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Archivio digitale delle tesi discusse presso l'Università di Pisa

Tesi etd-01152013-212124


Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale LM5
Autore
APRILE, MARISA
URN
etd-01152013-212124
Titolo
I rapporti tra scienza e processo penale nella disciplina della perizia
Dipartimento
GIURISPRUDENZA
Corso di studi
GIURISPRUDENZA
Relatori
relatore Prof.ssa Bonini, Valentina
Parole chiave
  • perizia
  • prova scientifica
  • processo penale
  • consulenza tecnica
  • prelievo biologico coattivo
  • accertamento tecnico
  • scienza
  • diritto
  • metodo scientifico
  • contributo probatorio
  • contraddittorio tecnico
  • diritto alla prova
  • ammissione assunzione valutazione della prova
  • mezzo di prova
Data inizio appello
06/02/2013
Consultabilità
Non consultabile
Data di rilascio
06/02/2053
Riassunto
Gli argomenti trattati nel presente lavoro si contraddistinguono per la loro estrema attualità e problematicità, essendo il tema della c.d. prova scientifica, uno tra i più dibattuti e irrisolti degli ultimi tempi.
Nel presente lavoro si è cercato di dare una risposta alle più svariate domande che caratterizzano i rapporti tra scienza e diritto.
Invero, il dibattito intorno alle relazioni intercorrenti tra conoscenza giudiziaria e conoscenza scientifica è da tempo oggetto di studio e di attenzione sia a livello nazionale che internazionale.
La parte iniziale è un excursus storico con lo scopo di mettere in evidenza il progresso che la scienza ha avuto nell’ambito del procedimento penale.
Lo stimolo alla ricerca di un sapere integrato è venuto anche dall’emergere di nuove tematiche scientifiche che richiedono un ripensamento, in particolare, del tema della prova.
La questione della c. d. “prova scientifica” su cui è incentrato il nostro elaborato, si appresta ormai a divenire un classico nella letteratura giuridica. Il rito penale è, infatti, sempre più aperto all’impiego delle innovazioni tecnologiche ed una simile interazione non può che essere destinata ad espandersi. Oltretutto, se il processo è un percorso conoscitivo creato dall’uomo al fine di accertare un fatto, ogni strumento conoscitivo euristico è potenzialmente fruibile al raggiungimento di tale scopo: come la storia dimostra, la prova penale è uno specchio fedele del cammino del sapere.
Lo studio tratta, infatti, il rapporto scienza-diritto alla luce dell'influenza che la prima ha avuto sul secondo, influenzando notevolmente il legislatore e tutti coloro che sono chiamati ad applicare la norma così come è entrata prepotentemente nel mondo del processo.
Si è evidenziato che la prova scientifica è lo strumento attraverso il quale il giudice viene a conoscenza dei fatti in modo sempre più preciso, accedendo così ad una valutazione dei fenomeni sempre più accurata e precisa. Peraltro, con l'introduzione del rito accusatorio il legislatore ha accentuato l'importanza del contributo di ulteriori conoscenze nel lavoro di ricerca affidato al giudice con la consapevolezza dei limiti formativi dei giuristi che ha dunque aperto occasioni di collaborazione tra le diverse aree dei saperi;
collaborazioni che, tuttavia, impongono la conoscenza degli statuti e dei limiti di ciascuna disciplina e solo un'apertura a tali statuti, a tali modelli, ai linguaggi delle diverse scienze può consentire agli attori del processo una migliore consapevolezza del ruolo che ciascuna parte deve mantenere. Nonostante ciò, si è precisato in questa sede come la conoscenza umana, costantemente sfidata dai propri limiti, si spinga, verso il perseguimento di un fine che per definizione irraggiungibile è costituito dalla ricerca della verità.
Siffatte premesse svelano il punto di partenza ma anche il punto di arrivo di ogni riflessione, compresa quella che si sta svolgendo in questa sede: i metodi scientifici non possono offrire nuove categorie di prove, ma possono servire ad una migliore ricerca della verità.
Ecco perché con il presente lavoro si è cercato di rivisitare alcuni istituti e tematiche processuali tenendo conto delle più recenti acquisizioni derivanti dal progresso scientifico e dalle analisi volte a ridimensionare molti dei tradizionali concetti, erroneamente qualificati.
Si è partiti dalla premessa in base alla quale il processo dovrebbe aspirare ad una ricostruzione che sia il più aderente possibile al concreto svolgimento dei fatti per poi cercare di analizzare l’impatto che il proliferare della cd. prova scientifica ha sortito sul procedimento di formazione della prova penale.
In via preventiva, si è avvertita l’esigenza di porre le premesse per una definizione della locuzione di “prova scientifica”, intesa come esperimento probatorio e caratterizzata dall’impiego di un metodo scientifico nella formazione della conoscenza, che ne chiarisse le peculiarità gnoseologiche rispetto agli strumenti di conoscenza tradizionali; e, in tale prospettiva, si è ritenuto che il quid caratterizzante la scientific evidence sia costituito dall’utilizzazione del metodo scientifico, dovendo riservare, in questo senso, la qualifica di scientificità ai soli elementi di prova che derivano da un procedimento formativo di verificazione hempeliana e falsificazione popperiana, che si sostanzia nella sottoposizione di un’ipotesi a continue sperimentazioni e falsificazioni, con conseguente individuazione di un margine intrinseco di errore. Si è evidenziato però, che la scelta di tale definizione non è priva di riflessi sul piano processuale, in quanto impone di abbandonare la vecchia concezione fideistica della scienza in favore di una nozione di metodo scientifico fallibilista e suscettibile di controllo circa la sua correttezza d’impiego da parte del sistema processuale d’adozione. Da questo è stato possibile ricavare che la centralità del controllo sull’an e sul quantum di scientificità del metodo di formazione della conoscenza deve essere improntato alla considerazione della scienza come contesto culturale in evoluzione, all’interno del quale anche un metodo scientifico o tecnologico accettato e utilizzato nella prassi può essere messo in discussione dall’emergere di teorie innovative.
Per questa via, il vigore assunto dal dibattito sull’interazione tra dinamiche probatorie e metodo scientifico di accertamento dei fatti, acuito dal progressivo aumento del novero di strumenti ad alta tecnologia offerti dalla scienza agli operatori forensi, non poteva ignorare come tali fattori richiedessero strumenti idonei a consentire il controllo giudiziale sull’idoneità epistemologica, il rispetto di protocolli d’uso e la coerenza interna del risultato probatorio.
In questa prospettiva alla quale si dedica la seconda parte del presente elaborato, sono due le questioni che si sono affrontate: una riguardante i modelli probatori attraverso cui introdurre le conoscenze scientifiche nel processo, e, l’altra, riguardante le tecniche di acquisizione processuale del sapere scientifico.
La prima questione è attinente all’inquadramento della c.d. prova scientifica attraverso un percorso che si biforca nelle direzioni della tipicità o della atipicità probatoria. Con l’adesione alla tesi che immette la conoscenza scientifica all’interno delle categorie probatorie tipizzate, si è ritenuto opportuno valorizzare anche la sistematica del codice laddove esso offre una gamma di strumenti nominati tra i quali appunto mezzi di prova quali la perizia e la consulenza tecnica endoperitale ed extraperitale – aventi la funzione di consentire l’ingresso della scienza nel processo. In questa sede, ci si è innanzitutto, chiesti quale sia il ruolo svolto dagli strumenti scientifici applicati per la ricostruzione del fatto, al fine di attestare se ci si trovi di fronte ad un tipo di prova inedito al panorama processuale o a peculiari modalità di formazione della conoscenza riconducibili agli schemi tipici. In seconda analisi, si è considerato il parametro legale dell’art. 220 c.p.p. e come questo accoglie nel suo ambito applicativo sia la fase in cui il perito procede a proprie indagini tecniche facenti capo a risultati probatori fruibili dal giudice, sia la fase predisposta al controllo dei medesimi risultati e volta ad offrire all’organo giudicante gli strumenti di valutazione intorno alla idoneità probatoria astratta e alla attendibilità e rilevanza in concreto del metodo utilizzato. Per ultimo, è stato fondamentale capire come il conferimento alla prova per esperti del ruolo di trait d’union in funzione dell’ingresso della scienza nel contesto processuale valorizza al massimo grado il diritto di difendersi provando, inteso nella particolare declinazione del diritto a difendersi mediante il contributo di esperti, e il principio della formazione dialettica della conoscenza come canone epistemologico del processo penale.
Tale considerazione ha posto le premesse per la soluzione della seconda questione problematica, afferente alla definizione delle modalità acquisitive della prova scientifica nelle scansioni tipiche dell’assunzione della prova per esperti.
Da un lato, si è posta l’attenzione sulla disciplina legislativa regolante la formazione della perizia che prevede l’allestimento di un contraddittorio endoperitale sia in sede di formulazione dei quesiti sia durante la fase di esecuzione delle operazioni, all’interno del quale i consulenti di parte sono posti in grado sindacare le scelte dell’esperto sia sotto il profilo della validità astratta del metodo impiegato sia dal punto di vista della sua idoneità in relazione al caso concreto, consentendo loro di controllare la correttezza delle modalità di esecuzione dall’interno della formazione della prova.
Dall’altro lato, è stato acuito come l’articolazione delle relazioni intercorrenti tra perizia e consulenza tecnica extraperitale rafforza le possibilità di interlocuzione delle parti mediante la realizzazione di una dialettica estrinseca tra i mezzi di prova tecnico-scientifici rimessi alla loro disponibilità. Tale ordine di considerazioni riveste una particolare importanza nelle ipotesi di acquisizione di elementi di prova provenienti da settori della scienza o della tecnica che si avvalgano, al loro interno, di differenti metodi di formazione del dato cognitivo; ed è stato notato come questa dialettica consente alle parti di proporre, ciascuna mediante il proprio consulente, una ricostruzione del thema probandum basata sul metodo scientifico ritenuto più affidabile e di esporre nella relazione le ragioni a sostegno della maggiore idoneità epistemologica dello strumento tecnico-scientifico prescelto. E’ di tutta evidenza, a questo punto, che l’impostazione prescelta costituisce un valido antidoto al cd. paradosso del giudice peritus peritorum, il quale, in sede di valutazione delle tecniche probatorie che si segnalano per l’alto grado di specializzazione, non dovrà operare il vaglio inerente alla scientificità ed affidabilità del metodo scientifico di volta in volta prospettatogli attraverso un dialogo solitario interno alla sua mente ma possa valersi dell’ausilio offerto dai contributi di segno opposto provenienti dalle parti attraverso i propri esperti.
Successivamente si è posta l’attenzione su un altro aspetto e si è messo in evidenzia come, nonostante l’apertura verso il sapere scientifico, rappresenti per ogni ordinamento giuridico il più ambito titolo di legittimazione, a lungo scienza genetica e diritto si sono mossi in modo asincrono, comunicando scarsamente e spesso non agevolmente.
Fatta questa considerazione, la terza parte del presente scritto ha per oggetto gli accertamenti corporali che possono essere svolti nel procedimento penale; di essi viene offerto un inquadramento normativo con costanti riferimenti ai principi costituzionali sui quali si fonda la materia. Qui vengono tracciati i capisaldi inerenti alla ricerca di elementi probatori che possono essere estratti dal corpo della persona umana.
Varie sono le attività che potrebbero comportare restrizioni della libertà personale. Con riferimento a tali interventi, vengono alla luce valori quali la dignità, libertà morale, riservatezza rispetto ai quali si stabilisce un inquadramento costituzionale.
Per questa via, si è affrontato poi, il problema dell’esperibilità in forma coattiva del prelievo e della necessità di acquisire il preventivo consenso della persona interessata talché si possa eseguire su di esso il test del DNA. L’attenzione si è focalizzata inizialmente su due sentenze della Corte costituzionale la quale è intervenuta una volta nel 1986 e successivamente nel 1996.
La Consulta, nella sentenza del 1986, non considerò il prelievo coattivo costituzionalmente illegittimo e definì, per la prima volta, i limiti entro cui il giudice può disporre mezzi istruttori.
Ma, nel 1996, mutando opinione, la Consulta, con una pronuncia diametralmente opposta alla sentenza del 1986, ha inteso colpire la genericità di formulazione dell’art. 224 comma 2 c.p.p. che, in materia di perizia, prevede un potere ordinatorio del giudice ampio e oggettivamente non specificato; anzi, la sua formulazione estremamente generica permette di ricomprendervi le più svariate fattispecie dando adito ad innumerevoli e differenti interpretazioni soggettive che possono comportare una violazione del principio di riserva di legge.
Secondo i giudici costituzionali l’esecuzione coattiva del prelievo ematico lede la libertà personale perché è tecnica invasiva della sfera corporale della persona, pur senza metterne in pericolo l’integrità fisica o la salute e la dignità. Alla luce della sentenza del 1996 è ora impossibile l’esecuzione coattiva della perizia ematologica senza il consenso dell’interessato.
La riflessione si estende poi all’indagine genetica,la cui complessità si ripercuote sul suo stesso inquadramento giuridico, nell’esigenza di tutelare i valori fondamentali dell’individuo. Si è posta l’attenzione sulle fasi in cui si sostanzia l’accertamento e quindi nella raccolta dei dati, nel prelievo di materiale biologico e nell’analisi dei dati raccolti e nel successivo confronto tra profili genetici. Emerge in questo modo che ogni individuo appartiene ad una linea genetica. A questo proposito si è evidenziato un punto di freno tra diritto e scienza in quanto il sistema giuridico è costruito sull’individuo, la genetica invece, è basata su caratteri che l’individuo condivide con altri. In pratica si può arrivare ad identificare una persona mediante l’uso di dati genetici appartenenti ai familiari.
L’ultima parte dell’indagine, è orientata a mettere in luce lacune e vuoti normativi allo scopo di delineare una prospettiva sulla base di leggi che sono ancora in fase di elaborazione. Ci troviamo di fronte ad una problematica abbastanza complessa, che non risulta fino ad oggi esaminata in un contesto unitario.
Si è cercato, in questa sede, di fornire un contributo allo studio della prova scientifica.
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