Tesi etd-03262025-133522 |
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Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale LM5
Autore
MORETTI, CHIARA
URN
etd-03262025-133522
Titolo
DONNE, SPORT E LAVORO: IL PERCORSO DELLE ATLETE VERSO LA PARITÀ DI GENERE
Dipartimento
GIURISPRUDENZA
Corso di studi
GIURISPRUDENZA
Relatori
relatore Prof. Galardi, Raffaele
Parole chiave
- d.lgs 36/2021
- dillattanti
- disguaglianze di genere
- donne
- lavoratore sportivo
- lavoro
- principio di pari opportunità
- professioniste di fatto
- sport
Data inizio appello
14/04/2025
Consultabilità
Completa
Riassunto
La figura dell’atleta donna ha vissuto un’evoluzione significativa nel corso della storia affrontando numerose difficoltà e discriminazioni.
Nonostante i progressi, il mondo dello sport femminile è stato a lungo segnato da criticità che hanno reso il lavoro delle atlete meno tutelato rispetto a quello dei loro colleghi uomini.
Tra i problemi principali vi è la questione della maternità e delle cosiddette clausole “anti-maternità”, clausole che limitano i diritti delle sportive e nei casi più estremi portano alla risoluzione dei contratti, risultando in netto contrasto con le normative a tutela della maternità e con i principi di uguaglianza sul posto di lavoro. Tra i casi più emblematici ricordiamo quello della pallavolista Lara Lugli e della calciatrice islandese Bjork Gunnarsdottir, entrambe penalizzate per aver scelto di diventare madri.
A livello normativo, la Legge n. 91/1981 ha disciplinato per lungo tempo il professionismo sportivo, escludendo per decenni le atlete da un inquadramento contrattuale adeguato e costringendo molte di loro a restare nella condizione di “professionismo di fatto”.
L’assenza di un riconoscimento formale del loro status ha impedito loro di accedere a diritti fondamentali come ferie, maternità, previdenza e assistenza, tutele garantite ai lavoratori subordinati.
Per cercare di colmare le lacune, vi sono stati alcuni interventi, tra cui l’istituzione del “Fondo unico a sostegno del potenziamento del movimento sportivo italiano”, un fondo che aveva l’obiettivo di fornire risorse economiche per lo sviluppo del settore, che però non è risultato sufficiente a risolvere tutti i problemi esistenti.
Altro aspetto da dover considerare è la peculiarità dell’ordinamento sportivo, il quale gode di un principio di autonomia che spesso ha portato le Federazioni a gestire le proprie regolamentazioni senza un controllo efficace da parte dello Stato, rischiando così di perpetuare le discriminazioni.
Tuttavia, tale principio non può giustificare la violazione delle norme sia a livello sovranazionale che a livello nazionale, a tutela dell’uguaglianza e della parità di trattamento, che dovrebbero garantire condizioni di lavoro eque per le atlete.
L’ ostacolo principale per un’estensione più ampia delle tutele è rappresentato dal tema della sostenibilità economica: molte discipline femminili ricevono minori investimenti rispetto a quelle maschili, rendendo più difficile lo sviluppo del professionismo femminile.
In questo contesto, un ruolo importante è stato svolto dai gruppi sportivi militari e dai corpi dello Stato, che hanno offerto molte opportunità lavorative alle atlete, consentendo loro di proseguire la carriera sportiva con maggiori garanzie economiche.
Un passo fondamentale verso il cambiamento è stato compiuto con la riforma introdotta dalla legge delega n. 86/2019 e dal decreto legislativo n. 36/2021, il quale ha finalmente riconosciuto la figura del lavoratore sportivo e ha introdotto nuove tutele per le atlete. L’articolo 25 e seguenti del decreto legislativo n. 36/2021 hanno definito il nuovo assetto contrattuale, stabilendo un quadro normativo più chiaro e garantendo maggiori diritti.
Sono stati inoltre siglati Accordi Collettivi Nazionali per la regolamentazione delle collaborazioni coordinate e continuative nell’area del dilettantismo, che hanno cercato di dare maggiore stabilità a una categoria spesso lasciata nell’incertezza.
Un grande cambiamento si è avuto anche con il riconoscimento del professionismo negli sport femminili, sancito dall’articolo 38, insieme all’introduzione di ulteriori tutele specifiche per le atlete. L’istituzione di un Fondo per il professionismo ha costituito un importante passo in avanti, offrendo un supporto economico alle Federazioni con l'obiettivo di promuovere il passaggio dei settori femminili al professionismo.
Un esempio è quello della F.I.G.C., che inizialmente ha riconosciuto il professionismo anche nel settore femminile e successivamente ha introdotto un accordo collettivo per le calciatrici professioniste.
La riforma ha rappresentato un progresso significativo, ma il cammino verso la piena parità di opportunità è ancora lungo, si rende ancora necessario un impegno costante per garantire alle atlete di svolgere la loro attività con le stesse condizioni e gli stessi diritti dei colleghi uomini, superando discriminazioni e ostacoli soprattutto di natura economica.
Solo attraverso una reale applicazione delle norme e un cambiamento culturale si potrà raggiungere una vera parità nel mondo del lavoro sportivo.
Nonostante i progressi, il mondo dello sport femminile è stato a lungo segnato da criticità che hanno reso il lavoro delle atlete meno tutelato rispetto a quello dei loro colleghi uomini.
Tra i problemi principali vi è la questione della maternità e delle cosiddette clausole “anti-maternità”, clausole che limitano i diritti delle sportive e nei casi più estremi portano alla risoluzione dei contratti, risultando in netto contrasto con le normative a tutela della maternità e con i principi di uguaglianza sul posto di lavoro. Tra i casi più emblematici ricordiamo quello della pallavolista Lara Lugli e della calciatrice islandese Bjork Gunnarsdottir, entrambe penalizzate per aver scelto di diventare madri.
A livello normativo, la Legge n. 91/1981 ha disciplinato per lungo tempo il professionismo sportivo, escludendo per decenni le atlete da un inquadramento contrattuale adeguato e costringendo molte di loro a restare nella condizione di “professionismo di fatto”.
L’assenza di un riconoscimento formale del loro status ha impedito loro di accedere a diritti fondamentali come ferie, maternità, previdenza e assistenza, tutele garantite ai lavoratori subordinati.
Per cercare di colmare le lacune, vi sono stati alcuni interventi, tra cui l’istituzione del “Fondo unico a sostegno del potenziamento del movimento sportivo italiano”, un fondo che aveva l’obiettivo di fornire risorse economiche per lo sviluppo del settore, che però non è risultato sufficiente a risolvere tutti i problemi esistenti.
Altro aspetto da dover considerare è la peculiarità dell’ordinamento sportivo, il quale gode di un principio di autonomia che spesso ha portato le Federazioni a gestire le proprie regolamentazioni senza un controllo efficace da parte dello Stato, rischiando così di perpetuare le discriminazioni.
Tuttavia, tale principio non può giustificare la violazione delle norme sia a livello sovranazionale che a livello nazionale, a tutela dell’uguaglianza e della parità di trattamento, che dovrebbero garantire condizioni di lavoro eque per le atlete.
L’ ostacolo principale per un’estensione più ampia delle tutele è rappresentato dal tema della sostenibilità economica: molte discipline femminili ricevono minori investimenti rispetto a quelle maschili, rendendo più difficile lo sviluppo del professionismo femminile.
In questo contesto, un ruolo importante è stato svolto dai gruppi sportivi militari e dai corpi dello Stato, che hanno offerto molte opportunità lavorative alle atlete, consentendo loro di proseguire la carriera sportiva con maggiori garanzie economiche.
Un passo fondamentale verso il cambiamento è stato compiuto con la riforma introdotta dalla legge delega n. 86/2019 e dal decreto legislativo n. 36/2021, il quale ha finalmente riconosciuto la figura del lavoratore sportivo e ha introdotto nuove tutele per le atlete. L’articolo 25 e seguenti del decreto legislativo n. 36/2021 hanno definito il nuovo assetto contrattuale, stabilendo un quadro normativo più chiaro e garantendo maggiori diritti.
Sono stati inoltre siglati Accordi Collettivi Nazionali per la regolamentazione delle collaborazioni coordinate e continuative nell’area del dilettantismo, che hanno cercato di dare maggiore stabilità a una categoria spesso lasciata nell’incertezza.
Un grande cambiamento si è avuto anche con il riconoscimento del professionismo negli sport femminili, sancito dall’articolo 38, insieme all’introduzione di ulteriori tutele specifiche per le atlete. L’istituzione di un Fondo per il professionismo ha costituito un importante passo in avanti, offrendo un supporto economico alle Federazioni con l'obiettivo di promuovere il passaggio dei settori femminili al professionismo.
Un esempio è quello della F.I.G.C., che inizialmente ha riconosciuto il professionismo anche nel settore femminile e successivamente ha introdotto un accordo collettivo per le calciatrici professioniste.
La riforma ha rappresentato un progresso significativo, ma il cammino verso la piena parità di opportunità è ancora lungo, si rende ancora necessario un impegno costante per garantire alle atlete di svolgere la loro attività con le stesse condizioni e gli stessi diritti dei colleghi uomini, superando discriminazioni e ostacoli soprattutto di natura economica.
Solo attraverso una reale applicazione delle norme e un cambiamento culturale si potrà raggiungere una vera parità nel mondo del lavoro sportivo.
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