Tesi etd-03292025-185043 |
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Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale
Autore
SORBO, FRANCESCO
URN
etd-03292025-185043
Titolo
IL SOCCORSO MARITTIMO NELL'AMBITO DEL DIRITTO DELLA NAVIGAZIONE
Dipartimento
SCIENZE POLITICHE
Corso di studi
SCIENZE MARITTIME E NAVALI
Relatori
relatore Prof. Bellesi, Antonio
correlatore Principale, Francesco
correlatore Principale, Francesco
Parole chiave
- codice di condotta per le ONG
- nave Alan Kurdi
- nave Diciotti
- nave Ocean Viking
- pull factor
- SAR
- soccorso marittimo
- SOLAS
- UNCLOS
Data inizio appello
14/04/2025
Consultabilità
Non consultabile
Data di rilascio
14/04/2065
Riassunto
L’elaborato passa in rassegna l’evoluzione delle fonti normative del soccorso in mare, originariamente fondate esclusivamente sul diritto consuetudinario che imponeva un obbligo morale, ancor prima che giuridico, di assistere chiunque si trovasse in pericolo in ambito marittimo. Sono elencate di seguito le principali convenzioni.
La comunità internazionale, considerata la complessità della materia e la necessità di assegnare un valore giuridico alle consuetudini di solidarietà marittima, avvertì la necessità di tradurre tali consuetudini in norme giuridiche, anche al fine di risolvere eventuali conflitti legislativi: per tali motivi nel 1910 entrò in vigore la Convenzione di Bruxelles.
Successivamente, fu elaborato un nuovo documento che, dopo la redazione di molte proposte e modifiche, condusse alla approvazione della SOLAS (acronimo di Safety of Life at Sea), con l’obiettivo di integrare ed ampliare la normativa esistente sul soccorso marittimo, concentrando l’attenzione sulla tutela della vita umana in mare.
Tale convenzione riveste un'importanza fondamentale sol che si consideri che ha posto le basi per l'adozione della Convenzione sulla ricerca e il salvataggio marittimo, siglata ad Amburgo nel 1979: fra l’altro essa istituì le zone SAR (Search and Rescue) ovvero le porzioni di mare all’interno delle quali gli Stati costieri sono tenuti ad effettuare una costante opera di ricerca e soccorso.
Anche la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS), approvata a Montego Bay nel 1982, affronta, tra i diversi argomenti, il tema del soccorso marittimo: stabilisce, infatti, il principio (art.98) di cooperazione internazionale per garantire assistenza a chiunque sia trovato in mare in condizioni di pericolo. La normazione de qua non è, tuttavia, scevra da lacune e necessita di ulteriori interventi integrativi.
In particolare, non sono ben definite le responsabilità degli Stati che intervengono nelle operazioni di salvataggio, e, soprattutto, vi è un vero e proprio difetto di chiarezza, oltrechè un contrasto interpretativo, per quanto concerne il luogo in cui deve avvenire lo sbarco delle persone soccorse, ovvero il “Place of Safety” (POS). Quest’ultimo, introdotto in virtù degli emendamenti alle Convenzioni SOLAS e SAR, nonché alla risoluzione MSC.167 contenente le Guidelines on the Treatment of Persons Rescued at Sea, è stato definito come il luogo in cui le operazioni di salvataggio sono considerate concluse e, allo stesso tempo, un posto dove siano assicurati i bisogni essenziali ai superstiti, tra cui cibo, alloggio e assistenza sanitaria.
La tematica in disamina si interseca oggettivamente, soprattutto per l’Italia, con il fenomeno del soccorso ai migranti.
Gli attori principali in questo campo, negli ultimi anni, sono sicuramente le ONG, che hanno assunto un ruolo fondamentale nel soccorso di migranti nel Mediterraneo. Tali organizzazioni, spesso in collaborazione con altre realtà internazionali, intervengono laddove gli Stati potrebbero non riuscire ad agire tempestivamente. L’operato delle ONG ha, tuttavia, suscitato un acceso dibattito nell’opinione pubblica soprattutto per l’accusa di alimentare l’effetto "pull factor", cioè di incentivare con i loro interventi il flusso migratorio verso l’Europa. Le critiche si concentrano anche sulla scarsa trasparenza dei finanziamenti sottostanti, e, secondo alcuni Stati, persino su una presunta collaborazione con i trafficanti di migranti.
Un’altra critica, frequentemente rivolta alle ONG, riguarda l’assenza di una normativa che disciplini l’attività delle loro navi; il Governo italiano, ha elaborato, a tal fine, nel 2017, il Codice di Condotta per le ONG. Se da un lato il Codice è stato accolto con toni molto positivi da diversi Stati membri dell’UE, dall’altro le ONG hanno valutato, in senso negativo, l’accoglienza di tale documento: la mancata sottoscrizione del Codice da parte di queste ultime non può avere alcuna conseguenza giuridicamente vincolante nei loro confronti poiché il documento non rientra in alcuna delle categorie normative riconosciute dall’ordinamento italiano; deve essere considerato, pertanto, come un atto di soft law.
La trattazione si conclude con la disamina di alcuni casi di soccorso marittimo internazionale più
recenti, evidenziando le problematiche più comunemente riscontrate. Le questioni dei porti chiusi e della controversa selezione dei migranti si pongono, per esempio, in conflitto con il diritto
internazionale, che stabilisce l'obbligo di garantire un porto sicuro alle persone soccorse. I noti Accordi di Dublino aggravano, inoltre, la situazione dell’Italia, assegnando la responsabilità del trattamento delle domande di asilo al primo Paese di ingresso, senza prevedere una distribuzione equa tra gli Stati membri dell'UE; il che fa emergere la necessità di una maggiore solidarietà e di politiche migratorie comuni più incisive. I casi di seguito indicati sono soltanto alcuni degli eventi che hanno impegnato i giuristi del diritto internazionale del mare: navi Ocean Viking, Louise Michel, Humanity 1, Geo Barents e Diciotti.
Le operazioni di soccorso possono riguardare anche i sinistri marittimi come nel caso della petroliera Sanchi: in questa circostanza, le attività di salvataggio hanno messo in evidenza la mancanza di un coordinamento tempestivo e di procedure di sicurezza da implementare per disastri marittimi di questa portata. Per le menzionate ragioni il soccorso si è rivelato inefficace, atteso che l’incidente ha avuto un impatto devastante sull’ambiente marino.
La nave Alan Kurdi, operante nell’ambito delle operazioni di soccorso nel Mar Mediterraneo,
rappresenta un caso emblematico di soccorso in mare che ha avuto luogo durante una delle fasi più
critiche della pandemia di Covid-19: le misure sanitarie internazionali imposte per prevenire la
diffusione del virus hanno portato ad una serie di limitazioni che hanno influito sulle operazioni di salvataggio, sollevando questioni cruciali anche in merito alla protezione dei diritti umani.
L’evoluzione del soccorso marittimo nei prossimi anni è rappresentata indubbiamente anche dallo
sviluppo dei droni: caratterizzati da rapidità di intervento, capacità di sorvolo in condizioni estreme e riduzione del rischio per il personale, miglioramento dell’efficacia delle missioni, consentendo una localizzazione più precisa delle persone in difficoltà. Il loro impiego, tuttavia, richiede un costante aggiornamento normativo per assicurare la sicurezza e affrontare le questioni legate alla responsabilità civile e penale in caso di incidenti, di tutela della privacy e di gestione del trattamento dei dati personali.
La comunità internazionale, considerata la complessità della materia e la necessità di assegnare un valore giuridico alle consuetudini di solidarietà marittima, avvertì la necessità di tradurre tali consuetudini in norme giuridiche, anche al fine di risolvere eventuali conflitti legislativi: per tali motivi nel 1910 entrò in vigore la Convenzione di Bruxelles.
Successivamente, fu elaborato un nuovo documento che, dopo la redazione di molte proposte e modifiche, condusse alla approvazione della SOLAS (acronimo di Safety of Life at Sea), con l’obiettivo di integrare ed ampliare la normativa esistente sul soccorso marittimo, concentrando l’attenzione sulla tutela della vita umana in mare.
Tale convenzione riveste un'importanza fondamentale sol che si consideri che ha posto le basi per l'adozione della Convenzione sulla ricerca e il salvataggio marittimo, siglata ad Amburgo nel 1979: fra l’altro essa istituì le zone SAR (Search and Rescue) ovvero le porzioni di mare all’interno delle quali gli Stati costieri sono tenuti ad effettuare una costante opera di ricerca e soccorso.
Anche la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS), approvata a Montego Bay nel 1982, affronta, tra i diversi argomenti, il tema del soccorso marittimo: stabilisce, infatti, il principio (art.98) di cooperazione internazionale per garantire assistenza a chiunque sia trovato in mare in condizioni di pericolo. La normazione de qua non è, tuttavia, scevra da lacune e necessita di ulteriori interventi integrativi.
In particolare, non sono ben definite le responsabilità degli Stati che intervengono nelle operazioni di salvataggio, e, soprattutto, vi è un vero e proprio difetto di chiarezza, oltrechè un contrasto interpretativo, per quanto concerne il luogo in cui deve avvenire lo sbarco delle persone soccorse, ovvero il “Place of Safety” (POS). Quest’ultimo, introdotto in virtù degli emendamenti alle Convenzioni SOLAS e SAR, nonché alla risoluzione MSC.167 contenente le Guidelines on the Treatment of Persons Rescued at Sea, è stato definito come il luogo in cui le operazioni di salvataggio sono considerate concluse e, allo stesso tempo, un posto dove siano assicurati i bisogni essenziali ai superstiti, tra cui cibo, alloggio e assistenza sanitaria.
La tematica in disamina si interseca oggettivamente, soprattutto per l’Italia, con il fenomeno del soccorso ai migranti.
Gli attori principali in questo campo, negli ultimi anni, sono sicuramente le ONG, che hanno assunto un ruolo fondamentale nel soccorso di migranti nel Mediterraneo. Tali organizzazioni, spesso in collaborazione con altre realtà internazionali, intervengono laddove gli Stati potrebbero non riuscire ad agire tempestivamente. L’operato delle ONG ha, tuttavia, suscitato un acceso dibattito nell’opinione pubblica soprattutto per l’accusa di alimentare l’effetto "pull factor", cioè di incentivare con i loro interventi il flusso migratorio verso l’Europa. Le critiche si concentrano anche sulla scarsa trasparenza dei finanziamenti sottostanti, e, secondo alcuni Stati, persino su una presunta collaborazione con i trafficanti di migranti.
Un’altra critica, frequentemente rivolta alle ONG, riguarda l’assenza di una normativa che disciplini l’attività delle loro navi; il Governo italiano, ha elaborato, a tal fine, nel 2017, il Codice di Condotta per le ONG. Se da un lato il Codice è stato accolto con toni molto positivi da diversi Stati membri dell’UE, dall’altro le ONG hanno valutato, in senso negativo, l’accoglienza di tale documento: la mancata sottoscrizione del Codice da parte di queste ultime non può avere alcuna conseguenza giuridicamente vincolante nei loro confronti poiché il documento non rientra in alcuna delle categorie normative riconosciute dall’ordinamento italiano; deve essere considerato, pertanto, come un atto di soft law.
La trattazione si conclude con la disamina di alcuni casi di soccorso marittimo internazionale più
recenti, evidenziando le problematiche più comunemente riscontrate. Le questioni dei porti chiusi e della controversa selezione dei migranti si pongono, per esempio, in conflitto con il diritto
internazionale, che stabilisce l'obbligo di garantire un porto sicuro alle persone soccorse. I noti Accordi di Dublino aggravano, inoltre, la situazione dell’Italia, assegnando la responsabilità del trattamento delle domande di asilo al primo Paese di ingresso, senza prevedere una distribuzione equa tra gli Stati membri dell'UE; il che fa emergere la necessità di una maggiore solidarietà e di politiche migratorie comuni più incisive. I casi di seguito indicati sono soltanto alcuni degli eventi che hanno impegnato i giuristi del diritto internazionale del mare: navi Ocean Viking, Louise Michel, Humanity 1, Geo Barents e Diciotti.
Le operazioni di soccorso possono riguardare anche i sinistri marittimi come nel caso della petroliera Sanchi: in questa circostanza, le attività di salvataggio hanno messo in evidenza la mancanza di un coordinamento tempestivo e di procedure di sicurezza da implementare per disastri marittimi di questa portata. Per le menzionate ragioni il soccorso si è rivelato inefficace, atteso che l’incidente ha avuto un impatto devastante sull’ambiente marino.
La nave Alan Kurdi, operante nell’ambito delle operazioni di soccorso nel Mar Mediterraneo,
rappresenta un caso emblematico di soccorso in mare che ha avuto luogo durante una delle fasi più
critiche della pandemia di Covid-19: le misure sanitarie internazionali imposte per prevenire la
diffusione del virus hanno portato ad una serie di limitazioni che hanno influito sulle operazioni di salvataggio, sollevando questioni cruciali anche in merito alla protezione dei diritti umani.
L’evoluzione del soccorso marittimo nei prossimi anni è rappresentata indubbiamente anche dallo
sviluppo dei droni: caratterizzati da rapidità di intervento, capacità di sorvolo in condizioni estreme e riduzione del rischio per il personale, miglioramento dell’efficacia delle missioni, consentendo una localizzazione più precisa delle persone in difficoltà. Il loro impiego, tuttavia, richiede un costante aggiornamento normativo per assicurare la sicurezza e affrontare le questioni legate alla responsabilità civile e penale in caso di incidenti, di tutela della privacy e di gestione del trattamento dei dati personali.
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