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Archivio digitale delle tesi discusse presso l’Università di Pisa

Tesi etd-04302025-154717


Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale LM6
Autore
FILIPPINI, LUCREZIA
URN
etd-04302025-154717
Titolo
“Espressione dell'asse HIF-1 - β3-AR  - VEGF su sangue cordonale di neonati pretermine ed a termine: i risultati dello studio β3-RECORD”
Dipartimento
RICERCA TRASLAZIONALE E DELLE NUOVE TECNOLOGIE IN MEDICINA E CHIRURGIA
Corso di studi
MEDICINA E CHIRURGIA
Relatori
relatore Prof. Filippi, Luca
correlatore Dott.ssa Scaramuzzo, Rosa Teresa
Parole chiave
  • emogas cordonale
  • feto
  • gravidanza
  • HIF-1 -
  • ipossia
  • neonati a termine
  • neonati pretermine
  • ossigeno
  • sviluppo
  • VEGF
  • β3-AR 
Data inizio appello
21/05/2025
Consultabilità
Non consultabile
Data di rilascio
21/05/2028
Riassunto
RIASSUNTO

Fu Sir Joseph Barcroft, nel XX secolo, a paragonare l’ambiente intrauterino nel quale si sviluppa l’embrione ed il feto, alle condizioni di ossigenazione a cui è sottoposto l’essere umano esposto ad elevate altitudini, coniando così l’espressione “Mount Everest in Utero”. La domanda a cui si cerca di rispondere sin dai tempi di Barcroft è come l’embrione ed il feto possano sopravvivere e beneficiare di condizioni di ossigenazione così tanto ridotte e inadatte alla vita extrauterina. Sebbene siano stati fatti numerosi passi avanti dall’inizio del secolo scorso, la risposta a questa domanda non è stata ancora pienamente soddisfatta.
L’ossigeno è fondamentale per la vita e rappresenta il fulcro dei processi metabolici, essendo l’accettore finale della catena di trasporto degli elettroni nella fosforilazione ossidativa. Tuttavia, l’embrione ed il feto riescono a vivere in un ambiente fisiologicamente povero di ossigeno, attraverso la induzione di una serie di fattori di trascrizione, il più importante dei quali è certamente l’Hypoxia-Induced Factor 1 (HIF-1). HIF-1, attraverso il controllo di centinaia di geni, conferisce all’embrione ed al feto numerose competenze, analoghe a quelle riattivate dal cancro, che permettono la crescita all’interno di un ambiente altrimenti potenzialmente inospitale. Embrione, feto e cancro, infatti, sono capaci di utilizzare la via glicolitica indipendentemente dalla presenza di ossigeno (effetto Warburg), di indurre un alone di immunotolleranza locale, di promuovere chemioresistenza nei confronti di sostanze xenobiotiche, di attivare processi di vascolarizzazione indotta da ipossia.
Recenti ricerche hanno dimostrato come molte di queste competenze assicurate da HIF-1 siano in realtà mediate attraverso l’azione di uno specifico recettore adrenergico, il recettore β3 (β3-AR), scoperto attorno agli anni ’90 del secolo appena trascorso. Questo recettore è modulato in maniera significativa dalle variazioni dei livelli di ossigeno, essendo up-regolato quando le concentrazioni di ossigeno si riducono e down-regolato quando l’ambiente è maggiormente ossigenato. Questa osservazione ha generato la domanda se l’ambiente intrauterino, indiscutibilmente ipossico, avesse concentrazioni stabili o variabili di ossigeno. Infatti, sarebbe stato difficilmente spiegabile una modulazione di un recettore sensibile alla variazione dei livelli di ossigeno in condizioni di ossigenazione stabile.
In letteratura era già noto che durante la gravidanza i livelli di ossigenazione variassero. Infatti, durante il primo trimestre di gravidanza, l’entità della ipossia è spiccata, ma con l’inizio della placentazione, soprattutto durante il secondo trimestre di gravidanza, la concentrazione di ossigeno tende ad aumentare significativamente. Tuttavia, poche erano le notizie su come si modificassero i valori di ossigeno durante il terzo trimestre di gravidanza. La nostra attenzione era particolarmente rivolta a cosa succedesse durante questo ultimo trimestre di gravidanza, poiché questo è il periodo in cui nascono i neonati prematuri vitali, ed abbiamo ipotizzato che in questa fase il feto venisse esposto ad una ipossia crescente, e che questo fosse accompagnato ad una progressiva up-regolazione del β3-AR.
Con i nostri recenti studi, eseguiti attraverso l’analisi di migliaia di emogas analisi cordonali prelevate a neonati nati a variabili età gestazionali, abbiamo dimostrato come anche nel terzo trimestre di gravidanza, le concentrazioni di ossigeno si modificassero in modo significativo. Infatti, dalla 22-23a settimana di gestazione abbiamo osservato una progressiva riduzione del livello di ossigenazione fetale attribuibile alla crescita della placenta che sottrae ossigeno al feto. Questo processo prosegue fino alla 33-34a settimana di gestazione quando il processo si inverte, molto probabilmente a causa di un fisiologico invecchiamento placentare che promuove un maggior passaggio di ossigeno al feto. Se da un lato i nostri recenti studi hanno dimostrato che il feto dalla 22-23a settimana è progressivamente più ipossico, non vi era sinora nessuna informazione se a questa progressiva crescente ipossia fetale corrispondesse una progressiva crescente up-regolazione di HIF-1 e del β3-AR.
Scopo di questa tesi era pertanto dimostrare, su un campione di neonati necessariamente limitato, ma comprendente neonati prematuri e a termine, se a questa crescente ipossia corrispondesse una up-regolazione di HIF-1, di β3-AR e anche di VEGF, che costituisce il principale fattore di crescita vascolare notoriamente indotto dalla ipossia. Per questo sono stati arruolati 100 neonati pretermine e 100 a termine ai quali è stato prelevato del sangue cordonale per determinare i livelli di ossigenazione e misurare l’espressione dell’mRNA dell’asse HIF-1, β3-AR e VEGF, correlandole con l’età gestazionale. L’analisi dei risultati ha confermato l’andamento bifasico dei livelli di ossigenazione (progressivamente più bassi dalla 22-23a settimana, fino ad un livello minimo attorno alla 33-34a settimana), accompagnate ad una progressiva up-regolazione dell’mRNA di HIF-1, β3-AR e VEGF.
Uno dei limiti principali di questo studio è stata la valutazione esclusiva della espressione dell’mRNA di HIF-1, β3-AR e VEGF, senza analizzare l’espressione delle relative proteine. E’ pertanto auspicabile che in futuro questa analisi venga eseguita per avere una visione più affidabile dei meccanismi adattativi fetali. Tuttavia, nei neonati arruolati nel presente studio abbiamo analizzato un altro parametro che poteva aiutarci a immaginare se a questa up-regolazione dell’mRNA del β3-AR potesse corrispondere una up-regolazione della espressione proteica. Considerato che alcuni studi eseguiti sul modello murino avevano recentemente dimostrato che la proteina β3-AR promuove il riassorbimento di acqua libera da parte del tubulo distale e del dotto collettore del nefrone, abbiamo raccolto dalle cartelle cliniche dei pazienti arruolati nel presente studio i dati relativi alla stima della loro diuresi. La nostra ipotesi era che se davvero col progredire della gravidanza la crescente ipossia avesse determinato una progressiva up-regolazione della proteina β3-AR, allora avremmo dovuto osservare una progressiva riduzione della diuresi con l’aumento dell’età gestazionale.
L’analisi dei risultati del presente studio ha dimostrato che i neonati con un’età gestazionale minore hanno un output urinario significativamente maggiore rispetto ai neonati di età gestazionale più avanzata, suggerendo così che con il progredire dell’età gestazionale anche la proteina β3-AR sia progressivamente sempre più espressa.
In conclusione, questo studio per la prima volta ha dimostrato come nei feti umani col passare delle settimane aumenti l’espressione dell’mRNA di HIF-1, β3-AR e VEGF, suggerendo che questa up-regolazione favorisca una fisiologica maturazione fetale. Questa osservazione conferma analoghe scoperte recentemente effettuate nel modello animale, e conferisce particolare importanza al tentativo di ripristinare condizioni intrauterine anche dopo la nascita attraverso la stimolazione farmacologica del β3-AR. Nel modello animale sono in corso studi che dimostrano come l’utilizzo di farmaci stimolanti il β3-AR annulli gli effetti di una precoce esposizione ad un ambiente relativamente iperossico e mimi, pertanto, la ricostruzione di un ambiente intrauterino. La dimostrazione che il feto umano subisce le stesse modulazioni dell’asse HIF-1, β3-AR e VEGF già osservate nel modello animale, suggerisce la possibilità che a breve questa virtuale ricostruzione farmacologica dell’utero materno attraverso la stimolazione farmacologica del β3-AR possa essere sperimentata anche nell’uomo.


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