Tesi etd-03262025-214453 |
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Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale
Autore
BALDUIN, GIOVANNI
URN
etd-03262025-214453
Titolo
LA SICUREZZA MARITTIMA CINESE: SFIDE E CRITICITA’ NEL MAR CINESE MERIDIONALE
Dipartimento
SCIENZE POLITICHE
Corso di studi
SCIENZE MARITTIME E NAVALI
Relatori
relatore Prof. Lesti, Saverio
Parole chiave
- Belt and Road Initiative (BRI)
- Cina
- Collana di Perle (String of Pearls)
- Cooperazione marittima
- Difesa in acque vicine
- Diplomazia navale
- Dispute territoriali
- Geoeconomia
- Mar Cinese Meridionale
- Militarizzazione delle isole
- Nine-Dash Line
- Pirateria marittima
- PLAN
- Proiezione di potenza
- Rotte energetiche
- Sicurezza marittima
- Soft power
- Strategia A2/AD
- Strategia marittima
- Trappola di Tucidide
Data inizio appello
14/04/2025
Consultabilità
Non consultabile
Data di rilascio
14/04/2065
Riassunto
Questa tesi affronta il tema della sicurezza marittima della Repubblica Popolare Cinese (RPC), con particolare attenzione al Mar Cinese Meridionale, regione strategica e teatro di intense dispute geopolitiche. L’obiettivo è comprendere come la Cina abbia riformulato la propria dottrina navale e le relative strategie politico-militari per garantirsi accesso sicuro alle rotte commerciali, proiettare potenza e rafforzare la propria influenza globale. L’elaborato è suddiviso in quattro capitoli principali, preceduti da una ricca introduzione e seguiti da approfondite considerazioni conclusive.
La Cina è passata da una potenza continentale a una potenza marittima, consapevole dell’importanza delle vie di comunicazione navali per la sua sopravvivenza energetica, il commercio internazionale e le proprie ambizioni globali. Oltre il 90% del commercio estero cinese avviene via mare, così come una significativa quota delle importazioni energetiche. Di conseguenza, la sicurezza marittima è divenuta una priorità strategica, inducendo Pechino a investire massicciamente in infrastrutture, diplomazia navale e proiezione militare. La tesi analizza quattro aree principali: l’evoluzione della politica marittima cinese, le minacce alla sua sicurezza marittima, le risposte adottate e le implicazioni regionali e globali.
Il primo capitolo traccia l’evoluzione della strategia marittima cinese, dalla dinastia Song fino all’era contemporanea. Inizialmente, la Cina fu poco orientata al mare, focalizzandosi sulle vie fluviali interne. L’espansione marittima avvenne brevemente sotto l’ammiraglio Zheng He nel XV secolo, ma venne poi bruscamente interrotta, lasciando spazio a un secolare isolamento navale. Solo nel tardo XIX secolo, con la creazione della Marina Imperiale Qing, la Cina cercò di colmare il divario con le potenze occidentali.
Nel XX secolo, dopo la fondazione della Repubblica Popolare, fu costituita la PLAN (People’s Liberation Army Navy), inizialmente subordinata all’Esercito. Nei decenni successivi, la dottrina cinese passò dalla difesa costiera alla “difesa in acque vicine” (Near Seas Defense), promuovendo una strategia navale più ampia, che include Taiwan, il Mar Giallo e il Mar Cinese Meridionale.
L’ammiraglio Liu Huaqing è considerato l’artefice della svolta strategica: propose la progressiva espansione marittima in tre fasi – dalla difesa costiera, alla difesa nelle acque regionali, fino a una proiezione globale. Concetti come le "catene insulari" sono alla base della visione strategica cinese, in particolare per monitorare e controllare i movimenti navali di potenze rivali come gli Stati Uniti.
La Cina si confronta con molteplici minacce e criticità marittime.
1. Dispute territoriali
Nel Mar Cinese Meridionale, Pechino rivendica vaste aree tramite la “Nine Dash Line”, in contrasto con le rivendicazioni di Filippine, Vietnam, Malesia, Brunei e Taiwan. La militarizzazione delle isole contese e la costruzione di avamposti artificiali (isole Spratly e Paracels) hanno inasprito le tensioni regionali, attirando anche l’interesse degli Stati Uniti in funzione di contenimento.
2. Artico e nuove rotte
Pechino ha manifestato un crescente interesse per l’Artico, considerandolo una rotta alternativa strategica per le merci. La “Rotta della seta polare” rappresenta un tentativo cinese di entrare in un’area tradizionalmente sotto influenza russa e nordamericana.
3. Minacce non convenzionali
Pirateria, terrorismo marittimo, traffici illeciti e sabotaggi digitali rappresentano nuove sfide alla sicurezza. La Cina ha intensificato le missioni antipirateria nell’Oceano Indiano e nel Golfo di Aden, anche attraverso la base militare a Gibuti.
4. Espansione navale di potenze rivali
La crescente presenza militare di Giappone, India e Stati Uniti nello spazio indo-pacifico ha spinto la Cina a rafforzare la propria deterrenza. La rivalità strategica tra Washington e Pechino è sempre più evidente, alimentata dalla competizione per il controllo delle rotte marittime.
5. Rotte energetiche
Il passaggio obbligato delle petroliere cinesi attraverso choke points come lo Stretto di Malacca rappresenta una vulnerabilità. Il rischio di blocchi, sanzioni o attacchi lungo queste vie rende urgente per la Cina il controllo delle infrastrutture e la diversificazione dei corridoi energetici.
La risposta strategica della Cina si articola su più livelli:
1. Modernizzazione della PLAN
Negli ultimi due decenni, la PLAN si è trasformata in una forza navale moderna e potente. Pechino ha varato nuove portaerei, cacciatorpediniere, sottomarini nucleari e mezzi anfibi. Le esercitazioni congiunte con la Russia e la partecipazione a missioni internazionali rafforzano il ruolo della Cina come potenza navale globale.
2. Forze paramilitari
La Guardia Costiera cinese e la Milizia Marittima svolgono un ruolo cruciale nel pattugliamento delle aree contese, in particolare nel Mar Cinese Meridionale. Agiscono in una “zona grigia” tra diplomazia e forza militare, spesso con metodi coercitivi.
3. Diplomazia marittima
La Cina si è impegnata in accordi regionali con l’ASEAN e altri Paesi per gestire le dispute marittime, sebbene molte iniziative siano considerate strumentali alla propria agenda geopolitica. Le missioni umanitarie (come quelle della nave ospedale Peace Ark) rafforzano l’immagine della Cina come attore responsabile.
4. Infrastrutture marittime estere
La costruzione di porti e basi militari all’estero rappresenta una rete logistica globale a supporto della proiezione navale. Attraverso la Belt and Road Initiative, la Cina ha investito in porti strategici in Pakistan (Gwadar), Sri Lanka (Hambantota), Grecia (Pireo), Gibuti, Egitto, Marocco e altri Stati.
Il concetto di “String of Pearls” sintetizza questa strategia, basata su una catena di presidi logistici e commerciali lungo le rotte marittime cruciali per la Cina, dallo Stretto di Malacca al Mediterraneo.
L’espansione marittima cinese ha conseguenze rilevanti:
•Per l’Asia-Pacifico: la crescente assertività della Cina crea tensioni con i Paesi limitrofi e alimenta la corsa agli armamenti navali.
•Per gli Stati Uniti: si pone il rischio di una “Trappola di Tucidide”: lo scontro tra una potenza emergente (Cina) e una dominante (USA).
•Per l’Europa, la presenza cinese nei porti mediterranei può rappresentare un’opportunità commerciale ma anche un rischio strategico.
•A livello globale, la Cina mira a ridefinire l’ordine marittimo internazionale, ponendosi come alternativa agli equilibri a guida occidentale.
Il controllo delle rotte commerciali e il dispiegamento di flotte d’altura sono manifestazioni tangibili dell’ambizione cinese di accreditarsi come potenza marittima globale. Tuttavia, il perseguimento di tali obiettivi rischia di generare frizioni crescenti, soprattutto in assenza di trasparenza strategica.
La tesi mette in evidenza come la Cina stia progressivamente trasformando il proprio profilo strategico da potenza terrestre a potenza marittima globale. La sicurezza delle rotte commerciali, la proiezione navale, la presenza infrastrutturale all’estero e la cooperazione diplomatica sono tutti tasselli di una strategia coerente e multilivello.
Pechino, consapevole della vulnerabilità delle sue supply chain marittime, ha adottato un approccio proattivo e strutturato, basato sia su mezzi militari sia su strumenti economici e diplomatici. La sfida per il futuro sarà trovare un equilibrio tra questa espansione e la gestione del confronto, sempre più probabile, con le altre potenze marittime, in primis gli Stati Uniti.
Il lavoro si distingue per l’approccio geopolitico e documentale, l’analisi delle fonti strategiche e l’ampiezza dei temi trattati. Offre una visione chiara delle ambizioni marittime cinesi e delle implicazioni globali della loro attuazione.
La Cina è passata da una potenza continentale a una potenza marittima, consapevole dell’importanza delle vie di comunicazione navali per la sua sopravvivenza energetica, il commercio internazionale e le proprie ambizioni globali. Oltre il 90% del commercio estero cinese avviene via mare, così come una significativa quota delle importazioni energetiche. Di conseguenza, la sicurezza marittima è divenuta una priorità strategica, inducendo Pechino a investire massicciamente in infrastrutture, diplomazia navale e proiezione militare. La tesi analizza quattro aree principali: l’evoluzione della politica marittima cinese, le minacce alla sua sicurezza marittima, le risposte adottate e le implicazioni regionali e globali.
Il primo capitolo traccia l’evoluzione della strategia marittima cinese, dalla dinastia Song fino all’era contemporanea. Inizialmente, la Cina fu poco orientata al mare, focalizzandosi sulle vie fluviali interne. L’espansione marittima avvenne brevemente sotto l’ammiraglio Zheng He nel XV secolo, ma venne poi bruscamente interrotta, lasciando spazio a un secolare isolamento navale. Solo nel tardo XIX secolo, con la creazione della Marina Imperiale Qing, la Cina cercò di colmare il divario con le potenze occidentali.
Nel XX secolo, dopo la fondazione della Repubblica Popolare, fu costituita la PLAN (People’s Liberation Army Navy), inizialmente subordinata all’Esercito. Nei decenni successivi, la dottrina cinese passò dalla difesa costiera alla “difesa in acque vicine” (Near Seas Defense), promuovendo una strategia navale più ampia, che include Taiwan, il Mar Giallo e il Mar Cinese Meridionale.
L’ammiraglio Liu Huaqing è considerato l’artefice della svolta strategica: propose la progressiva espansione marittima in tre fasi – dalla difesa costiera, alla difesa nelle acque regionali, fino a una proiezione globale. Concetti come le "catene insulari" sono alla base della visione strategica cinese, in particolare per monitorare e controllare i movimenti navali di potenze rivali come gli Stati Uniti.
La Cina si confronta con molteplici minacce e criticità marittime.
1. Dispute territoriali
Nel Mar Cinese Meridionale, Pechino rivendica vaste aree tramite la “Nine Dash Line”, in contrasto con le rivendicazioni di Filippine, Vietnam, Malesia, Brunei e Taiwan. La militarizzazione delle isole contese e la costruzione di avamposti artificiali (isole Spratly e Paracels) hanno inasprito le tensioni regionali, attirando anche l’interesse degli Stati Uniti in funzione di contenimento.
2. Artico e nuove rotte
Pechino ha manifestato un crescente interesse per l’Artico, considerandolo una rotta alternativa strategica per le merci. La “Rotta della seta polare” rappresenta un tentativo cinese di entrare in un’area tradizionalmente sotto influenza russa e nordamericana.
3. Minacce non convenzionali
Pirateria, terrorismo marittimo, traffici illeciti e sabotaggi digitali rappresentano nuove sfide alla sicurezza. La Cina ha intensificato le missioni antipirateria nell’Oceano Indiano e nel Golfo di Aden, anche attraverso la base militare a Gibuti.
4. Espansione navale di potenze rivali
La crescente presenza militare di Giappone, India e Stati Uniti nello spazio indo-pacifico ha spinto la Cina a rafforzare la propria deterrenza. La rivalità strategica tra Washington e Pechino è sempre più evidente, alimentata dalla competizione per il controllo delle rotte marittime.
5. Rotte energetiche
Il passaggio obbligato delle petroliere cinesi attraverso choke points come lo Stretto di Malacca rappresenta una vulnerabilità. Il rischio di blocchi, sanzioni o attacchi lungo queste vie rende urgente per la Cina il controllo delle infrastrutture e la diversificazione dei corridoi energetici.
La risposta strategica della Cina si articola su più livelli:
1. Modernizzazione della PLAN
Negli ultimi due decenni, la PLAN si è trasformata in una forza navale moderna e potente. Pechino ha varato nuove portaerei, cacciatorpediniere, sottomarini nucleari e mezzi anfibi. Le esercitazioni congiunte con la Russia e la partecipazione a missioni internazionali rafforzano il ruolo della Cina come potenza navale globale.
2. Forze paramilitari
La Guardia Costiera cinese e la Milizia Marittima svolgono un ruolo cruciale nel pattugliamento delle aree contese, in particolare nel Mar Cinese Meridionale. Agiscono in una “zona grigia” tra diplomazia e forza militare, spesso con metodi coercitivi.
3. Diplomazia marittima
La Cina si è impegnata in accordi regionali con l’ASEAN e altri Paesi per gestire le dispute marittime, sebbene molte iniziative siano considerate strumentali alla propria agenda geopolitica. Le missioni umanitarie (come quelle della nave ospedale Peace Ark) rafforzano l’immagine della Cina come attore responsabile.
4. Infrastrutture marittime estere
La costruzione di porti e basi militari all’estero rappresenta una rete logistica globale a supporto della proiezione navale. Attraverso la Belt and Road Initiative, la Cina ha investito in porti strategici in Pakistan (Gwadar), Sri Lanka (Hambantota), Grecia (Pireo), Gibuti, Egitto, Marocco e altri Stati.
Il concetto di “String of Pearls” sintetizza questa strategia, basata su una catena di presidi logistici e commerciali lungo le rotte marittime cruciali per la Cina, dallo Stretto di Malacca al Mediterraneo.
L’espansione marittima cinese ha conseguenze rilevanti:
•Per l’Asia-Pacifico: la crescente assertività della Cina crea tensioni con i Paesi limitrofi e alimenta la corsa agli armamenti navali.
•Per gli Stati Uniti: si pone il rischio di una “Trappola di Tucidide”: lo scontro tra una potenza emergente (Cina) e una dominante (USA).
•Per l’Europa, la presenza cinese nei porti mediterranei può rappresentare un’opportunità commerciale ma anche un rischio strategico.
•A livello globale, la Cina mira a ridefinire l’ordine marittimo internazionale, ponendosi come alternativa agli equilibri a guida occidentale.
Il controllo delle rotte commerciali e il dispiegamento di flotte d’altura sono manifestazioni tangibili dell’ambizione cinese di accreditarsi come potenza marittima globale. Tuttavia, il perseguimento di tali obiettivi rischia di generare frizioni crescenti, soprattutto in assenza di trasparenza strategica.
La tesi mette in evidenza come la Cina stia progressivamente trasformando il proprio profilo strategico da potenza terrestre a potenza marittima globale. La sicurezza delle rotte commerciali, la proiezione navale, la presenza infrastrutturale all’estero e la cooperazione diplomatica sono tutti tasselli di una strategia coerente e multilivello.
Pechino, consapevole della vulnerabilità delle sue supply chain marittime, ha adottato un approccio proattivo e strutturato, basato sia su mezzi militari sia su strumenti economici e diplomatici. La sfida per il futuro sarà trovare un equilibrio tra questa espansione e la gestione del confronto, sempre più probabile, con le altre potenze marittime, in primis gli Stati Uniti.
Il lavoro si distingue per l’approccio geopolitico e documentale, l’analisi delle fonti strategiche e l’ampiezza dei temi trattati. Offre una visione chiara delle ambizioni marittime cinesi e delle implicazioni globali della loro attuazione.
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