Tesi etd-04272025-195334 |
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Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale LM6
Autore
BRUNI, MATILDE
URN
etd-04272025-195334
Titolo
Valutazione del rischio emorragico in pazienti con fibrosi polmonare in terapia contemporanea con farmaci antifibrotici e anticoagulanti
Dipartimento
RICERCA TRASLAZIONALE E DELLE NUOVE TECNOLOGIE IN MEDICINA E CHIRURGIA
Corso di studi
MEDICINA E CHIRURGIA
Relatori
relatore Prof. Celi, Alessandro
correlatore Dott.ssa Pancani, Roberta
relatore Dott. Neri, Tommaso
correlatore Dott.ssa Pancani, Roberta
relatore Dott. Neri, Tommaso
Parole chiave
- anticoagulanti
- apixaban
- dabigatran
- deltaparina
- DOAC
- edoxaban
- eparina
- fibrosi polmonare
- fondaparinux
- HAS-BLED
- interstiziopatie polmonari
- IPF
- nintedanib
- polmone
- PPF
- priferidone
- RIETE
- rivaroxaban
- warfarin
Data inizio appello
21/05/2025
Consultabilità
Tesi non consultabile
Riassunto
La fibrosi polmonare idiopatica (IPF) è una patologia polmonare rara e progressiva, con un’incidenza globale che varia da 1 a 13 per 100.000/anno. Il decorso clinico è caratterizzato da una progressiva degenerazione fibrotica del parenchima polmonare, che nel tempo induce al deterioramento della funzione del polmone con grave peggioramento della qualità di vita del paziente; la sopravvivenza media senza una terapia efficace è di circa 4 anni. ancora oggi non è possibile ritrovare una causa eziologica diretta alla base della patogenesi ma sono noti diversi fattori predisponenti che promuovono lo sviluppo della malattia, tra cui il fumo di sigaretta, l'esposizione a sostanze tossiche e inquinanti ambientali, il reflusso gastro-esofageo e la storia familiare di IPF. I pazienti con IPF hanno solitamente età maggiore di 60 anni e presentano segni di fibrosi nelle scansioni o immagini, inoltre un segno tipico di fibrosi è dato dalla presenza di ronchi all’auscultazione polmonare. I sintomi invece sono subdoli, difficilmente riconducibili alla patologia in prima istanza, di cui i più rappresentati sono sicuramente la dispnea da sforzo e/o la tosse. Secondo le linee guida ATS/ERS/JRS/ALAT del 2011 e del 2018, per la diagnosi di IPF è necessaria la dimostrazione di una storia clinica approfondita per escludere la presenza di malattie sistemiche o esposizione a farmaci che potrebbero spiegare il quadro clinico e strumentale, indagini ematochimiche mirate e almeno una tomografia computerizzata ad alta risoluzione (HRCT) che dimostri la presenza di fibrosi. La certezza diagnostica si ottiene quando si mostra, ad una HRCT, un pattern definitivo o probabile di polmonite interstiziale usuale (UIP), mentre non sono necessari ulteriori test invasivi per confermare il pattern istologico di UIP se il paziente presenta l’adeguato contesto clinico.
Estremamente importante per giugnere alla diagnosi, come scritto nelle linee guida, è la discussione multidisciplinare in cui vengono integrati i risultati clinici, radiologici e, quando disponibili, istopatologici. In questo modo è stato possibile migliorare la fiducia nella diagnosi e modificare la terapia in un numero significativo di pazienti. Con l’avvento di criteri unici e standardizzati per la diagnosi di IPF è stata riconosciuta l’inefficacia dei farmaci che fino a quel momento erano utilizzati nella terapia, come prednisolone, azatioprina e acetilcisteina e sono state identificate le prime terapie modificanti la patologia rappresentate dal nintedanib e dal pirfenidone. Il pirfenidone è una piccola molecola, viene assunta per via orale, e ha effetti antifibrotici, antinfiammatori e antiossidanti. In modelli animali ha dimostrato efficacia nel modificare la fibrosi a livello non solo polmonare ma anche cardiaco, epatico e renale. Il pirfenidone inibisce il fattore di crescita trasformante-β (TGF- β) ed altri fattori di crescita, modula mediatori infiammatori e migliora la funzione mitocondriale.
Questo farmaco è stato approvato dall’Unione Europea nel 2011 in cui si dimostrò la sua efficacia nel migliorare la sopravvivenza libera da progressione patologica e la funzione polmonare in associazione ad una buona tollerabilità dovuta ad effetti collaterali accettabili. Un farmaco che ha segnato la svolta nella terapia della fibrosi polmonare è il nintedanib, approvato dall’Unione Europea nel 2015 per terapia nell’ IPF. Il nintedanib è un inibitore della tirosina chinasi e la sua azione è mirata a molteplici vie coinvolte nell'angiogenesi e nella fibrosi, comprese le famiglie del fattore di crescita dell’endotelio vascolare (VEGFR), il fattore di crescita dei fibroblasti (FGFR) e il fattore di crescita mediato dalle piastrine (PDGFR). Gli studi clinici, inclusi gli studi TOMORROW e INPULSIS, hanno dimostrato l'efficacia del nintedanib nel rallentare la progressione dell'IPF riducendo il declino annuale della capacità vitale forzata di circa il 50%. Gli effetti collaterali più comuni sono gastrointestinali, in particolare la diarrea, che può spesso essere gestita con aggiustamenti della dose e trattamenti sintomatici. Ad oggi, grazie ai risultati ottenuti dallo studio INBUILD, le indicazioni per l’utilizzo del nintedanib si sono estese a pazienti con malattie fibrotiche polmonare a fenotipo progressivo, indipendentemente dall’eziologia sottostante: di conseguenza, la terapia antifibrotica si è estesa ad un numero sempre maggiore di pazienti.
Gli studi finalizzati ad ottenere una migliore comprensione dei meccanismi patogenetici alla base dell’IPF hanno identificato un aumento del rischio di eventi trombotici venosi e arteriosi nei pazienti con IPF rispetto ai controlli abbinati. Diversi studi hanno riportato un’associazione bidirezionale tra IPF e le condizioni patologiche del letto vascolare, nonché uno squilibrio tra l’attivazione trombotica e la fibrinolisi nel compartimento alveolare. I pazienti con IPF sono maggiormente esposti ad avere uno stato pro-trombotico rispetto alla popolazione generale e questo ha un impatto negativo sulla sopravvivenza. I dati del registro EMPIRE sulle comorbidità in questi pazienti mostrano che circa l’80% ha comorbidità cardiovascolari, di cui circa il 20% richiede la terapia anticoagulante (AC). Considerazioni simili probabilmente si applicano alla fibrosi polmonare progressiva (PPF).
La principale terapia che ad oggi viene utilizzata per mantenere l’effetto anticoagulante è rappresentata dai farmaci anticoagulanti diretti (DOAC) di cui fanno parte il dabigatran, il rivaroxaban, l’apixaban e l’edoxaban. Sono farmaci composti da molecole con metabolismi differenti ma sono tutte substrato della glicoproteina di trasporto P-gp, sebbene in misura diversa; rivaroxaban ed apixaban sono anche substrato del citocromo P3A4 (CYP3A4). Per questo è importante valutare l’eventuale contemporanea assunzione di farmaci che agiscono come substrati per le stesse proteine, perché potrebbero portare ad interazioni farmacologiche e quindi a un alterato comportamento e metabolismo del farmaco. Proprio per questo bisogna prestare attenzione al nintedanib che inibisce il vitro la P-gp, aumentado così potenzialmente l’esposizione ai DOAC.
Il pirfenidone viene principalmente metabolizzato dal CYP1A2, tuttavia non si può escludere la sua potenziale capacità di interazione con i substrati di P-gp in vivo; pertanto, gli ultimi studi suggeriscono di cautelare l’utilizzo di questo farmaco se somministrato assieme a tali farmaci.
È noto come un importante effetto avverso del nintedanib sia il sanguinamento, che è stato valutato anche in assenza di concomitante utilizzo di farmaci anticoagulanti; questo potrebbe derivare dal suo meccanismo di inibizione nei confronti del recettore del fattore di crescita endoteliale. Sebbene gli studi INPULSIS e INPULSIS-ON abbiano dimostrato una buona tollerabilità di questo farmaco e una bassa incidenza di eventi avversi, in particolare eventi cardiovascolari maggiori (incidenza del 4,4% e 3,6%, rispettivamente) ed eventi emorragici (incidenza del 15,8% e 8,4%), va sottolineato che i pazienti con predisposizione al sanguinamento o che assumevano dosi complete di anticoagulanti sono stati esclusi dalla popolazione dello studio. Sulla base delle evidenze epidemiologiche riguardanti la prevalenza delle comorbidità che necessitano di terapia anticoagulante nei pazienti con fibrosi polmonare idiopatica o progressiva, la mancanza di dati nella letteratura sulla sicurezza dell'uso concomitante di anticoagulanti e anti-fibrotici, nonché le interazioni note tra i percorsi di coagulazione e i processi fibrotici, abbiamo progettato questo studio per valutare il profilo di sicurezza di questa combinazione farmacologica e per valutare il suo impatto potenziale sulla progressione della malattia.
Estremamente importante per giugnere alla diagnosi, come scritto nelle linee guida, è la discussione multidisciplinare in cui vengono integrati i risultati clinici, radiologici e, quando disponibili, istopatologici. In questo modo è stato possibile migliorare la fiducia nella diagnosi e modificare la terapia in un numero significativo di pazienti. Con l’avvento di criteri unici e standardizzati per la diagnosi di IPF è stata riconosciuta l’inefficacia dei farmaci che fino a quel momento erano utilizzati nella terapia, come prednisolone, azatioprina e acetilcisteina e sono state identificate le prime terapie modificanti la patologia rappresentate dal nintedanib e dal pirfenidone. Il pirfenidone è una piccola molecola, viene assunta per via orale, e ha effetti antifibrotici, antinfiammatori e antiossidanti. In modelli animali ha dimostrato efficacia nel modificare la fibrosi a livello non solo polmonare ma anche cardiaco, epatico e renale. Il pirfenidone inibisce il fattore di crescita trasformante-β (TGF- β) ed altri fattori di crescita, modula mediatori infiammatori e migliora la funzione mitocondriale.
Questo farmaco è stato approvato dall’Unione Europea nel 2011 in cui si dimostrò la sua efficacia nel migliorare la sopravvivenza libera da progressione patologica e la funzione polmonare in associazione ad una buona tollerabilità dovuta ad effetti collaterali accettabili. Un farmaco che ha segnato la svolta nella terapia della fibrosi polmonare è il nintedanib, approvato dall’Unione Europea nel 2015 per terapia nell’ IPF. Il nintedanib è un inibitore della tirosina chinasi e la sua azione è mirata a molteplici vie coinvolte nell'angiogenesi e nella fibrosi, comprese le famiglie del fattore di crescita dell’endotelio vascolare (VEGFR), il fattore di crescita dei fibroblasti (FGFR) e il fattore di crescita mediato dalle piastrine (PDGFR). Gli studi clinici, inclusi gli studi TOMORROW e INPULSIS, hanno dimostrato l'efficacia del nintedanib nel rallentare la progressione dell'IPF riducendo il declino annuale della capacità vitale forzata di circa il 50%. Gli effetti collaterali più comuni sono gastrointestinali, in particolare la diarrea, che può spesso essere gestita con aggiustamenti della dose e trattamenti sintomatici. Ad oggi, grazie ai risultati ottenuti dallo studio INBUILD, le indicazioni per l’utilizzo del nintedanib si sono estese a pazienti con malattie fibrotiche polmonare a fenotipo progressivo, indipendentemente dall’eziologia sottostante: di conseguenza, la terapia antifibrotica si è estesa ad un numero sempre maggiore di pazienti.
Gli studi finalizzati ad ottenere una migliore comprensione dei meccanismi patogenetici alla base dell’IPF hanno identificato un aumento del rischio di eventi trombotici venosi e arteriosi nei pazienti con IPF rispetto ai controlli abbinati. Diversi studi hanno riportato un’associazione bidirezionale tra IPF e le condizioni patologiche del letto vascolare, nonché uno squilibrio tra l’attivazione trombotica e la fibrinolisi nel compartimento alveolare. I pazienti con IPF sono maggiormente esposti ad avere uno stato pro-trombotico rispetto alla popolazione generale e questo ha un impatto negativo sulla sopravvivenza. I dati del registro EMPIRE sulle comorbidità in questi pazienti mostrano che circa l’80% ha comorbidità cardiovascolari, di cui circa il 20% richiede la terapia anticoagulante (AC). Considerazioni simili probabilmente si applicano alla fibrosi polmonare progressiva (PPF).
La principale terapia che ad oggi viene utilizzata per mantenere l’effetto anticoagulante è rappresentata dai farmaci anticoagulanti diretti (DOAC) di cui fanno parte il dabigatran, il rivaroxaban, l’apixaban e l’edoxaban. Sono farmaci composti da molecole con metabolismi differenti ma sono tutte substrato della glicoproteina di trasporto P-gp, sebbene in misura diversa; rivaroxaban ed apixaban sono anche substrato del citocromo P3A4 (CYP3A4). Per questo è importante valutare l’eventuale contemporanea assunzione di farmaci che agiscono come substrati per le stesse proteine, perché potrebbero portare ad interazioni farmacologiche e quindi a un alterato comportamento e metabolismo del farmaco. Proprio per questo bisogna prestare attenzione al nintedanib che inibisce il vitro la P-gp, aumentado così potenzialmente l’esposizione ai DOAC.
Il pirfenidone viene principalmente metabolizzato dal CYP1A2, tuttavia non si può escludere la sua potenziale capacità di interazione con i substrati di P-gp in vivo; pertanto, gli ultimi studi suggeriscono di cautelare l’utilizzo di questo farmaco se somministrato assieme a tali farmaci.
È noto come un importante effetto avverso del nintedanib sia il sanguinamento, che è stato valutato anche in assenza di concomitante utilizzo di farmaci anticoagulanti; questo potrebbe derivare dal suo meccanismo di inibizione nei confronti del recettore del fattore di crescita endoteliale. Sebbene gli studi INPULSIS e INPULSIS-ON abbiano dimostrato una buona tollerabilità di questo farmaco e una bassa incidenza di eventi avversi, in particolare eventi cardiovascolari maggiori (incidenza del 4,4% e 3,6%, rispettivamente) ed eventi emorragici (incidenza del 15,8% e 8,4%), va sottolineato che i pazienti con predisposizione al sanguinamento o che assumevano dosi complete di anticoagulanti sono stati esclusi dalla popolazione dello studio. Sulla base delle evidenze epidemiologiche riguardanti la prevalenza delle comorbidità che necessitano di terapia anticoagulante nei pazienti con fibrosi polmonare idiopatica o progressiva, la mancanza di dati nella letteratura sulla sicurezza dell'uso concomitante di anticoagulanti e anti-fibrotici, nonché le interazioni note tra i percorsi di coagulazione e i processi fibrotici, abbiamo progettato questo studio per valutare il profilo di sicurezza di questa combinazione farmacologica e per valutare il suo impatto potenziale sulla progressione della malattia.
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