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Archivio digitale delle tesi discusse presso l’Università di Pisa

Tesi etd-05262025-123202


Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale
Autore
DI NASSO, AURORA
URN
etd-05262025-123202
Titolo
Il gestus melancholicus
Dipartimento
CIVILTA' E FORME DEL SAPERE
Corso di studi
STORIA E FORME DELLE ARTI VISIVE, DELLO SPETTACOLO E DEI NUOVI MEDIA
Relatori
relatore Maffei, Sonia
Parole chiave
  • gestus
  • melancholicus
Data inizio appello
26/06/2025
Consultabilità
Non consultabile
Data di rilascio
26/06/2095
Riassunto
Quando si studia o si osserva attentamente un’opera d’arte, diversi sono gli elementi che attirano fin da subito l’attenzione dello spettatore: i colori scelti dall’artista, l’ambientazione che fa da sfondo alla scena in una pittura; i personaggi principali, gli oggetti o gli animali che li circondano, i loro abiti, che possono essere moderni o antichi, i gioielli che ornano il loro collo o il loro capo, le loro espressioni facciali, le loro pose e, in particolare, la loro gestualità. Il gesto compiuto da uno dei protagonisti di un’opera d’arte, o da altri personaggi presenti nella scena, è cruciale per comprendere la narrazione e il possibile dialogo che si sviluppa tra due o più figure: come accade nel teatro e nella danza, dove attori e ballerini usano l’arte della pantomima per comunicare tra loro esclusivamente attraverso i movimenti delle mani e del corpo, senza ricorrere alla parola; anche l’artista, che sia pittore o scultore, ha la possibilità di mettere in scena i suoi personaggi e raccontare una storia cristallizzando nel tempo, su tela o su pietra, un gesto che esprima in modo significativo l’emozione, il pensiero o lo stato psicologico dei soggetti rappresentati. In questo caso, il gesto diventa un linguaggio visivo che va ben oltre il semplice movimento fisico, assumendo un significato profondo e diventando in grado di comunicare una vasta gamma di emozioni, sensazioni e, al contempo, di diffondere il patrimonio culturale di una determinata civiltà. L’osservatore di un’opera diventerà dunque un viaggiatore, che riesce a cogliere trasformazioni e rinnovamenti di un popolo, di un’epoca, riuscendo a interpretare lingue e gesti diversi, oppure a riconoscere gesti simili ai suoi, ma con un significato completamente diverso.
La tematica che abbiamo appena trattato non dovrebbe sorprenderci: i gesti, codificati dall’osservatore nel corso dei secoli, si trasformano in un patrimonio storico, un linguaggio muto ma straordinariamente espressivo, che costituisce una delle basi della cultura umana. Come le parole, i gesti sono portatori di significati, messaggi impliciti ed emozioni, e nascono dalla fondamentale necessità dell’uomo di comunicare; non è un caso quindi che la limitata alfabetizzazione delle popolazioni del passato spingesse quest’ultime a comunicare, sia all’interno della loro stessa comunità che con popolazioni diverse, prevalentemente attraverso i gesti, piuttosto che con le parole, considerati più facilmente comprensibili; una pratica che, se riflettiamo, è ancora presente oggi, soprattutto quando ci si trova a visitare un paese di cui si ha una conoscenza scarsa o elementare della lingua parlata.
Partendo da uno studio più ampio e generale del gestus, toccando il campo antropologico con La mimica degli antichi investigata nel gestire napoletano di Andrea de Jorio del 1832 e quello retorico con la Retorica di Aristotele, il De Oratore di Cicerone e Institutio oratoria di Quintiliano, il testo che segue si impegna a mostrare e ad analizzare non solo il legame tra il gesto e la parola stessa ma anche la sua complessità dal punto di vista figurativo: in particolare, verrà analizzato il gestus melancholicus e il suo sviluppo iconografico nel corso dei secoli, arrivando fino all’apice del gesto malinconico rappresentato dalla celebre Melancolia I del pittore tedesco Albrecht Dürer, datata 1514, e alle influenze figurative che ne derivano.
Il gesto melanconico non nasce infatti con l’incisione dureriana ma affonda le sue radici nell’arte greca del V secolo a.C. e nei primi manuali di medicina antica: tra le ceramiche, le sculture e le miniature dei manoscritti medici, la mano che sorregge il volto viene da subito associata alle condizioni meditative e riflessive di vari soggetti della mitologia greca, tra i quali spicca quello di Penelope, e all’uomo affetto dal cosiddetto temperamento melanconico, influenzato dalla ‘bile nera’. Rispetto ad altri schemi meditativi antichi, il gesto malinconico conobbe una fortuna più ampia e duratura, che lo portò ad essere ripreso da numerosi artisti nel corso dei secoli, attraversando tutta la storia dell'arte fino a toccare i giorni nostri.
Non a caso la scelta di creare opere il più possibile coerenti con la realtà sociale di ogni epoca da parte dell’artista cade sul ‘gestus’, proprio perché esso rappresenta la massima manifestazione delle emozioni individuali e perché riesce a scatenare le tempeste interpretative più svariate: l’uomo si riconosce nel gesto e condivide le sensazioni dei personaggi e nella propria intima diversità dai suoi simili lo trasmette in un modo totalmente nuovo e personale; si osserverà quindi come un gestus melancholicus, visto prima come qualcosa di prevalentemente negativo, come può essere quello scatenato da una malattia, si trasformi nel simbolo di un uomo intellettuale, geniale, creativo dunque positivo. L’artista si serve del gestus melancholicus non solo per rappresentare se stesso ma anche per rivalutare la propria identità nel contesto sociale a cui appartiene: per ottenere ciò, questi va ad arricchire l’opera di ulteriori elementi simbolici come un compasso o una sfera, che rimandano alle abilità scientifiche, matematiche, tecniche e alla gratificazione che si conquista con lo studio e la scoperta di nuove realtà.
In conclusione, risulterà interessante interpretare i gesti che ritroviamo nelle immagini e che estrapoliamo da particolari situazioni, come i contesti sopra citati oltre che i rituali sacri e profani della quotidianità.
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