Tesi etd-12192016-101147 |
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Tipo di tesi
Tesi di dottorato di ricerca
Autore
BUGLIANI, PAOLO
URN
etd-12192016-101147
Titolo
Una modernità in sordina. Charles Lamb, il saggio, Elia
Settore scientifico disciplinare
L-LIN/10
Corso di studi
FILOLOGIA, LETTERATURA E LINGUISTICA
Relatori
tutor Prof.ssa Ferrari, Roberta
correlatore Prof. Stara, Arrigo
correlatore Prof. Stara, Arrigo
Parole chiave
- Charles Lamb
- romanticismo
- saggio personale
- saggio romantico
Data inizio appello
12/01/2017
Consultabilità
Non consultabile
Data di rilascio
12/01/2020
Riassunto
Questo lavoro approda a una rilettura dell’opera di Charles Lamb che non finalizzata alla sola analisi monografica, bensì, più specificamente, alla rivalutazione della prominenza dello stesso in seno all’evoluzione e alla canonizzazione del genere letterario saggio, e del saggio romantico nello specifico, essendone stato preso in questa sede come l’interprete principale. Malgrado figure come William Hazlitt o Thomas De Quincey siano entrate in misura maggiore nell'immaginario collettivo quali emblemi del prosatore romantico, Lamb rappresenta, e non solo a mio parere, il compromesso più equilibrato tra la scanzonata dimestichezza che il sentire post-romantico avrebbe convogliato in quello che normalmente viene indicato come Biedermeier, e tutte le altre splendide e prestigiose suggestioni che la lunghissima tradizione della saggistica inglese seppe accogliere nel suo alveo dorato. Lamb si fece interprete del processo di ‘emancipazione identitaria’ che le essayistic personae, a partire dal Settecento in maniera più eclatante (con lo Spettatore di Addison e Steele in prima linea), avevano magistralmente messo in scena.
Trascendendo la prospettiva individuale del Charles Lamb autore degli Essays of Elia, l’argomentazione si sviluppa da un nucleo teorico che ambirebbe a fornire una succinta analisi descrittiva della forma saggio. Siffatte descrizioni, aprioristicamente condannate al fallimento, devono, per poter ambire a un qualche risultato teorico, essere sottomesse alle circostanze concrete, ed è per questo che in questa sede la riflessione sul genere è stata portata avanti a partire dalle opinioni dei saggisti stessi sulla forma da loro impegata, ossia dai commenti metaletterari sul genere intessuti tra le pagine delle loro opere. Non solo Prefazioni o Introduzioni, ma veri e propri essays on the essay come, tanto per estremizzare cronologicamente, «Of Essays and Books» di William Cornwallis (1609), o «She: Portrait of the Essay as a Warm Body» di Cynthia Ozick (2001). Questo ‘metodo’, affine alla pratica legale degli obiter dicta, non implica alcuna pretesa di completezza, ma presenta indubbiamente il merito di voler presentare un genere dall’interno, ossia di valutarne il funzionamento mettendo in opera la «cognisance» propria del practitioner.
Il nucleo teorico che occupa i capitoli 1 e 2 rappresenta la base dell’analisi che si sviluppa successivamente, la quale non è finalizzata solamente alla disamina dell’opera di Charles Lamb, ma più in generale a giustificare la scelta di focalizzarsi sui suoi Essays e Last Essays quali in un certo senso modelli del saggio personale, sottocategoria specifica che sembra essere stata assai poco fortunata in Italia, dove è ormai invalsa la pratica di etichettare come saggi tutti i testi in prosa di argomento critico. Il saggio, in realtà, è un’entità ben diversa da quella che con maggior esattezza dovrebbe essere chiamata articolo, o studio, come si tenta di dimostrare nell'Introduzione. Per questa personale apologia del genere si è seguito un ordine che è stato dettato primariamente dal buon senso critico. Ad una definizione minimale del genere (a brief, nonfictional text in prose) sono seguite delle confutazioni mirate a problematizzarne ogni singola parte: esistono infatti saggi lunghi, saggi in versi, e saggi che con la nonfiction come la si intende comunemente, hanno ben poco in comune.
Prima di arrivare a Charles Lamb, a questo punto, si è vista necessaria una succinta carrellata dei maggiori prosatori inglesi dalle origini fino al romanticismo, che occupa il capitolo 3. Il termine prosatori è sicuramente troppo generico, in quanto «prosa» è etichetta sotto la quale si trovano a proprio agio sia il Tractatus logico-philosophicus di Wittgenstein sia Alice in Wonderland. «Saggisti» sarebbe stato in effetti d’altro canto riduttivo, visto e considerato quanto poco saggistiche stricto sensu siano alcune delle più splendide opere del Seicento, come l’Anatomy of Melancholy di Robert Burton, The Compleat Angler di Isaac Walton, la Religio Medici di Sir Thomas Browne e i Sermons di John Donne, di cui non si poteva non dar conto, sia per intrinseco valore e rilevanza storiografica, sia per il peso che ebbero nell’éducation littéraire di Charles Lamb. La motivazione di questo excursus, che sembrerebbe allontanare ancor più il focus della tesi dall’autore è in sostanza una ricognizione della vena meditativo-intimistica nella prosa argomentativa inglese, di cui Lamb fu magistrale interprete. In altre parole, quello che i primi due capitoli volevano dimostrare in maniera più astratta, ossia la natura letteraria del saggio, ibrido tra scrittura memoriale, argomentativa, confessionale, dialogica etc., il terzo capitolo comprova dal punto di vista storiografico. Il saggio romantico è infatti il frutto delicato e straordinario di mescidanze e accumulazioni, in una vera e propria bulimia di stilemi derivanti da quella tradizione multiforme e cospicua di cui si è tentato di dare conto.
I capitoli 4 e 5, quindi, giungono al soggetto della parte prettamente monografica dopo un percorso lungo due secoli, in cui il saggio da Bordeaux passa a Londra e ha modo di essere affinato e plasmato da alcune delle personalità più affascinanti del periodo. I Saggi di Elia diventeranno il campo di prova per una trasfigurazione del concetto di autore, compromesso di una delicata dinamica di distanziamento che chiama in causa il complesso tema del doppio letterario. Il merito assoluto di Lamb è quello di essere stato uno dei primi scrittori di nonfiction a creare un doppio di carta (semi)indipendente, senza scadere nella finzione narrativa troppo marcata, rimanendo semmai dietro lo schermo rassicurante di un’apparenza ciarliera e bonaria.
Con un anticipo di circa mezzo secolo, leggendo di Elia e delle sue a volte bislacche, a volte comiche, a volte malinconiche accozzaglie di reminiscenze, aneddoti, idee, convinzioni sulle colonne del London Magazine, sembra davvero di trovarsi davanti a uno dei tanti personaggi dostoevskiani, che con un atroce grido si lamentano della loro coscienza scissionale, piangono lo strappo che li ha privati di un’identità unica e indivisibile, condannandoli a vivere un’esistenza parziale e frammentaria. Con un ulteriore e più cospicuo anticipo, di un secolo questa volta, Elia potrebbe essere considerato, assieme a tutti gli altri noms de plume che Charles Lamb adottò e cui diede sostanza identitaria lungo la sua carriera, un «eteronimo», ossia un personaggio letterario a tutti gli effetti, generato da una autorialità forte che, seppure con esso (essi) mantenga un rapporto indubbiamente stretto e intimo, non può che essere considerata da essi aliena, o viceversa, che questi avatars possano ambire a pieno titolo ad una propria autarchia identitaria.
Sono stati questi motivi teorici ad orientare la scelta sugli scritti di Charles Lamb, questa sua modernità in sordina, che lo vede indubbiamente prodromo di una sensibilità che solo dopo un secolo di storia letteraria troverà la sua completa e piena realizzazione. E forse proprio questo gioco di specchi in materia di identità è ciò che spinse Lamb a non uniformarsi mai pienamente con lo Spirit of His Age, il romanticismo, quella bestia informe che sembra fagocitare al suo interno tutto, a seconda di come ad essa ci si approcci. L’approccio a Charles Lamb che si è portato avanti in questa sede è senza dubbio quindi da etichettarsi teorico, e alla sua complicata relazione con il romanticismo sono state dedicate un maggior numero di cartelle di quante, ad esempio, sono state profuse per rendere conto del ‘cartellino mnemonico’ con cui egli è più facilmente ricordato nelle storie letterarie, ossia, il suo ménage con la sorella. Il tuttora notevole studio di Jane Aaron sulle influenze di questo delicato rapporto sulla scrittura di Charles è stato chiamato in causa per sottolineare ulteriormente la natura di questo lavoro: più che sulle circostanze biografiche, che complicano il rapporto tra i genders, esso è focalizzato su variabili dipendenti dalla dinamica tra diversi genres, e in primis dalla mescolanza tra fiction e nonfiction di cui si parlava nel secondo capitolo. Per non cadere in rigide applicazioni ‘cliniche’ è secondo me più utile vedere queste dinamiche di gender come dei motivi che accompagnano la produzione letteraria di Lamb in maniera carsica, riaffiorando in maniera consistente, certo, ma che non devono essere presi come unico itinerario critico.
Trascendendo la prospettiva individuale del Charles Lamb autore degli Essays of Elia, l’argomentazione si sviluppa da un nucleo teorico che ambirebbe a fornire una succinta analisi descrittiva della forma saggio. Siffatte descrizioni, aprioristicamente condannate al fallimento, devono, per poter ambire a un qualche risultato teorico, essere sottomesse alle circostanze concrete, ed è per questo che in questa sede la riflessione sul genere è stata portata avanti a partire dalle opinioni dei saggisti stessi sulla forma da loro impegata, ossia dai commenti metaletterari sul genere intessuti tra le pagine delle loro opere. Non solo Prefazioni o Introduzioni, ma veri e propri essays on the essay come, tanto per estremizzare cronologicamente, «Of Essays and Books» di William Cornwallis (1609), o «She: Portrait of the Essay as a Warm Body» di Cynthia Ozick (2001). Questo ‘metodo’, affine alla pratica legale degli obiter dicta, non implica alcuna pretesa di completezza, ma presenta indubbiamente il merito di voler presentare un genere dall’interno, ossia di valutarne il funzionamento mettendo in opera la «cognisance» propria del practitioner.
Il nucleo teorico che occupa i capitoli 1 e 2 rappresenta la base dell’analisi che si sviluppa successivamente, la quale non è finalizzata solamente alla disamina dell’opera di Charles Lamb, ma più in generale a giustificare la scelta di focalizzarsi sui suoi Essays e Last Essays quali in un certo senso modelli del saggio personale, sottocategoria specifica che sembra essere stata assai poco fortunata in Italia, dove è ormai invalsa la pratica di etichettare come saggi tutti i testi in prosa di argomento critico. Il saggio, in realtà, è un’entità ben diversa da quella che con maggior esattezza dovrebbe essere chiamata articolo, o studio, come si tenta di dimostrare nell'Introduzione. Per questa personale apologia del genere si è seguito un ordine che è stato dettato primariamente dal buon senso critico. Ad una definizione minimale del genere (a brief, nonfictional text in prose) sono seguite delle confutazioni mirate a problematizzarne ogni singola parte: esistono infatti saggi lunghi, saggi in versi, e saggi che con la nonfiction come la si intende comunemente, hanno ben poco in comune.
Prima di arrivare a Charles Lamb, a questo punto, si è vista necessaria una succinta carrellata dei maggiori prosatori inglesi dalle origini fino al romanticismo, che occupa il capitolo 3. Il termine prosatori è sicuramente troppo generico, in quanto «prosa» è etichetta sotto la quale si trovano a proprio agio sia il Tractatus logico-philosophicus di Wittgenstein sia Alice in Wonderland. «Saggisti» sarebbe stato in effetti d’altro canto riduttivo, visto e considerato quanto poco saggistiche stricto sensu siano alcune delle più splendide opere del Seicento, come l’Anatomy of Melancholy di Robert Burton, The Compleat Angler di Isaac Walton, la Religio Medici di Sir Thomas Browne e i Sermons di John Donne, di cui non si poteva non dar conto, sia per intrinseco valore e rilevanza storiografica, sia per il peso che ebbero nell’éducation littéraire di Charles Lamb. La motivazione di questo excursus, che sembrerebbe allontanare ancor più il focus della tesi dall’autore è in sostanza una ricognizione della vena meditativo-intimistica nella prosa argomentativa inglese, di cui Lamb fu magistrale interprete. In altre parole, quello che i primi due capitoli volevano dimostrare in maniera più astratta, ossia la natura letteraria del saggio, ibrido tra scrittura memoriale, argomentativa, confessionale, dialogica etc., il terzo capitolo comprova dal punto di vista storiografico. Il saggio romantico è infatti il frutto delicato e straordinario di mescidanze e accumulazioni, in una vera e propria bulimia di stilemi derivanti da quella tradizione multiforme e cospicua di cui si è tentato di dare conto.
I capitoli 4 e 5, quindi, giungono al soggetto della parte prettamente monografica dopo un percorso lungo due secoli, in cui il saggio da Bordeaux passa a Londra e ha modo di essere affinato e plasmato da alcune delle personalità più affascinanti del periodo. I Saggi di Elia diventeranno il campo di prova per una trasfigurazione del concetto di autore, compromesso di una delicata dinamica di distanziamento che chiama in causa il complesso tema del doppio letterario. Il merito assoluto di Lamb è quello di essere stato uno dei primi scrittori di nonfiction a creare un doppio di carta (semi)indipendente, senza scadere nella finzione narrativa troppo marcata, rimanendo semmai dietro lo schermo rassicurante di un’apparenza ciarliera e bonaria.
Con un anticipo di circa mezzo secolo, leggendo di Elia e delle sue a volte bislacche, a volte comiche, a volte malinconiche accozzaglie di reminiscenze, aneddoti, idee, convinzioni sulle colonne del London Magazine, sembra davvero di trovarsi davanti a uno dei tanti personaggi dostoevskiani, che con un atroce grido si lamentano della loro coscienza scissionale, piangono lo strappo che li ha privati di un’identità unica e indivisibile, condannandoli a vivere un’esistenza parziale e frammentaria. Con un ulteriore e più cospicuo anticipo, di un secolo questa volta, Elia potrebbe essere considerato, assieme a tutti gli altri noms de plume che Charles Lamb adottò e cui diede sostanza identitaria lungo la sua carriera, un «eteronimo», ossia un personaggio letterario a tutti gli effetti, generato da una autorialità forte che, seppure con esso (essi) mantenga un rapporto indubbiamente stretto e intimo, non può che essere considerata da essi aliena, o viceversa, che questi avatars possano ambire a pieno titolo ad una propria autarchia identitaria.
Sono stati questi motivi teorici ad orientare la scelta sugli scritti di Charles Lamb, questa sua modernità in sordina, che lo vede indubbiamente prodromo di una sensibilità che solo dopo un secolo di storia letteraria troverà la sua completa e piena realizzazione. E forse proprio questo gioco di specchi in materia di identità è ciò che spinse Lamb a non uniformarsi mai pienamente con lo Spirit of His Age, il romanticismo, quella bestia informe che sembra fagocitare al suo interno tutto, a seconda di come ad essa ci si approcci. L’approccio a Charles Lamb che si è portato avanti in questa sede è senza dubbio quindi da etichettarsi teorico, e alla sua complicata relazione con il romanticismo sono state dedicate un maggior numero di cartelle di quante, ad esempio, sono state profuse per rendere conto del ‘cartellino mnemonico’ con cui egli è più facilmente ricordato nelle storie letterarie, ossia, il suo ménage con la sorella. Il tuttora notevole studio di Jane Aaron sulle influenze di questo delicato rapporto sulla scrittura di Charles è stato chiamato in causa per sottolineare ulteriormente la natura di questo lavoro: più che sulle circostanze biografiche, che complicano il rapporto tra i genders, esso è focalizzato su variabili dipendenti dalla dinamica tra diversi genres, e in primis dalla mescolanza tra fiction e nonfiction di cui si parlava nel secondo capitolo. Per non cadere in rigide applicazioni ‘cliniche’ è secondo me più utile vedere queste dinamiche di gender come dei motivi che accompagnano la produzione letteraria di Lamb in maniera carsica, riaffiorando in maniera consistente, certo, ma che non devono essere presi come unico itinerario critico.
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