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Archivio digitale delle tesi discusse presso l’Università di Pisa

Tesi etd-06032024-174800


Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale
Autore
SISTI, GIULIA
URN
etd-06032024-174800
Titolo
Declinazioni del macabro nella novellistica rinascimentale. I casi di Masuccio e Bandello
Dipartimento
FILOLOGIA, LETTERATURA E LINGUISTICA
Corso di studi
ITALIANISTICA
Relatori
relatore Prof.ssa Cabani, Maria Cristina
Parole chiave
  • Bandello
  • macabro
  • Masuccio
  • novellistica rinascimentale
  • origini
Data inizio appello
05/07/2024
Consultabilità
Non consultabile
Data di rilascio
05/07/2094
Riassunto
Fin dall’inizio dei tempi la morte è sempre stata la più assidua compagna di vita dell’uomo e nel corso dei secoli l’atteggiamento dell’uomo nei confronti di essa è variato: non è quindi strano che essa sia uno dei topoi più presenti sia nella letteratura che nell’arte. Prendiamo in esame la lettura che dà lo storico Ariès nel suo libro Western Attitudes toward Death: from the Middle Ages to the Present , in cui espone le prime tesi alle quali era giunto nei suoi anni di studio. Ariès individua, per prima cosa, quattro diversi atteggiamenti di fronte alla morte che si sono susseguiti dalla fine del Medioevo fino agli anni Settanta. Quella da lui definita come «morte addomesticata» è tipica dell’epoca antica e medievale, in cui la morte veniva accettata e considerata una tappa normale nella vita dell’uomo:

In a world of change the traditional attitude toward death appears inert and static. The old attitude in which death was both familiar and near, evoking no great fear or awe, offers too marked a contrast to ours, where death is so frightful that we dare not utter its name. This is why I have called this household sort of death “tamed death.” I do not mean that death had once been wild and that it had ceased to be so. I mean, on the contrary, that today it has become wild.

Tuttavia, con la diffusione del cristianesimo e, in particolare, con la nascita della preoccupazione per il destino di ogni singolo individuo, l’atteggiamento della «morte addomesticata» comincia a modificarsi, fino a trasformarsi nella «morte di sé» .

In the mirror of his own death each man would discover the secret of his individuality. And this relationship - which Greco-Roman Antiquity, and especially Epicuruanism, had glimpsed briefly and had then lost – has from time on never ceased to make an impression on our Western civilization. With little difficulty the man of traditional societies, the man of the first Middle ages […] became resigned to the idea that we are all mortal. Since the Earlt Middle Ages Western man has come to see himself in his own death: he has discovered la mort de soi, one’s own death.

Secondo Ariès questo atteggiamento resiste per tutto il XV e XVI secolo: si pensava che il giudizio avvenisse al momento del trapasso e si sviluppa la convinzione che per salvarsi occorra morire avendo vissuto secondo i precetti morali cristiani.
Tra la fine del XVI e fino al XVIII secolo la morte perde il suo carattere di familiarità e diventa un momento di rottura del quotidiano, acquistando sempre di più un carattere erotico, trasgressivo ed eroico. I presenti non sono più partecipi dell’evento ma ne diventano spettatori e la stessa famiglia del morente si limita a essere soltanto un’esecutrice degli atti del testamento. È, appunto, quella che lo storico definisce come «morte dell’altro» . Nella profonda differenza tra le concezioni di queste due epoche Ariès ritiene di rintracciare gli approcci profondamente diversi di artisti e letterati antiche e moderni nei confronti della morte.
Partendo da questi assunti vorrei interrogarmi su una delle manifestazioni più suggestive della topica funebre: il macabro, rilevando le specificità antropologiche e culturali di questi testi rispetto alla prospettiva di un lettore contemporaneo.
Il mio lavoro andrà quindi ad analizzare la declinazione del macabro dalle sue origini, riscontrate nella letteratura classica latina, fino a Masuccio e Bandello, sui quali si concentrerà la mia analisi.
Nel primo capitolo sono andata a recuperare le coordinate di origine del macabro risalendo sia alle fonti artistiche, come le Danses Macabres, le sacre rappresentazioni e le Dit, sia alle fonti letterarie latine.
Per quanto riguarda le fonti artistiche, a livello culturale, è interessante notare come il macabro venga sempre collegato al topos della morte soprattutto in ambito religioso: infatti, fin dall’inizio dell’Età medievale, soprattutto nelle zone rurali, i rituali della morte erano pregni di costumi ancestrali e pagani che il cristianesimo cercò di eliminare o, quando non era possibile, di cristianizzare.
Ad esempio, la credenza popolare secondo cui la morte prematura portasse l’anima “in pena” del defunto a vagare tra i vivi, perché il morto non era in “pace con Dio”, portò la Chiesa a “creare” un luogo intermedio tra Inferno e Paradiso, dove le anime attendevano che i vivi, con le loro preghiere, ne ottenessero la salvezza, e venne così elaborato il concetto di Purgatorio. Infatti, prima dell’anno 1000, vi era la convinzione che le anime dei defunti se erano meritevoli ascendevano in Paradiso, raffigurato come un giardino fiorito in cui essi beatamente oziavano, mentre coloro che in vita erano stati malvagi, bruciavano all’Inferno: non c’era una soluzione intermedia per chi, pur non avendo grossi meriti, non aveva compiuto nessun tipo di cattiva azione.
Ne consegue che, nonostante le anime avessero bisogno delle intercessioni dei vivi per accedere al Paradiso, esse dovessero nel frattempo avere un luogo di confine nel quale potersi riscattare con le preghiere dei vivi. Da questo ragionamento si è originata la credenza che queste anime sfortunate soggiornassero nei pressi del luogo dove avevano trovato la morte al fine di apparire con più facilità a chi era rimasto in vita. La fonte più autorevole in materia furono gli scritti di Sant’Agostino De cura pro mortis Gerenda e De Civitate Dei, nei quali egli asseriva che se i morti appaiono ai vivi è solo per opera di Dio e non lo facciano con il loro corpo ma con lo spirito, esclusivamente per chiedere d’essere sepolti o per ricevere le necessarie preghiere. Qualora un morto si presenti ad un congiunto con il proprio corpo la colpa è del Diavolo, ma anche il Diavolo non può nulla senza il benestare del Signore. Di conseguenza le apparizioni dei fantasmi erano “legittime”, mentre quelle dei defunti “in corpore” erano frutto del malvagio operato di Satana.
La cristianizzazione di certi riti legati al culto dei morti, iniziò con la cultura monastica per poi diffondersi rapidamente tra la popolazione. Tra il 1024 e il 1033 il monastero di Cluny istituì la festa dei morti che si sarebbe svolta ogni anno il 2 novembre, dopo il giorno di Tutti i Santi. In questa giornata si recitavano le preghiere per le anime del Purgatorio al fine di accorciare la loro permanenza in quel luogo di transizione dal quale potevano, col permesso di Dio, affacciarsi al mondo dei vivi per esortarli a compiere qualche azione che desse loro sollievo nell’attesa di congiungersi a Dio.
In forme artistiche come le sacre rappresentazioni, le danze macabre e le Dit, è possibile rintracciare un altro aspetto della cristianizzazione del rapporto dell’uomo medievale con i defunti: perché il macabro diventa uno strumento per guidare la vita dell’uomo con la sua suggestività, che riesce a fare presa sul fedele per dissuaderlo da condotte immorali che conducono alla morte spirituale. Naturalmente, operazioni di questo tipo non erano prive di intenti coercitivi: un così stretto controllo sull’agire degli individui della comunità sconfinava necessariamente in un’influenza sociale, politica, economica. Se quindi le sacre rappresentazioni, le danze macabre e le Dit sono per gli uomini moderni storie soprannaturali macabre e orrorifiche, per il lettore medievale rappresentavano una realtà possibile da rifuggire e esorcizzare.
Per quanto riguarda le fonti letterarie latine ho fatto una ricostruzione dei maggiori esponenti del macabro: Seneca, Virgilio, Lucano, Ovidio e Stazio che diventeranno i maggiori punti di riferimento per lo stile epico del Medioevo e del Rinascimento. In autori come Masuccio e Bandello possiamo ritrovare caratteristiche come il pathos elegiaco virgiliano, l’attenzione ai dettagli truculenti presenti nelle descrizioni delle battaglie senechiane. Tuttavia, il lavoro rileva una profonda differenza tra le funzioni del macabro antico e quelle del macabro medievale: ciò che interessava agli autori latini erano soprattutto il pathos e la suggestività che il macabro e il grottesco potevano offrire, come mezzi stilistici che potenziavano l’effetto impressionistico del testo.
Possiamo vedere quindi che lo stile macabro è senza dubbio nato precedentemente al Medioevo in letteratura, ma che con l’avvento della chiesa ha acquisito una propria consapevolezza a livello teoretico ed ha ampliato la sua sfera di influenza.
Dopo un breve excursus sul genere della novellistica nel secondo capitolo, il terzo capitolo introduce la vita di Masuccio Salernitano (Tommaso Guardati), autore quattrocentesco, e il suo Novellino.
Il focus del quarto capitolo è l’analisi di sei novelle accuratamente selezionate di Masuccio che mostrano di avere caratteristiche e proprietà maggiormente attinenti allo stile macabro: la scelta delle novelle è avvenuta dopo la lettura integrale dell’opera di Masuccio e mettendo al vaglio le novelle esemplari per la presenza della componente macabra.
Le sei novelle scelte racchiudono, quindi, quelli che ritengo gli elementi più emblematici e esplicativi dello stile macabro in Masuccio, e l’intento è quello di analizzare nel particolare come lo stile macabro si sia evoluto rispetto alle fonti precedentemente riportate e con quali funzioni venga utilizzato dall’autore nelle sue novelle. Il macabro di Masuccio tende spesso a essere relegato alla sfera della beffa e del riso, connotandosi spesso come “falso” soprannaturale e mettendo in ridicolo le convinzioni moralistiche del proprio tempo e l’ipocrisia degli ecclesiastici.
Il quinto capitolo si concentra, invece, sulla vita, lo stile e le Novelle di Matteo Bandello, un autore della generazione successiva a Masuccio e di origine lombarda.
Il sesto capitolo quindi andrà ad analizzare cinque novelle per tratteggiare e illustrare lo stile macabro proprio dell’autore: un autore che rompe dai canoni masucciani e che si concentra sul macabro della cronaca nera, offrendo lo spettacolo della brutta faccia della morte attraverso l’attenzione ai particolari e al realismo. Nel capitolo conclusivo, il paragone con gli esempi di Masuccio evidenzia un contrasto netto fra i due autori: in Masuccio possiamo ritrovare uno stile improntato all’ironia e alla comicità, con l’eccezione delle novelle tragiche XXXI, XXXIII e XXXVII (di cui si darà menzione); mentre in Bandello si può riscontrare uno stile più scientifico, oggettivo, in cui l’esibizione di elementi macabri è fatta rientrare nell’esigenza di dare un taglio cronachistico alla narrazione, naturalmente non tralasciando una forte indulgenza verso gli aspetti più suggestivi della violenza con aspetti che si possono riportare ad un atteggiamento manieristico.
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