Tesi etd-08032024-110455 |
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Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale LM5
Autore
PIERCECCHI, MATTIA
URN
etd-08032024-110455
Titolo
Genesi ed evoluzione della nozione di sottoprodotto
Dipartimento
GIURISPRUDENZA
Corso di studi
GIURISPRUDENZA
Relatori
relatore Prof.ssa Lolli, Ilaria
Parole chiave
- by-products
- circular economy
- economia circolare
- gestione dei rifiuti
- sottoprodotti
- Waste management
Data inizio appello
16/09/2024
Consultabilità
Non consultabile
Data di rilascio
16/09/2064
Riassunto
In questo elaborato intendo fornire una ricostruzione, anche storica, della nozione di sottoprodotto, al fine di mettere in mostra le sue in parte disattese potenzialità di realizzazione degli obiettivi di economia circolare, oggi guida di tutto l’impianto normativo del diritto ambientale in generale e della gestione dei rifiuti in particolare, e teorizzare alcune prospettive future di miglioramento. Per fare ciò parto dal dettato normativo e dalle sentenze della giurisprudenza, riportando i commenti e le opinioni che delle stesse dà la dottrina.
A questo fine si inizia con una breve introduzione ai concetti di economia circolare e di gestione dei rifiuti, in modo da definire un minimo il quadro normativo in cui si inserisce la nozione di sottoprodotto. Con riguardo alla gestione dei rifiuti ci si concentra in particolare sul significato e l’attuazione del principio di prevenzione, di cui l’istituto del sottoprodotto è una attuazione.
Entrando più nel vivo della questione si procede a una ricostruzione storica dell’evoluzione della nozione di sottoprodotto. Mi soffermo in particolare su alcune tappe fondamentali, quali la sentenza Palin Granit del 2002, punto di partenza necessario, ove per la prima volta il sottoprodotto è menzionato a livello europeo e dove già vengono cristallizzati gli elementi fondamentali della sua definizione, che anche se soggetti a evoluzioni e modifiche negli anni, resta sempre riconoscibile la provenienza da questa storica pronuncia della Corte di Giustizia. Sempre in ottica europea mi soffermo sulla direttiva numero 98 del 2008, il primo atto legislativo europeo in cui si fornisce una definizione di sottoprodotto, e il luogo di introduzione del concetto di “normale pratica industriale”. Ovviamente non intendo trascurare le vicissitudini nazionali, per cui si riporta la parallela evoluzione della nozione nell’ordinamento italiano, con la ricezione, più o meno corretta, degli atti e degli orientamenti dell’Unione Europea, da parte in particolare del decreto legislativo 152 del 2006, ove dalla sua emanazione è contenuta una negli anni spesso modificata definizione di sottoprodotto, e da numerose sentenze della Corte di Cassazione, senza però non menzionare l’elaborazione in tempi già risalenti da parte della prassi Italiana di nozioni che se non proprio di sottoprodotto, ne condividono alcuni tratti fondamentali.
Terminata la ricostruzione storica dissezionò la nozione di sottoprodotto come è ad oggi consolidata, soffermandomi uno per uno sui suoi quattro principali elementi, ovvero la provenienza da un processo di produzione di cui il sottoprodotto non è il prodotto principale, la certezza del suo riutilizzo, che questo riutilizzo avvenga senza trattamenti che esulano dalla “normale pratica industriale”, e che questo riutilizzo non sia illegale nonché nocivo per la salute e l’ambiente.
Nell’ultimo capitolo non resta quindi che rivelare quelle che nell’opinione di una buona parte della dottrina, opinione che ovviamente condivido, sono le principale criticità della nozione, e le difficoltà che incontra in fase attuativa. Si parte con una valutazione della correttezza e opportunità del risalente e consolidato orientamento della Corte di Giustizia per cui è vietato dare una interpretazione restrittiva della nozione di rifiuto, che come aspiro a illustrare nei capitoli successivi è a monte di almeno alcune delle difficoltà interpretative dell’oggetto di questo elaborato. A tal fine si parla delle difficoltà interpretative della nozione, anche portando esempi di vicissitudini giurisprudenziali travagliate nell’escludere o meno dal novero dei rifiuti una data sostanza. Delle inefficienze burocratiche, anche se a onor del vero praticamente fisiologiche nell’ordinamento italiano. Delle difficoltà, in sede procedimentale, di prova della qualifica di sottoprodotto, alla luce dell’inversione del normale onere probatorio a danno di colui che voglia avvalersi della qualifica di sottoprodotto.
Infine, riporto alcune prospettive di evoluzione futura ipotizzate dai commentatori.
In this paper, I aim to provide a reconstruction, including a historical one, of the notion of byproduct, in order to highlight its partially unfulfilled potential in achieving the objectives of a circular economy. Today, the circular economy guides the entire regulatory framework of environmental law in general and waste management in particular. I will also theorize some future perspectives for improvement. To achieve this, I will start from the regulatory provisions and judicial rulings, reporting the comments and opinions that the legal doctrine provides on them.
To this end, the paper begins with a brief introduction to the concepts of circular economy and waste management, to minimally define the regulatory framework within which the notion of byproduct is situated. Regarding waste management, the focus will be particularly on the meaning and implementation of the prevention principle, of which the institution of the byproduct is an implementation.
Delving deeper into the issue, I will proceed with a historical review of the evolution of the notion of byproduct. I will focus particularly on some key milestones, such as the Palin Granit ruling of 2002, a necessary starting point where the byproduct was mentioned for the first time at the European level and where the fundamental elements of its definition were already crystallized. Despite being subject to evolutions and modifications over the years, it remains recognizable as originating from this historic ruling of the Court of Justice. Still in a European context, I will focus on Directive 98 of 2008, the first European legislative act to provide a definition of byproduct, and the introduction of the concept of “normal industrial practice.” Of course, I will not overlook the national vicissitudes, reporting the parallel evolution of the notion in the Italian legal system, with the reception, more or less correct, of the acts and orientations of the European Union, particularly by Legislative Decree 152 of 2006, where a definition of byproduct, often modified over the years, has been contained since its enactment, and by numerous rulings of the Court of Cassation. I will also mention the elaboration in earlier times by Italian practice of notions that, if not precisely byproducts, share some fundamental traits.
Having completed the historical reconstruction, I will dissect the notion of byproduct as it is currently consolidated, focusing on its four main elements: its origin from a production process where it is not the main product, the certainty of its reuse, the condition that this reuse occurs without treatments beyond “normal industrial practice,” and that this reuse is not illegal nor harmful to health and the environment.
In the final chapter, I will reveal what, in the opinion of a significant part of the doctrine, an opinion I obviously share, are the main criticisms of the notion and the difficulties it encounters in implementation. This starts with an assessment of the correctness and appropriateness of the long-standing and consolidated
orientation of the Court of Justice that it is prohibited to give a restrictive interpretation of the notion of waste. As I aspire to illustrate in the following chapters, this is at the root of at least some of the interpretative difficulties of the subject of this paper. To this end, I will discuss the interpretative difficulties of the notion, also providing examples of complex jurisprudential vicissitudes in excluding or not excluding a given substance from the category of waste. I will address bureaucratic inefficiencies, which are almost physiological in the Italian legal system. I will discuss the procedural difficulties of proving the qualification of byproduct, in light of the inversion of the normal burden of proof to the detriment of those who wish to use the qualification of byproduct.
Finally, I will present some future evolution perspectives hypothesized by commentators.
A questo fine si inizia con una breve introduzione ai concetti di economia circolare e di gestione dei rifiuti, in modo da definire un minimo il quadro normativo in cui si inserisce la nozione di sottoprodotto. Con riguardo alla gestione dei rifiuti ci si concentra in particolare sul significato e l’attuazione del principio di prevenzione, di cui l’istituto del sottoprodotto è una attuazione.
Entrando più nel vivo della questione si procede a una ricostruzione storica dell’evoluzione della nozione di sottoprodotto. Mi soffermo in particolare su alcune tappe fondamentali, quali la sentenza Palin Granit del 2002, punto di partenza necessario, ove per la prima volta il sottoprodotto è menzionato a livello europeo e dove già vengono cristallizzati gli elementi fondamentali della sua definizione, che anche se soggetti a evoluzioni e modifiche negli anni, resta sempre riconoscibile la provenienza da questa storica pronuncia della Corte di Giustizia. Sempre in ottica europea mi soffermo sulla direttiva numero 98 del 2008, il primo atto legislativo europeo in cui si fornisce una definizione di sottoprodotto, e il luogo di introduzione del concetto di “normale pratica industriale”. Ovviamente non intendo trascurare le vicissitudini nazionali, per cui si riporta la parallela evoluzione della nozione nell’ordinamento italiano, con la ricezione, più o meno corretta, degli atti e degli orientamenti dell’Unione Europea, da parte in particolare del decreto legislativo 152 del 2006, ove dalla sua emanazione è contenuta una negli anni spesso modificata definizione di sottoprodotto, e da numerose sentenze della Corte di Cassazione, senza però non menzionare l’elaborazione in tempi già risalenti da parte della prassi Italiana di nozioni che se non proprio di sottoprodotto, ne condividono alcuni tratti fondamentali.
Terminata la ricostruzione storica dissezionò la nozione di sottoprodotto come è ad oggi consolidata, soffermandomi uno per uno sui suoi quattro principali elementi, ovvero la provenienza da un processo di produzione di cui il sottoprodotto non è il prodotto principale, la certezza del suo riutilizzo, che questo riutilizzo avvenga senza trattamenti che esulano dalla “normale pratica industriale”, e che questo riutilizzo non sia illegale nonché nocivo per la salute e l’ambiente.
Nell’ultimo capitolo non resta quindi che rivelare quelle che nell’opinione di una buona parte della dottrina, opinione che ovviamente condivido, sono le principale criticità della nozione, e le difficoltà che incontra in fase attuativa. Si parte con una valutazione della correttezza e opportunità del risalente e consolidato orientamento della Corte di Giustizia per cui è vietato dare una interpretazione restrittiva della nozione di rifiuto, che come aspiro a illustrare nei capitoli successivi è a monte di almeno alcune delle difficoltà interpretative dell’oggetto di questo elaborato. A tal fine si parla delle difficoltà interpretative della nozione, anche portando esempi di vicissitudini giurisprudenziali travagliate nell’escludere o meno dal novero dei rifiuti una data sostanza. Delle inefficienze burocratiche, anche se a onor del vero praticamente fisiologiche nell’ordinamento italiano. Delle difficoltà, in sede procedimentale, di prova della qualifica di sottoprodotto, alla luce dell’inversione del normale onere probatorio a danno di colui che voglia avvalersi della qualifica di sottoprodotto.
Infine, riporto alcune prospettive di evoluzione futura ipotizzate dai commentatori.
In this paper, I aim to provide a reconstruction, including a historical one, of the notion of byproduct, in order to highlight its partially unfulfilled potential in achieving the objectives of a circular economy. Today, the circular economy guides the entire regulatory framework of environmental law in general and waste management in particular. I will also theorize some future perspectives for improvement. To achieve this, I will start from the regulatory provisions and judicial rulings, reporting the comments and opinions that the legal doctrine provides on them.
To this end, the paper begins with a brief introduction to the concepts of circular economy and waste management, to minimally define the regulatory framework within which the notion of byproduct is situated. Regarding waste management, the focus will be particularly on the meaning and implementation of the prevention principle, of which the institution of the byproduct is an implementation.
Delving deeper into the issue, I will proceed with a historical review of the evolution of the notion of byproduct. I will focus particularly on some key milestones, such as the Palin Granit ruling of 2002, a necessary starting point where the byproduct was mentioned for the first time at the European level and where the fundamental elements of its definition were already crystallized. Despite being subject to evolutions and modifications over the years, it remains recognizable as originating from this historic ruling of the Court of Justice. Still in a European context, I will focus on Directive 98 of 2008, the first European legislative act to provide a definition of byproduct, and the introduction of the concept of “normal industrial practice.” Of course, I will not overlook the national vicissitudes, reporting the parallel evolution of the notion in the Italian legal system, with the reception, more or less correct, of the acts and orientations of the European Union, particularly by Legislative Decree 152 of 2006, where a definition of byproduct, often modified over the years, has been contained since its enactment, and by numerous rulings of the Court of Cassation. I will also mention the elaboration in earlier times by Italian practice of notions that, if not precisely byproducts, share some fundamental traits.
Having completed the historical reconstruction, I will dissect the notion of byproduct as it is currently consolidated, focusing on its four main elements: its origin from a production process where it is not the main product, the certainty of its reuse, the condition that this reuse occurs without treatments beyond “normal industrial practice,” and that this reuse is not illegal nor harmful to health and the environment.
In the final chapter, I will reveal what, in the opinion of a significant part of the doctrine, an opinion I obviously share, are the main criticisms of the notion and the difficulties it encounters in implementation. This starts with an assessment of the correctness and appropriateness of the long-standing and consolidated
orientation of the Court of Justice that it is prohibited to give a restrictive interpretation of the notion of waste. As I aspire to illustrate in the following chapters, this is at the root of at least some of the interpretative difficulties of the subject of this paper. To this end, I will discuss the interpretative difficulties of the notion, also providing examples of complex jurisprudential vicissitudes in excluding or not excluding a given substance from the category of waste. I will address bureaucratic inefficiencies, which are almost physiological in the Italian legal system. I will discuss the procedural difficulties of proving the qualification of byproduct, in light of the inversion of the normal burden of proof to the detriment of those who wish to use the qualification of byproduct.
Finally, I will present some future evolution perspectives hypothesized by commentators.
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