logo SBA

ETD

Archivio digitale delle tesi discusse presso l’Università di Pisa

Tesi etd-03242025-161733


Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale LM5
Autore
PORCIELLO, SOPHIA
URN
etd-03242025-161733
Titolo
Indagini preliminari e violenza nelle relazioni strette tra celerità investigativa e protezione della vittima
Dipartimento
GIURISPRUDENZA
Corso di studi
GIURISPRUDENZA
Relatori
relatore Prof.ssa Bonini, Valentina
Parole chiave
  • indagini preliminari
  • urgenza investigativa
  • violenza di genere
Data inizio appello
14/04/2025
Consultabilità
Non consultabile
Data di rilascio
14/04/2028
Riassunto
Il fenomeno della violenza di genere rappresenta una delle problematiche sociali e giuridiche più gravi e urgenti della nostra epoca. La stratificazione di differenti forme di violenza, maturate prevalentemente nell’ambiente domestico e familiare o nelle relazioni affettive quale “deriva patologica dell’interruzione di un legame”, si colloca, infatti, al centro di un vivace dibattito politico e sociale. Dal punto di vista giuridico, la natura ‘strutturale’ della violenza contro le donne (in quanto “riflesso e conseguenza di quella asimmetria di potere e di status che contraddistingue il rapporto tra uomini e donne”) obbliga gli operatori del diritto a confrontarsi con l’ordinamento “multilivello”, ossia con le Nazioni Unite, a livello universale, e con il Consiglio d’Europa e l’Unione Europea, a livello regionale. Gli strumenti elaborati in tali sedi, come ricordano le Sezioni Unite della Corte di cassazione nella sent. 29 gennaio 2016, n. 10959, svolgono, infatti, un importante ruolo di sollecitazione nei confronti dei legislatori nazionali, tenuti a darvi attuazione e consentono, inoltre, agli operatori giuridici di meglio muoversi nel cd. “arcipelago normativo” (così definito, criticamente, dalla Suprema Corte), costituito dalla stratificata normativa sostanziale e processuale. In particolare, sul fronte processual-penalistico, la Convenzione sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (cd. Convenzione di Istanbul) del 2011, ratificata dal nostro Paese con l. n. 77 del 2013, fra le tante questioni affrontate e dirette ad un progressivo sradicamento di “pregiudizi, costumi, tradizioni e qualsiasi altra pratica basati sull’idea dell’inferiorità della donna o su modelli stereotipati dei ruoli delle donne e degli uomini” , dedica un apposito capitolo (VI) alla disciplina delle indagini preliminari e alle misure di protezione della vittima, individuando, peraltro, le misure (“legislative o di altro tipo”) che gli Stati devono adottare per garantire il pieno rispetto dell’accordo internazionale. Infatti, dinanzi a reati così ‘efferati’ quali quelli di violenza contro le donne, il tempestivo intervento delle autorità ad esso preposte (forze dell’ordine e autorità giudiziaria) e, dunque, l’immediato avvio del procedimento penale con una veloce ricostruzione dei fatti, consentono di evitare che eventuali stasi, nell’acquisizione e nell’iscrizione delle notizie di reato o nello svolgimento delle indagini preliminari, possano porre ulteriormente in pericolo la vita e l’incolumità fisica delle vittime, ad esempio, di reati di maltrattamenti, violenza sessuale, atti persecutori e di lesioni aggravate (poiché commesse in contesti familiari o nell’ambito di relazioni di convivenza). Tuttavia, sul fronte interno, nonostante la previsione anche di obblighi “positivi” (sostanziali e procedurali) per gli Stati membri dell’Unione europea in materia di accesso alla giustizia penale per le vittime di violenza di genere, il nostro Paese è stato più volte condannato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo per violazione, in particolare, degli artt. 2, 3, 8 e 14 della Cedu e, dunque, per non aver agito prontamente in seguito a talune denunce di donne che lamentavano la lesione di alcuni dei loro diritti fondamentali (tra i quali, il diritto alla vita). Infatti, molteplici interventi del legislatore nazionale, negli ultimi anni, hanno assicurato una maggiore tutela alle vittime dei reati di violenza domestica e violenza di genere, sulla scia della articolata normativa internazionale (da ultimo, la direttiva UE 2024/1385 sulla lotta alla violenza contro le donne e alla violenza domestica); ciononostante, solo a partire dalla l. n. 69 del 2019 (cd. Codice rosso), emerge una particolare attenzione per la fase delle indagini preliminari, con una evidente accelerazione delle azioni di polizia giudiziaria e di pubblico ministero, che hanno poi conosciuto un ulteriore rafforzamento in seguito all’introduzione della l. n. 122 del 2023 e all’istituzione di una Commissione bicamerale d’inchiesta sul femminicidio (con l. n. 12 del 2023). Da questo punto di vista, come emerso dalle interlocuzioni con gli uffici di Procura generale in occasione dell’inaugurazione degli anni giudiziari 2022 e 2023 e in vista della redazione degli “orientamenti” in materia di violenza di genere ad opera della Procura generale della Corte di Cassazione (3 maggio 2023), “un ruolo importante nella diffusione e nell’affinamento delle buone prassi e delle possibili soluzioni funzionali al superamento delle perduranti criticità e al rafforzamento degli strumenti di contrasto alla violenza di genere” può essere svolto dai responsabili delle Procure generali, che devono promuovere nuove iniziative e contribuire alla valutazione delle specificità del fenomeno della violenza domestica, onde apprezzarne le ripercussioni nelle dinamiche familiari e il rischio di reiterazione degli episodi violenti. A tal fine, oltre alla necessaria individuazione e definizione di cd. criteri di rischio (che consentono di individuare la realtà del pericolo e la ragionevole prevedibilità della sua immediatezza, sia da parte delle forze dell’ordine che del pubblico ministero procedente), la Procura deve adottare protocolli operativi per le modalità di primo intervento, che, peraltro, richiedono l’indispensabile specializzazione nella materia della violenza “relazionale” sia del pubblico ministero che delle forze di polizia giudiziaria. Solo in questo modo, infatti, è possibile distinguere i casi di “violenza” da quelli di mera “conflittualità familiare” e, dunque, escludere la sottovalutazione della violenza riferita o denunciata dalla donna.
Tuttavia, il significativo tasso di ritrattazioni e ridimensionamenti dei fatti che intervengono nel corso dell’indagine ha richiesto l’adozione di strategie investigative ad ampio spettro, determinando, soprattutto, il significativo utilizzo dell’istituto dell’incidente probatorio. Quest’ultimo, quando si procede per reati riconducibili alla violenza di genere, prescinde dal requisito della non rinviabilità e urgenza dell’assunzione della prova (che caratterizza quello ordinario), per far leva sulla particolare fragilità del dichiarante: la dottrina lo ha variamente definito “speciale” ovvero “atipico” o ancora “in deroga”. Infatti, se effettuato con assoluta tempestività e con modalità operative appropriate, l’incidente probatorio consente di acquisire una prova “blindata”, tutelando la vittima da forme di vittimizzazione secondaria e ponendola al riparo da ‘potenziali’ reiterazioni della violenza. Invero, tra i temi centrali dell’azione di contrasto, quello della protezione delle vittime di violenza nella fase cautelare del procedimento penale, costituisce il principale obiettivo da conseguire: l’art. 18 della Convenzione di Istanbul lo conferma, rimarcando la necessità di “proteggere le vittime da nuovi atti di violenza” al fine della tempestiva adozione di misure “che siano basate su una comprensione della violenza di genere e sulla sicurezza della vittima”.
File