Tesi etd-03082025-185145 |
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Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale
Autore
FONSECA, MARIAROSARIA
URN
etd-03082025-185145
Titolo
Il palcoscenico come strumento di riscatto: il potere trasformativo delle attività teatrali nei detenuti
Dipartimento
SCIENZE POLITICHE
Corso di studi
SOCIOLOGIA E MANAGEMENT DEI SERVIZI SOCIALI
Relatori
relatore Prof.ssa Psaroudakis, Irene
Parole chiave
- carcere
- identità
- identity
- re-education.
- reinserimento
- reintegration
- rieducazione / prison
- teatro
- theatre
Data inizio appello
24/03/2025
Consultabilità
Completa
Riassunto
Il teatro in carcere rappresenta molto più di una semplice attività artistica: è un potente strumento
di riscatto personale e sociale. Il presente elaborato si propone di indagare il ruolo trasformativo
di questa attività per i detenuti, evidenziando come il palcoscenico diventi uno spazio di
espressione e riscoperta di sé. L’analisi della tematica mette in luce come il teatro consenta di
scardinare l’identità imposta dalla reclusione, restituendo “dignità” di individui ai partecipanti e
favorendo una trasformazione sia personale che collettiva. Oltre a facilitare il percorso di
riabilitazione e di risocializzazione dei singoli, infatti, questa pratica incide sulle dinamiche
carcerarie, promuovendo relazioni più umane e contribuendo a un cambiamento culturale
all’interno dell’istituzione penitenziaria. L’importanza di questo tema risiede nella sua capacità
di porre in discussione il modello tradizionale di detenzione, spesso orientato alla punizione
piuttosto che alla rieducazione.
Per discutere sulla questione l’elaborato si articola in quattro capitoli. Il primo capitolo esamina
il quadro normativo e la condizione detentiva, analizzando l’evoluzione legislativa e il concetto
di risocializzazione. Viene messo in luce il delicato equilibrio tra la pena e la dignità della persona,
affrontando criticità come il sovraffollamento carcerario e il diritto alla salute, che
compromettono la funzione rieducativa della pena sancita dall’articolo 27 della Costituzione. Si
introduce inoltre il ruolo delle attività culturali nel reinserimento, delineando il contesto in cui il
teatro si configura come opportunità. Il secondo capitolo approfondisce la questione dell’identità
nel carcere, partendo dalle teorie di Erving Goffman e George Herbert Mead: si analizza il
processo di mortificazione del Sé e l’imposizione di un’identità stigmatizzata, evidenziando al
contempo le strategie di resistenza messe in atto dagli individui. Il teatro, quindi, permette alle
persone di riscrivere la propria storia e di ridefinire il Sé al di fuori delle etichette imposte. Il terzo
capitolo esamina il ‘’teatro sociale’’ e il suo impatto nella costruzione di una nuova identità, con
riferimento a modelli storici come il Teatro dell’Oppresso di Augusto Boal. In conclusione, il
quarto capitolo propone lo studio di tre casi che dimostrano concretamente il potere trasformativo
della pratica teatrale nei contesti detentivi. Il primo analizza l’esperienza della Compagnia della
Fortezza a Volterra, una delle realtà più consolidate in Italia. Il secondo si concentra sul Teatro
Kismet di Bari, che ha sviluppato un modello di teatro sociale fortemente radicato nel territorio.
Il terzo caso esplora una piccola realtà teatrale di Taranto, che opera in un contesto più marginale.
La realizzazione di interviste ai principali attori coinvolti – i direttori artistici delle prime due
realtà e l’insegnante di canto dell’associazione teatrale tarantina – ha permesso di individuare
alcune aree tematiche, che corrispondono ad altrettanti punti su cui riflettere. I risultati
evidenziano che il teatro in carcere aiuta a ridefinire l’identità dei detenuti e a favorirne il
reinserimento, ma da solo non basta. Per un impatto duraturo, deve essere inserito in un percorso
più ampio, in linea con la normativa italiana, che prevede un trattamento individualizzato con
attività educative e formative. Restituire voce a chi è stato ridotto al silenzio significa restituire
dignità di persona, oltre alla pena da scontare, e il teatro, tra le varie pratiche culturali, rappresenta
uno strumento che può accompagnare questo processo di cambiamento.
di riscatto personale e sociale. Il presente elaborato si propone di indagare il ruolo trasformativo
di questa attività per i detenuti, evidenziando come il palcoscenico diventi uno spazio di
espressione e riscoperta di sé. L’analisi della tematica mette in luce come il teatro consenta di
scardinare l’identità imposta dalla reclusione, restituendo “dignità” di individui ai partecipanti e
favorendo una trasformazione sia personale che collettiva. Oltre a facilitare il percorso di
riabilitazione e di risocializzazione dei singoli, infatti, questa pratica incide sulle dinamiche
carcerarie, promuovendo relazioni più umane e contribuendo a un cambiamento culturale
all’interno dell’istituzione penitenziaria. L’importanza di questo tema risiede nella sua capacità
di porre in discussione il modello tradizionale di detenzione, spesso orientato alla punizione
piuttosto che alla rieducazione.
Per discutere sulla questione l’elaborato si articola in quattro capitoli. Il primo capitolo esamina
il quadro normativo e la condizione detentiva, analizzando l’evoluzione legislativa e il concetto
di risocializzazione. Viene messo in luce il delicato equilibrio tra la pena e la dignità della persona,
affrontando criticità come il sovraffollamento carcerario e il diritto alla salute, che
compromettono la funzione rieducativa della pena sancita dall’articolo 27 della Costituzione. Si
introduce inoltre il ruolo delle attività culturali nel reinserimento, delineando il contesto in cui il
teatro si configura come opportunità. Il secondo capitolo approfondisce la questione dell’identità
nel carcere, partendo dalle teorie di Erving Goffman e George Herbert Mead: si analizza il
processo di mortificazione del Sé e l’imposizione di un’identità stigmatizzata, evidenziando al
contempo le strategie di resistenza messe in atto dagli individui. Il teatro, quindi, permette alle
persone di riscrivere la propria storia e di ridefinire il Sé al di fuori delle etichette imposte. Il terzo
capitolo esamina il ‘’teatro sociale’’ e il suo impatto nella costruzione di una nuova identità, con
riferimento a modelli storici come il Teatro dell’Oppresso di Augusto Boal. In conclusione, il
quarto capitolo propone lo studio di tre casi che dimostrano concretamente il potere trasformativo
della pratica teatrale nei contesti detentivi. Il primo analizza l’esperienza della Compagnia della
Fortezza a Volterra, una delle realtà più consolidate in Italia. Il secondo si concentra sul Teatro
Kismet di Bari, che ha sviluppato un modello di teatro sociale fortemente radicato nel territorio.
Il terzo caso esplora una piccola realtà teatrale di Taranto, che opera in un contesto più marginale.
La realizzazione di interviste ai principali attori coinvolti – i direttori artistici delle prime due
realtà e l’insegnante di canto dell’associazione teatrale tarantina – ha permesso di individuare
alcune aree tematiche, che corrispondono ad altrettanti punti su cui riflettere. I risultati
evidenziano che il teatro in carcere aiuta a ridefinire l’identità dei detenuti e a favorirne il
reinserimento, ma da solo non basta. Per un impatto duraturo, deve essere inserito in un percorso
più ampio, in linea con la normativa italiana, che prevede un trattamento individualizzato con
attività educative e formative. Restituire voce a chi è stato ridotto al silenzio significa restituire
dignità di persona, oltre alla pena da scontare, e il teatro, tra le varie pratiche culturali, rappresenta
uno strumento che può accompagnare questo processo di cambiamento.
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