riassunto
Il presente elaborato ha l’obiettivo di analizzare la disciplina della legislazione antimafia nella logica della finalità rieducativa della pena, più nello specifico dell’istituto della collaborazione della giustizia e della sua funzione premiale riservata ai soggetti c.d. “pentiti.
All’interno dell’elaborato verrà trattata la nascita della normativa antimafia, che muove i suoi primi passi seguendo quanto già messo in atto dalla disciplina premiale antiterrorismo degli anni Ottanta e si analizzeranno i primi decreti emergenziali e le successive leggi di applicazione.
Si analizzerà il sistema premiale previsto per i collaboratori di giustizia, mettendone in risalto da un lato la positività di tale sistema e i risultati che ne derivarono soprattutto in seguito alle stragi di mafia avvenute nei primi anni Novanta del secolo scorso e dall’altro lato si analizzeranno le critiche mosse a tale sistema che negli ultimi trent’anni hanno accompagnato la normativa antimafia e la lotta alla criminalità organizzata da parte dello Stato.
Dalle critiche mosse nel corso degli anni Novanta e a causa di un sistema carente sotto molti aspetti, principalmente perché nato in un momento di grande emergenza per il nostro Paese, furono apportate modifiche alla normativa sui collaboratori di giustizia con la Legge n.45/2001, normativa tutt’ora in vigore e posta alla base della disciplina antimafia.
Di questa legge si analizzerà più nello specifico il dettato riservato ai benefici penitenziari per i collaboratori di giustizia e la possibilità di accedervi, al contrario di quanto avveniva fino a quel momento, soltanto dopo il loro ingresso negli istituti penitenziari non essendo più automatico che chiunque collabori debba essere sottoposto a programma di protezione.
Punto centrale e posto alla base di tale elaborato sarà infatti la finalità rieducativa della pena nella logica della disciplina riservata ai collaboratori di giustizia. Dall’entrata in vigore della disciplina antimafia fino ad oggi molte sono state le critiche mosse, critiche provenienti dal mondo accademico, dalla magistratura e dall’opinione pubblica.
Ci si è chiesti se realmente un soggetto collaboratore di giustizia possa essere ritenuto davvero un “pentito”, se realmente quindi si possa ritenere un soggetto rieducato e che possa accedere ai benefici premiali, e a sconti di pena solamente perchè decida di collaborare con l’autorità giudiziaria e non alla luce di un vero e proprio trattamento individuale rieducativo.
Il principio rieducativo è uno dei principi cardine dell’ordinamento penitenziario, disciplinato dall’art.27, comma 3 della Costituzione e la disciplina antimafia trova applicazione specialmente all’interno della fase esecutiva della pena, prevedendo l’accesso ai benefici penitenziari per i soggetti collaboranti ed escludendone l’accesso ai soggetti c.d. irriducibili.
Tale previsione, il c.d. “doppio binario”, ha portato con l’applicazione degli artt. 4 bis o.p. e 58 ter o.p., a domandarsi se la compressione della finalità rieducativa per i soggetti non collaboranti fosse costituzionalmente legittima e soprattutto: quanto realmente si può ritenere rieducato un soggetto che decide di collaborare con la giustizia? E quanto si può ritenere pericoloso un soggetto che al contrario decida di non collaborare e quindi di scontare la sua pena integralmente e perciò impossibilitato dalla stessa normativa a poter richiedere l’applicazione di benefici penitenziari, una volta scontata la pena richiesta per la loro applicazione?
La corte costituzionale che fino al 2019 aveva ritenuto legittima la normativa antimafia e l’istituto della collaborazione di giustizia (ritenendo che tale disciplina fosse sì nata da una scelta di politica criminale, come affermò la stessa corte nella sentenza 306/1993, ma che non per questo si poteva ritenere l’istituto dell’ostatività ai benefici penitenziari previsto per i soggetti “irriducibili” e la normativa premiale per i collaboratori di giustizia come incostituzionale), ha iniziato a sollevare dubbi di legittimità costituzionale soprattutto riguardo alla presunzione assoluta di pericolosità dei soggetti non collaboranti che ne determinava lo sbarramento per la richiesta dei benefici penitenziari e dei permessi premio.
Nella parte conclusiva dell’elaborato si analizzeranno le sentenze, europee e della Corte Costituzionale e le ordinanze che hanno portato alla riscrittura della disciplina riservata ai non collaboranti e soprattutto a come la finalità rieducativa della pena stia tornando al centro dell’esecuzione penale anche per i soggetti condannati per reati di stampo mafioso.





This paper aims to analyze the anti-mafia legislation within the framework of the rehabilitative purpose of punishment, specifically the institution of judicial cooperation and its rewarding function reserved for so-called "repentants."
This paper will address the birth of anti-mafia legislation, which took its first steps following the anti-terrorism rewards framework of the 1980s. It will also analyze the first emergency decrees and subsequent implementing laws.
It will analyze the reward system for judicial collaborators, highlighting, on the one hand, its positive aspects and the results it achieved, especially following the Mafia massacres of the early 1990s. On the other hand, it will analyze the criticisms leveled against this system that have accompanied anti-mafia legislation and the state's fight against organized crime over the past thirty years.
In response to criticisms leveled during the 1990s and a system lacking in many respects, primarily because it was created during a time of great emergency for our country, changes were made to the legislation on collaborators of justice with Law No. 45/2001, a law still in force today and the foundation of anti-mafia legislation.
This law will be analyzed in more detail: the provisions regarding prison benefits for collaborators of justice and the possibility of accessing them, unlike what had occurred until then, only after their entry into prison; it is no longer automatic that anyone who collaborates must be placed under a protection program.
The central and underlying focus of this paper will be the re-educational purpose of punishment within the framework of the legislation governing collaborators of justice. Since the enactment of the anti-mafia legislation until today, there has been considerable criticism, from academia, the judiciary, and the public.
The question has been raised as to whether a person who cooperates with justice can truly be considered a "repentant"—whether, therefore, they can truly be considered re-educated and eligible for rewards and sentence reductions solely because they decide to cooperate with the judicial authorities, and not as a result of actual individual re-educational treatment.
The principle of re-education is one of the cornerstones of the penitentiary system, governed by Article 27, paragraph 3 of the Constitution. Anti-mafia legislation applies especially during the execution phase of sentences, providing access to penitentiary benefits for those who cooperate and excluding access to so-called "irreducible" individuals.
This provision, the so-called "double track," has led, with the application of Articles 4 bis of the penal code. and 58 ter of the Criminal Procedure Code, to ask whether the restriction of the re-educational purpose for non-cooperating individuals was constitutionally legitimate and, above all, to what extent can a person who decides to cooperate with justice be considered re-educated? And to what extent can a person be considered dangerous who, on the contrary, decides not to cooperate and therefore to serve his sentence in full, and is therefore prevented by the same legislation from requesting the application of prison benefits, once he has served the sentence required for their application?
The Constitutional Court, which until 2019 had deemed the anti-mafia legislation and the institution of judicial cooperation legitimate (considering that this legislation was indeed born out of a criminal policy choice, as the court itself affirmed in ruling 306/1993, but that this did not mean that the institution of impediment to prison benefits provided for "irreducible" individuals and the bonus legislation for judicial cooperation could be considered unconstitutional), began to raise doubts about the constitutionality of the legislation, especially regarding the absolute presumption of dangerousness of non-collaborating individuals, which determined the barrier to their requesting prison benefits and reward permits.
The final section of the paper will analyze the European and Constitutional Court rulings and ordinances that led to the rewriting of the rules governing non-cooperation, and, above all, how the re-educational purpose of punishment is returning to the forefront of criminal enforcement, even for those convicted of mafia-related crimes.
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