Tesi etd-03142025-170211 |
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Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale
Autore
BIFFI, LETIZIA
URN
etd-03142025-170211
Titolo
Riflessioni sulla dimensione pubblica di maestro della Scuola Romana.
Mario Mafai (1930-1960)
Dipartimento
CIVILTA' E FORME DEL SAPERE
Corso di studi
STORIA E FORME DELLE ARTI VISIVE, DELLO SPETTACOLO E DEI NUOVI MEDIA
Relatori
relatore Patti, Mattia
Parole chiave
- Mario Mafai
- scuola romana
Data inizio appello
04/04/2025
Consultabilità
Non consultabile
Data di rilascio
04/04/2095
Riassunto
Questo studio propone una ricostruzione e una riflessione sulla dimensione pubblica dell’opera del pittore Mario Mafai, sollecitata in parte da riletture critiche più recenti che tentano una revisione dello stereotipo di “pittore della non ufficialità”. Le ricerche sono cominciate con la ricostruzione delle mostre personali dell’artista e l’identificazione, in alcuni casi solo parziale, delle opere esposte. A questo scopo sono state esaminate monografie, cataloghi di mostre unite alle ricerche nell’Archivio Storico della Biennale di Venezia e nell’Archivio Storico della Quadriennale. La ricostruzione procede cronologicamente avvalendosi di articoli rintracciati sulle principali testate giornalistiche e sui principali periodici dell’epoca, con attenzione ai critici, di volta in volta, più vicini e coinvolti nell’attività del pittore. Particolare attenzione è riservata ai contributi pubblicati dal pittore, con le sue prese di posizione non sempre chiare nei principi di fondo. Il primo capitolio affronta gli anni Trenta, dopo il battesimo della Scuola di Via Cavour, il pittore debutta ufficialmente sulla scena artistica nazionale. Alternando lunghi periodi in Italia, avrebbe cercato consapevolmente, e a più riprese, l’esilio parigino. Dalla capitale francese Mafai cominciava la collaborazione con «L’Italia Letteraria». Nei quattro articoli pubblicati dal pittore si rintracciano non solo acuti commenti sul clima artistico ma sopratutto precoci interessi di carattere sociale e culturale, volti ad istituire anche dei confronti tra la Francia e l’Italia. Con la sala personale della seconda Quadriennale il pittore si presentava aggiornato rispetto alle ricerche tonali, messe a punto e interprete in modo assolutamente personale. Le immagini incantate di acceso lirismo dei paesaggi e gli struggenti fiori secchi ne avevano decretato il successo ma già il pittore cominciava la ritirata sulla difensiva. Il secondo capitolo segue il graduale allontanamento da Roma del pittore. Dopo l’omaggio della mostra personale alla Galleria della Cometa, che segnava un’importante occasione per l’artista di ribadire una posizione di assoluta indipendenza, con il mutare della situazione nazionale e internazionale, per mettere al sicuro la famiglia, grazie all’aiuto dei collezionisti Jesi e Della Ragione, si traferisce a Poveromo e poi a Quarto di Genova. Alla vigilia della guerra mentre il disagio si riversava sulla tela con forza, il pittore cominciava un’avvicinamento consapevole agli ambienti più impegnati nell’opposizione politica. È la stagione della partecipazione alla mostra di Corrente, delle grandi personali allestite tra Venezia, Genova e Milano, e della vincita del secondo premio Bergamo che suggellava l’affermazione al ruolo caposcuola per le nuove generazioni. Un ruolo più simbolico che attivo, Mafai non fu mai un combattente capace di prendere in mano una bandiera. Si appartò con un lavoro da uomo impegnato ma non provò mai ad assumere la guida, perché non era la sua natura. Il terzo capitolo segue l’artista nel secondo dopoguerra. A seguito della convinta partecipazione alla guerra di Liberazione aderiva al PCI e la ricollocava la propria opera con l’articolo pubblicato su «Rinascita». La lettera, di poco precedente, inviata a Togliatti con la qual si accertava delle posizioni del partito rispetto alla libertà degli artisti, è il segnale di un’adesione problematica fin dagli inizi. Già la Biennale di Venezia del 1950 segna una distanza, come potevano i Peperoni e i Pomodoretti di Mafai stare accanto a Occupazione di terre incolte in Sicilia di Guttuso? Il distacco è lento ma alla fine, nel 1956, dopo i fatti di Ungheria lo strappo è inevitabile. La nuova stagione si apre con una dichiarazione del pittore che sente di dover giustificare una scelta e una presa di posizione che viene interpretata come un vero tradimento. Per il pittore scegliere significa rinunciare a qualcosa, perché aveva sostenuto che così soltanto si riesce a realizzare se stessi, diventare quello che si è. Guardando con distanza allo sviluppo della sua opera, si può affermare che proprio nella “rinuncia” sta la coerenza di Mafai, nello sforzo di migliorarsi e progredire nella conquista della terribile idea dell’arte che non è sempre chiara per tutti. Neppure per lui.
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