Tesi etd-04172008-193510 |
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Tipo di tesi
Tesi di dottorato di ricerca
Autore
MALLOZZI, ILARIA
URN
etd-04172008-193510
Titolo
Memorie di un provinciale: sulla poesia di Thomas Hardy
Settore scientifico disciplinare
L-LIN/10
Corso di studi
LETTERATURE STRANIERE MODERNE (FRANCESE, INGLESE, SPAGNOLO, TEDESCO)
Relatori
Relatore Prof. Ciompi, Fausto
Parole chiave
- eugenetica vittoriana
- evoluzionismo
- memoria
- ruralismo
Data inizio appello
09/07/2008
Consultabilità
Completa
Riassunto
La mia tesi si propone di analizzare il tema della memoria nella poesia di Thomas Hardy.
Il primo capitolo si interessa di comprendere il tema della memoria principalmente in relazione alle scoperte scientifiche di Darwin, e, anche se in maniera minore, anche in relazione ad alcune opere del filosofo francese Henri Bergson.
Malgrado il rapporto strettissimo fra l’evoluzione e la memoria, Hardy scopre di non avere grande fiducia nell’evoluzione dell’uomo, e tende forse più a concordare con la differenza che fa T. H. Huxley fra “cosmic progress” e “ethical process” nella società (‘Prolegomena’ in Evolution and Ethics). La frattura, infatti, c’è, e forse grazie a questa intuizione Hardy indirizza le sue ricerche anche verso le prime opere di Bergson, intercettando nell’inconscio la risposta a questa incolmabile perdita e assenza di fiducia nella vita umana.
Il secondo capitolo è concentrato sul complesso concetto di eredità – concetto che in Hardy nasce dall’opposizione tra la campagna e la città – che ha rivestito l’opera di Hardy di una sentita e problematica osservazione sociale e morale.
Chiaramente la ragione per la quale Hardy difende il provincialismo riguarda anche le sue origini, la sua discendenza, tuttavia il suo reale interesse resta focalizzato sulle figure dei rustics. Il poeta concede a queste figure marginali, sia in società che in letteratura, uno spazio di umanità perché comprende precisamente il valore della loro tradizione.
Anche questo fine ha “un’origine scientifica”, e nasce dalle letture sulla genetica che l’autore fece verso la fine del secolo. Ma è sopratutto il tema della memoria che torna a essere la scelta privilegiata di Hardy nel suo personale e spesso “privato”, perché isolato e distinto, tentativo di affrontare la tradizione e il ricordo come il connubio vincente per fare fronte all’accusa di essere un autore provinciale.
Il mondo rurale, pastorale, ellenico hardiano ci fa pensare al verso dell’Aminta del Tasso, “s’ei piace ei lice” che dichiara l’unione fra la semplicità divina del mondo pastorale e la consapevolezza della precarietà della vita umana, nonché, nel caso di Hardy, della infinitesima presenza umana rispetto all’incommensurabile vita dell’universo.
Il terzo e ultimo capitolo si occupa di considerare il messaggio che la poesia di Hardy scolpisce e mantiene grazie alle forme e alle figure elencate nei suoi versi. L’insistenza hardiana sull’osservazione delle forme suggerisce uno scopo “etico”, un ammonimento della coscienza.
Come dice Peter Sacks “Hardy will in fact investigate the degree to which human identity, as its most durable, is no more than such a trace” (The English Elegy). Il bisogno di esplorare la memoria e la necessità di conservare il passato sono state due costanti nella produzione lirica di Hardy, infatti, questo impegno “etico” nei confronti di un passato collettivo mira soprattutto a restituire all’uomo la facoltà di concentrarsi sulla realtà presente.
La morfologia ha catturato gran parte della vita di Hardy, come architetto, come romanziere, o autore – Hardy preferiva essere chiamato “autore”, un sostantivo che si lega agli altri da lui prediletti come “restauratore”, “techinicist”, e poeta naturalmente.
Come poeta Hardy è capace di convogliare l’attenzione sul grottesco, non solo nell’immagine creata, ma anche nelle sue ambientazioni, nelle sue rime e nel suo linguaggio. Dà prova di questa abilità soprattutto creando delle cacofonie liriche, o delle immagini conturbanti al fine di mostrare come nella deformazione del “normalmente visto” si concepiscano le sue visions. Volgendosi soprattutto laddove Darwin ci ha spinti a prendere coscienza delle nostre origini e della nostra destinazione finale, Hardy vuole anche trasmetterci con un pizzico di ironia, quanto sia rilevante il non dimenticare la pre-esistente varietà di forme presenti in natura, e di conseguenza la loro inottenibile e irriproducibile grazia.
Questo è in parte il traguardo che l’indugiare del pensiero hardiano nelle forme, negli eventi, e nel linguaggio, ha segnato all’interno del panorama poetico inglese. Questa moderna ruminatio rappresenta il momento più importante delle visioni hardiane, le quali non muoiono sotto l’effetto deformante del tempo, bensì, rinascono sotto diverse e imprevedibili spoglie grazie alla “ricchezza” della coscienza e della fantasia umana.
Il primo capitolo si interessa di comprendere il tema della memoria principalmente in relazione alle scoperte scientifiche di Darwin, e, anche se in maniera minore, anche in relazione ad alcune opere del filosofo francese Henri Bergson.
Malgrado il rapporto strettissimo fra l’evoluzione e la memoria, Hardy scopre di non avere grande fiducia nell’evoluzione dell’uomo, e tende forse più a concordare con la differenza che fa T. H. Huxley fra “cosmic progress” e “ethical process” nella società (‘Prolegomena’ in Evolution and Ethics). La frattura, infatti, c’è, e forse grazie a questa intuizione Hardy indirizza le sue ricerche anche verso le prime opere di Bergson, intercettando nell’inconscio la risposta a questa incolmabile perdita e assenza di fiducia nella vita umana.
Il secondo capitolo è concentrato sul complesso concetto di eredità – concetto che in Hardy nasce dall’opposizione tra la campagna e la città – che ha rivestito l’opera di Hardy di una sentita e problematica osservazione sociale e morale.
Chiaramente la ragione per la quale Hardy difende il provincialismo riguarda anche le sue origini, la sua discendenza, tuttavia il suo reale interesse resta focalizzato sulle figure dei rustics. Il poeta concede a queste figure marginali, sia in società che in letteratura, uno spazio di umanità perché comprende precisamente il valore della loro tradizione.
Anche questo fine ha “un’origine scientifica”, e nasce dalle letture sulla genetica che l’autore fece verso la fine del secolo. Ma è sopratutto il tema della memoria che torna a essere la scelta privilegiata di Hardy nel suo personale e spesso “privato”, perché isolato e distinto, tentativo di affrontare la tradizione e il ricordo come il connubio vincente per fare fronte all’accusa di essere un autore provinciale.
Il mondo rurale, pastorale, ellenico hardiano ci fa pensare al verso dell’Aminta del Tasso, “s’ei piace ei lice” che dichiara l’unione fra la semplicità divina del mondo pastorale e la consapevolezza della precarietà della vita umana, nonché, nel caso di Hardy, della infinitesima presenza umana rispetto all’incommensurabile vita dell’universo.
Il terzo e ultimo capitolo si occupa di considerare il messaggio che la poesia di Hardy scolpisce e mantiene grazie alle forme e alle figure elencate nei suoi versi. L’insistenza hardiana sull’osservazione delle forme suggerisce uno scopo “etico”, un ammonimento della coscienza.
Come dice Peter Sacks “Hardy will in fact investigate the degree to which human identity, as its most durable, is no more than such a trace” (The English Elegy). Il bisogno di esplorare la memoria e la necessità di conservare il passato sono state due costanti nella produzione lirica di Hardy, infatti, questo impegno “etico” nei confronti di un passato collettivo mira soprattutto a restituire all’uomo la facoltà di concentrarsi sulla realtà presente.
La morfologia ha catturato gran parte della vita di Hardy, come architetto, come romanziere, o autore – Hardy preferiva essere chiamato “autore”, un sostantivo che si lega agli altri da lui prediletti come “restauratore”, “techinicist”, e poeta naturalmente.
Come poeta Hardy è capace di convogliare l’attenzione sul grottesco, non solo nell’immagine creata, ma anche nelle sue ambientazioni, nelle sue rime e nel suo linguaggio. Dà prova di questa abilità soprattutto creando delle cacofonie liriche, o delle immagini conturbanti al fine di mostrare come nella deformazione del “normalmente visto” si concepiscano le sue visions. Volgendosi soprattutto laddove Darwin ci ha spinti a prendere coscienza delle nostre origini e della nostra destinazione finale, Hardy vuole anche trasmetterci con un pizzico di ironia, quanto sia rilevante il non dimenticare la pre-esistente varietà di forme presenti in natura, e di conseguenza la loro inottenibile e irriproducibile grazia.
Questo è in parte il traguardo che l’indugiare del pensiero hardiano nelle forme, negli eventi, e nel linguaggio, ha segnato all’interno del panorama poetico inglese. Questa moderna ruminatio rappresenta il momento più importante delle visioni hardiane, le quali non muoiono sotto l’effetto deformante del tempo, bensì, rinascono sotto diverse e imprevedibili spoglie grazie alla “ricchezza” della coscienza e della fantasia umana.
File
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FRONTESP...tutor.pdf | 13.40 Kb |
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Joys_of_Memory.pdf | 11.95 Kb |
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