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Archivio digitale delle tesi discusse presso l'Università di Pisa

Tesi etd-02042014-025636


Tipo di tesi
Tesi di laurea specialistica LC6
Autore
GUERRINI, CINZIA
URN
etd-02042014-025636
Titolo
VALUTAZIONE RETROSPETTIVA DEL RUOLO DEI POLIMORFISMI DI eNOS NEL PREDIRE LA TOSSICITA' E L'EFFICACIA DI UN TRATTAMENTO CON BEVACIZUMAB IN PAZIENTI CON CARCINOMA MAMMARIO METASTATICO
Dipartimento
RICERCA TRASLAZIONALE E DELLE NUOVE TECNOLOGIE IN MEDICINA E CHIRURGIA
Corso di studi
MEDICINA E CHIRURGIA
Relatori
relatore Prof. Falcone, Alfredo
Parole chiave
  • eNOS
  • polimorfismi
  • bevacizumab
  • carcinoma mammario metastatico
  • ipertensione
Data inizio appello
25/02/2014
Consultabilità
Completa
Riassunto
Il tumore della mammella rappresenta la neoplasia più frequentemente diagnosticata e la maggiore causa di morte del sesso femminile a livello mondiale. Nel panorama della patologie oncologiche, il carcinoma della mammella viene considerato generalmente fra le neoplasie a prognosi favorevole. Nonostante ciò, il 5%-10% delle pazienti si presenta alla diagnosi ad uno stadio avanzato; in particolare il 10%-15% dei casi evolverà verso un quadro di disseminazione metastatica entro due anni, con una sopravvivenza mediana a cinque anni del 21%. Il trattamento del carcinoma della mammella metastatico si avvale di molteplici strategie terapeutiche rispetto al passato in quanto, fino a poco tempo fa, la malattia avanzata veniva considerata incurabile nella maggior parte dei casi e la scelta del clinico aveva, come obbiettivo principale, la palliazione sintomatologica ed il contenimento della crescita neoplastica. Nonostante la chemioterapia rappresenti la pietra miliare nel trattamento di tale patologia, la loro elevata tossicità ed il frequente sviluppo di resistenza limita spesso l’utilizzo degli antiblastici. Con la crescente comprensione alla base della biologia delle patologie oncologiche, soprattutto in merito al processo di neoangiogenesi tumorale, nonché l’avvento di sofisticate tecniche genomiche e proteonomiche, si è resa possibile l’identificazione di nuove terapie. In particolare, i farmaci inibenti il Vascular Endothelial Growth Factor (VEGF), come Bevacizumab, assumono un ruolo chiave fra le opzioni terapeutiche, in associazione a taxani, come trattamento di prima linea nel setting metastatico del tumore della mammella. Questo trattamento, denominato targeted teraphy, presenta una minore incidenza di eventi avversi rispetto ai regimi chemioterapici tradizionale; tuttavia, l’ipertensione arteriosa è il più comune effetto collaterale osservato nei pazienti che ricevono una terapia bevacizumab. Le ragioni di tale meccanismo risiedono nel ruolo fondamentale svolto da VEGF nell’angiogenesi tumorale, dove il letto vascolare neoformato è strutturalmente e funzionalmente anomalo, caratterizzato da irregolarità perfusionale ed elevati livelli di pressione interstiziale. VEGF può indurre la produzione di ossido nitrico (NO) agendo su eNOS (endothelial nitric oxide synthase, NOS3) grazie ad un processo di up-regolation; da qui si evince il ruolo fisiologicamente essenziale di quest’ultima sull’omeostasi della pressione sanguigna e sull’integrità vascolare per mezzo del rilascio costitutivo di NO a livello delle cellule endoteliali. La sovrapproduzione di ossido nitrico risultante sembra essere associata ad alterazione della barriera endoteliale ed alla formazione di edema, inficiando dunque la capacità dell’agente antiangiogenetico di agire all’interno della formazione neoplastica. Recenti lavori hanno associato alcune varianti funzionali del gene eNOS, come i polimorfismi -786C>T ed 894G>T, ad una ridotta produzione di NO con conseguente aumentata incidenza di alterazioni dei valori pressori a livello ematico. Attualmente non è possibile disporre di biomarcatori predittivi di efficacia e tossicità validati per quanto riguarda bevacizumab. Questo studio retrospettivo, il primo nel tumore della mammella in cui in cui sono stati studiati i polimorfismi di eNOS -786C>T e 894G>T, come potenzialmente in grado di predire la risposta al trattamento con bevacizumab in termini di efficacia e tossicità, in particolare l’incidenza di ipertensione, nel tumore della mammella metastatico trattato con tale farmaco. In totale sono state arruolate 65 pazienti presso la U.O.di Oncologia Medica di Pisa. Le caratteristiche delle pazienti, tutte di sesso femminile ed HER2 negative, sono le seguenti: età mediana di 59 anni ( range 29-73), performance status (ECOG PS) 0-1=61/4,recettori ormonali positivi/negativi=56/7, precedente chemioterapia adiuvante con taxani=12/65,pazienti sottoposte ad ormonoterapia adiuvante (40/65), età mediana diagnosi fase metastatica 43 anni (range 34-74),intervallo libero da malattia (DFI) mediano 39mesi (range 0 – 22 anni), DFI < />12 mesi =17/48 12 mesi, numero mediano di sedi metastatiche</>3=26/39, con mediana= 3 (range 1-7), malattia viscerale/scheletro=52/3. Per quanto concerne il trattamento: pazienti che hanno ricevuto una chemioterapia di prima linea con paclitaxel in associazione a bevacizumab per una durata mediana di circa 6 mesi (range 2-24+), in seguito bevacizumab di mantenimento(48/65) per una durata mediana di circa 8 mesi (range 1-29+),pazienti che hanno eseguito una seconda linea di trattamento(30/65).In generale la mediana delle linee di trattamento utilizzate nelle pazienti analizzate risulta corrispondere a 2 (range 1-5). Il DNA germinale utilizzato è stato estratto da campioni di sangue periferico e l’analisi dei polimorfismi è stata eseguita con la metodica della real time PCR ed il sequenziamento automatico. Nell’ambito degli eventi avversi registrati, quello riscontrato con maggiore frequenza, è stato rappresentato dallo sviluppo di ipertensione arteriosa globalmente in 46 pazienti (71%), di grado 1-3 (secondo NTC-CTCAE), rispettivamente 20% per il grado 1, 43% per il grado 2 ed 8% per il grado 3. Il tasso di risposte oggettiva corrisponde al 59%; dopo follow-up mediano di 35 mesi (95% CI 21-50), il 71 % delle pazienti (46/65) risulta progredito mentre sono stati registrati 31 decessi (48 %). Globalmente la PFS mediana risulta essere di 14 mesi (95% CI 10-17), mentre la sopravvivenza globale medina è di 39 mesi (95% CI 28-48). Le pazienti che hanno proseguito bevacizumab di mantenimento ammontano al 74% (48/65), la PFS mediana di questo gruppo corrisponde a 14 mesi (95% CI 13-16) rispetto ai 3 mesi (95% CI 3-16; p<0.001 log-Rank). Nei pazienti che hanno proseguito terapia di mantenimento con l’anticorpo monoclonale è stata evidenziata anche una migliore OS mediana di 42 mesi ( 95% CI 36-48) rispetto ai pazienti non sottoposti a tale trattamento per i quali è stata registrata una OS mediana di 15 mesi (95% CI 12-18). Dai risultati ottenuti è stato osservato che il genotipo -786TT, in comparazione con gli altri, è associato ad un beneficio in termini di PFS mediana (9 mesi dei genotipi CC/CT vs 12 mesi del genotipo TT; p=0.0066; log-rank test). Anche i genotipi -894GT e TT sono risultati associati ad una più lunga PFS mediana rispetto al genotipo omozigote wild-type GG (10 mesi vs 7.5 mesi; p=0.0497; Log-rank test). Per quanto riguarda l’incidenza e la severità dell’ipertensione, non sono state evidenziate associazioni significative. In conclusione, questa analisi retrospettiva, nonostante i risultati non ancora definitivi, suggerisce che, la casistica delle pazienti portatrici di mutazione allelica dei due polimorfismi esaminati, non presenta, per quanto riguarda il profilo della tossicità, un rischio aumentato di incidenza o severità ipertensiva ma, anzi, rispetto a quelle con genotipo wild-type, può beneficiare di un migliore outcome clinico in termini di PFS.La natura retrospettiva e l’assenza di un braccio di controllo, non permettono di trarre conclusioni definitive ed i risultati sono comunque da intendersi come del tutto preliminari. Abbiamo infatti intenzione di ampliare la casistica delle pazienti da esaminare e di aggiungere altri due polimorfismi oltre a quelli già in studio. Se i risultati ottenuti fossero in seguito confermati in modo prospettico, consentirebbero di identificare in maniera più accurata possibile i pazienti maggiormente responsivi ad un trattamento di prima linea con bevacizumab, permettendo un utilizzo più razionale delle risorse ed un approccio terapeutico personalizzato sul paziente.

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