Tesi etd-05092025-092259 |
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Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale LM5
Autore
PUCCI, MATTEO
URN
etd-05092025-092259
Titolo
Una nuova frontiera delle indagini preliminari:
la ricerca della prova digitale e il necessario bilanciamento con il diritto alla privacy
Dipartimento
GIURISPRUDENZA
Corso di studi
GIURISPRUDENZA
Relatori
relatore Prof. Bresciani, Luca
Parole chiave
- atipicità
- digital evidence
- digital investigation
- diritti fondamentali
- domicilio informatico
- indagini digitali
- privacy
- prova digitale
- riservatezza
- utilizzabilità
Data inizio appello
26/05/2025
Consultabilità
Tesi non consultabile
Riassunto
Il presente elaborato si propone di analizzare le conseguenze sull’attività investigativa, e verosimilmente sul sistema probatorio, dell’incessante progresso tecnologico-digitale.
La fase d’indagine, pensata come un momento processuale “che non conta e che non pesa”, risulta carente in punto di garanzie rispetto al dibattimento, sede privilegiata per la formazione della fonte del convincimento giudiziale. Oggi, la morfologia dei mezzi investigativi appare completamente plasmata dalle nuove tecniche, che consentono agli inquirenti di acquisire conoscenze apparentemente “perfette” in ordine all’accertamento dei fatti di reato. Verrà approfondito in che termini quanto detto possa sovvertire l’idea del legislatore del 1988, imprimendo una svolta decisiva al processo già in fase preliminare.
Punto focale del lavoro sarà la tendenza delle indagini digitali a sfuggire al perimetro applicativo dei mezzi di ricerca della prova tipici, pur mantenendo un’attitudine probatoria ed impattando sui diritti dell’individuo. Infatti, si vorrà accertare se, ed entro quali limiti, le risultanze delle attività investigative atipiche possano transitare nel processo, alla luce delle norme codicistiche, costituzionali e dell’ordinamento sovranazionale.
In questo contesto, assume rilievo anche la reazione della giurisprudenza che, in virtù dell’improbabile possibilità per il legislatore di disciplinare i mezzi d’indagine costantemente rinnovati dal progresso tecnologico, gioca un ruolo fondamentale nel garantire stabilità e certezza al sistema, fornendo altresì letture evolute dei diritti fondamentali tradizionali, alla luce della loro trasposizione nel mondo digitale.
Le riflessioni sistematiche sin qui descritte verranno successivamente calate nella realtà storica e processuale, andando ad esaminare il funzionamento e le criticità di alcuni strumenti investigativi in uso, in tempi relativamente recenti, da parte della pubblica autorità, ma non disciplinati dal codice: gli IMSI catchers ed i software di riconoscimento facciale.
Pur nella consapevolezza che il legislatore fatichi a rincorrere le invenzioni tecnologiche e che, nell’interesse costituzionale alla repressione dei reati, queste forniscano agli inquirenti strumenti irrinunciabili, questo elaborato, infine, propone uno sguardo in avanti, ad eventuali normative futuribili. In primo luogo, viene suggerita come spunto comparativo l’esperienza spagnola, la cui legge sul processo penale, oltre a conoscere norme e garanzie comuni a tutte le indagini digitali, disciplina quelle funzioni del captatore informatico che sul fronte nazionale restano relegate nell’area dell’atipicità; in secondo luogo, viene esaminata la normativa in corso di approvazione in Italia sul sequestro di dispositivi informatici, che introdurrebbe nel codice di procedura penale l’art. 254-ter.
Il leitmotiv delle questioni affrontate in questo studio è il controverso bilanciamento, che spetta al legislatore, tra l’interesse all’accertamento ed alla repressione dei reati, cui mira l’indagine penalistica, e la necessità di impedire ingerenze eccessive nella vita privata dell’individuo, entrambe istanze di rilievo costituzionale. L’equilibrio de quo rischia di essere compromesso dall’elevato potenziale intrusivo dei nuovi metodi investigativi tecnologico-digitali.
La fase d’indagine, pensata come un momento processuale “che non conta e che non pesa”, risulta carente in punto di garanzie rispetto al dibattimento, sede privilegiata per la formazione della fonte del convincimento giudiziale. Oggi, la morfologia dei mezzi investigativi appare completamente plasmata dalle nuove tecniche, che consentono agli inquirenti di acquisire conoscenze apparentemente “perfette” in ordine all’accertamento dei fatti di reato. Verrà approfondito in che termini quanto detto possa sovvertire l’idea del legislatore del 1988, imprimendo una svolta decisiva al processo già in fase preliminare.
Punto focale del lavoro sarà la tendenza delle indagini digitali a sfuggire al perimetro applicativo dei mezzi di ricerca della prova tipici, pur mantenendo un’attitudine probatoria ed impattando sui diritti dell’individuo. Infatti, si vorrà accertare se, ed entro quali limiti, le risultanze delle attività investigative atipiche possano transitare nel processo, alla luce delle norme codicistiche, costituzionali e dell’ordinamento sovranazionale.
In questo contesto, assume rilievo anche la reazione della giurisprudenza che, in virtù dell’improbabile possibilità per il legislatore di disciplinare i mezzi d’indagine costantemente rinnovati dal progresso tecnologico, gioca un ruolo fondamentale nel garantire stabilità e certezza al sistema, fornendo altresì letture evolute dei diritti fondamentali tradizionali, alla luce della loro trasposizione nel mondo digitale.
Le riflessioni sistematiche sin qui descritte verranno successivamente calate nella realtà storica e processuale, andando ad esaminare il funzionamento e le criticità di alcuni strumenti investigativi in uso, in tempi relativamente recenti, da parte della pubblica autorità, ma non disciplinati dal codice: gli IMSI catchers ed i software di riconoscimento facciale.
Pur nella consapevolezza che il legislatore fatichi a rincorrere le invenzioni tecnologiche e che, nell’interesse costituzionale alla repressione dei reati, queste forniscano agli inquirenti strumenti irrinunciabili, questo elaborato, infine, propone uno sguardo in avanti, ad eventuali normative futuribili. In primo luogo, viene suggerita come spunto comparativo l’esperienza spagnola, la cui legge sul processo penale, oltre a conoscere norme e garanzie comuni a tutte le indagini digitali, disciplina quelle funzioni del captatore informatico che sul fronte nazionale restano relegate nell’area dell’atipicità; in secondo luogo, viene esaminata la normativa in corso di approvazione in Italia sul sequestro di dispositivi informatici, che introdurrebbe nel codice di procedura penale l’art. 254-ter.
Il leitmotiv delle questioni affrontate in questo studio è il controverso bilanciamento, che spetta al legislatore, tra l’interesse all’accertamento ed alla repressione dei reati, cui mira l’indagine penalistica, e la necessità di impedire ingerenze eccessive nella vita privata dell’individuo, entrambe istanze di rilievo costituzionale. L’equilibrio de quo rischia di essere compromesso dall’elevato potenziale intrusivo dei nuovi metodi investigativi tecnologico-digitali.
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