Tesi etd-05312024-154354 |
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Tipo di tesi
Tesi di dottorato di ricerca
Autore
ROSATO, ANTONIO
URN
etd-05312024-154354
Titolo
Relazioni fiscali delle imprese multinazionali: accordi o regole sostanziali? Prospettiva internazionale ed europea
Settore scientifico disciplinare
IUS/12
Corso di studi
SCIENZE GIURIDICHE
Relatori
tutor Prof.ssa Boletto, Giulia
Parole chiave
- BEFIT
- BEPS
- Formulary apportionment
- OCSE
- Pillar One
- Risorse proprie
- Rule of law
- Transizione digitale
Data inizio appello
18/06/2024
Consultabilità
Non consultabile
Data di rilascio
18/06/2027
Riassunto
Il presente lavoro indaga il tema delle relazioni fiscali delle imprese multinazionali con gli Stati in cui esse sviluppano il proprio mercato.
Dopo i pregressi tentativi di governare gli effetti fiscali indotti dalla transizione digitale del sistema economico, l’accordo raggiunto nel 2021 in seno al progetto di contrasto all’erosione delle basi imponibili e alla traslazione dei profitti (c.d. BEPS) dell’OCSE ha innovato profondamente i criteri di distribuzione dei diritti impositivi, riequilibrandoli in favore delle giurisdizioni dove sono forniti beni e servizi o sono localizzati i consumatori. Il primo pilastro dell’accordo (c.d. Pillar One) esprime l’evoluzione dai meccanismi – particolari e concreti – di tipo procedurale (come le procedure amichevoli, gli accordi preventivi e l’adempimento collaborativo), sinora impiegati per risolvere e prevenire le liti con le Autorità fiscali, verso regole del diritto sostanziale, dotate di valenza generale e astratta, per il riparto formulario dei profitti tra gli Stati. Invero, la disciplina delle relazioni fiscali delle imprese multinazionali sembra aver imboccato la via degli accordi tra giurisdizioni, introducendo prescrizioni nette e imperative, direttamente applicabili dai contribuenti. Questo approccio include una fisiologica garanzia di certezza per gli agenti economici, stralcia la discrezionalità tipica delle relazioni fiscali attraverso procedure non obbligatorie e dissolve la centralità dell’atto giuridico stipulato negli accordi preventivi, ripristinando un sufficiente livello di potere negoziale in capo alle Autorità fiscali. Quanto all’impatto sui principi democratici dell’imposizione, risalta la lesione del principio di uguaglianza causata dagli strumenti procedurali, che, ora, il passaggio a formule predeterminate consente di superare, se non altro all’interno delle soglie di applicabilità della disciplina. Nel primo pilastro, si rinvengono poi delle importanti forme di tutela del legittimo affidamento, repressive del rischio che l’affidamento riposto dai soggetti in-scope possa essere disatteso da una difforme interpretazione delle Autorità fiscali circa l’assoggettamento alle nuove regole, le differenze nel loro recepimento o la scelta della metodologia allocativa dei diritti impositivi. La strada delle regole sostanziali, tuttavia, appare meritevole anche di interventi migliorativi, in grado di assicurare una maggiore inclusività negoziale ai Paesi in via di sviluppo e risolvere determinati limiti della ripartizione formularia delle basi imponibili: la frequente complessità, i rischi di una distorta allocazione attraverso comportamenti opportunistici e i pregiudizi alla cooperazione tra giurisdizioni sui criteri di computo dell’imponibile, sui fattori di riparto e il loro peso relativo.
Interprete di questi meccanismi, l’Unione europea sta lavorando a un sistema comune di tassazione delle società (c.d. BEFIT) e allo specifico recepimento del primo pilastro OCSE, che verrebbe attuato a partire dalle regole del BEFIT. Sebbene con base giuridica nel tradizionale art. 115 TFUE sul ravvicinamento delle disposizioni legislative degli Stati membri per garantire il corretto funzionamento del mercato interno, emerge – per la prima volta in tema di imposizione diretta – la rilevanza di questo modello anche sotto il profilo dell’art. 311 TFUE, visto che è stato ipotizzato di prelevare nuove risorse per il bilancio europeo dalla base imponibile comune e dagli utili riassegnati alle giurisdizioni mercato. La connessione tra le due disposizioni normative, resa possibile proprio dalla transizione verso regole sostanziali che la disciplina delle relazioni delle multinazionali ha assunto con il primo pilastro OCSE, segnala l’incipit di un’evoluzione in chiave sociale dell’Unione che, muovendo da alcune recenti iniziative della Commissione e dei co-legislatori, si serve anche dell’imposizione sulle grandi imprese. Infatti, considerato il rinvio agli artt. 115 e 311 TFUE, sembra possibile scorgere un timido parallelismo di siffatto modello di tassazione con la funzione fiscale tradizionalmente intesa nelle Carte costituzionali degli Stati membri: suffragato dalle ultime decisioni della Corte di giustizia sul rispetto dello Stato di diritto (c.d. rule of law), l’elemento comune risiede nella finalità di redistribuzione delle risorse su scala europea, ispirata da un dovere inderogabile di solidarietà, per l’affermazione di un’effettiva dimensione sociale dei consociati.
Dopo i pregressi tentativi di governare gli effetti fiscali indotti dalla transizione digitale del sistema economico, l’accordo raggiunto nel 2021 in seno al progetto di contrasto all’erosione delle basi imponibili e alla traslazione dei profitti (c.d. BEPS) dell’OCSE ha innovato profondamente i criteri di distribuzione dei diritti impositivi, riequilibrandoli in favore delle giurisdizioni dove sono forniti beni e servizi o sono localizzati i consumatori. Il primo pilastro dell’accordo (c.d. Pillar One) esprime l’evoluzione dai meccanismi – particolari e concreti – di tipo procedurale (come le procedure amichevoli, gli accordi preventivi e l’adempimento collaborativo), sinora impiegati per risolvere e prevenire le liti con le Autorità fiscali, verso regole del diritto sostanziale, dotate di valenza generale e astratta, per il riparto formulario dei profitti tra gli Stati. Invero, la disciplina delle relazioni fiscali delle imprese multinazionali sembra aver imboccato la via degli accordi tra giurisdizioni, introducendo prescrizioni nette e imperative, direttamente applicabili dai contribuenti. Questo approccio include una fisiologica garanzia di certezza per gli agenti economici, stralcia la discrezionalità tipica delle relazioni fiscali attraverso procedure non obbligatorie e dissolve la centralità dell’atto giuridico stipulato negli accordi preventivi, ripristinando un sufficiente livello di potere negoziale in capo alle Autorità fiscali. Quanto all’impatto sui principi democratici dell’imposizione, risalta la lesione del principio di uguaglianza causata dagli strumenti procedurali, che, ora, il passaggio a formule predeterminate consente di superare, se non altro all’interno delle soglie di applicabilità della disciplina. Nel primo pilastro, si rinvengono poi delle importanti forme di tutela del legittimo affidamento, repressive del rischio che l’affidamento riposto dai soggetti in-scope possa essere disatteso da una difforme interpretazione delle Autorità fiscali circa l’assoggettamento alle nuove regole, le differenze nel loro recepimento o la scelta della metodologia allocativa dei diritti impositivi. La strada delle regole sostanziali, tuttavia, appare meritevole anche di interventi migliorativi, in grado di assicurare una maggiore inclusività negoziale ai Paesi in via di sviluppo e risolvere determinati limiti della ripartizione formularia delle basi imponibili: la frequente complessità, i rischi di una distorta allocazione attraverso comportamenti opportunistici e i pregiudizi alla cooperazione tra giurisdizioni sui criteri di computo dell’imponibile, sui fattori di riparto e il loro peso relativo.
Interprete di questi meccanismi, l’Unione europea sta lavorando a un sistema comune di tassazione delle società (c.d. BEFIT) e allo specifico recepimento del primo pilastro OCSE, che verrebbe attuato a partire dalle regole del BEFIT. Sebbene con base giuridica nel tradizionale art. 115 TFUE sul ravvicinamento delle disposizioni legislative degli Stati membri per garantire il corretto funzionamento del mercato interno, emerge – per la prima volta in tema di imposizione diretta – la rilevanza di questo modello anche sotto il profilo dell’art. 311 TFUE, visto che è stato ipotizzato di prelevare nuove risorse per il bilancio europeo dalla base imponibile comune e dagli utili riassegnati alle giurisdizioni mercato. La connessione tra le due disposizioni normative, resa possibile proprio dalla transizione verso regole sostanziali che la disciplina delle relazioni delle multinazionali ha assunto con il primo pilastro OCSE, segnala l’incipit di un’evoluzione in chiave sociale dell’Unione che, muovendo da alcune recenti iniziative della Commissione e dei co-legislatori, si serve anche dell’imposizione sulle grandi imprese. Infatti, considerato il rinvio agli artt. 115 e 311 TFUE, sembra possibile scorgere un timido parallelismo di siffatto modello di tassazione con la funzione fiscale tradizionalmente intesa nelle Carte costituzionali degli Stati membri: suffragato dalle ultime decisioni della Corte di giustizia sul rispetto dello Stato di diritto (c.d. rule of law), l’elemento comune risiede nella finalità di redistribuzione delle risorse su scala europea, ispirata da un dovere inderogabile di solidarietà, per l’affermazione di un’effettiva dimensione sociale dei consociati.
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