Tesi etd-12282021-162244 |
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Tipo di tesi
Tesi di specializzazione (4 anni)
Autore
ORSOLINI, FRANCESCA
URN
etd-12282021-162244
Titolo
Tireopatie autoimmuni e andamento della gravidanza: risultati di uno studio prospettico condotto in un ampio gruppo di donne
Dipartimento
MEDICINA CLINICA E SPERIMENTALE
Corso di studi
ENDOCRINOLOGIA E MALATTIE DEL METABOLISMO
Relatori
relatore Prof. Tonacchera, Massimo
correlatore Dott. Fiore, Emilio
correlatore Dott. Fiore, Emilio
Parole chiave
- aborto
- autoimmunità tiroidea
- complicanze materne-fetali-neonatali
- gravidanza
- morbo di Basedow
- parto pretermine
- tiroidite cronica autoimmune
Data inizio appello
18/01/2022
Consultabilità
Non consultabile
Data di rilascio
18/01/2092
Riassunto
Le tireopatie autoimmuni (tiroidite cronica autoimmune e morbo di Basedow) sono patologie di frequente riscontro nelle donne in età fertile e in gravidanza. Entrambe le patologie tiroidee possono determinare una alterazione della funzione tiroidea (ipo- o ipertiroidismo) che, soprattutto se clinicamente evidente, è notoriamente associata a eventi avversi materno-fetali. Alcuni studi sembrano suggerire che anche la sola presenza di anticorpi anti tiroide (anticorpi anti tireoglobulina, AbTg e anticorpi anti tireoperossidasi, AbTPO), in assenza di disfunzione tiroidea, rappresenti un fattore di rischio indipendente per complicanze della gravidanza, quali aborto, parto pretermine, mortalità perinatale, restrizione di crescita intrauterina (IUGR), basso peso neonatale, distress respiratorio perinatale, malformazioni congenite, diabete gestazionale, distacco prematuro di placenta, placenta previa, gestosi. I risultati dei singoli studi su questi outcomes perinatali sono tuttavia controversi.
In questo studio prospettico abbiamo esaminato l’andamento della gravidanza in un gruppo di 975 donne con l’obiettivo di individuare eventuali differenze tra le donne affette da tireopatie autoimmuni (TA, N = 572) e le donne senza tireopatia (controlli sani, N = 403). Il confronto non ha evidenziato differenze significative tra i due gruppi per quanto riguarda l’aborto, la poliabortività (presenza di 2 o più aborti) e la storia di aborto nelle precedenti gravidanze, sebbene la frequenza di aborto nelle donne del gruppo TA sia risultata maggiore rispetto a quella del gruppo di controllo (4.8% vs 2.9% rispettivamente). Non vi era differenza per quanto riguarda la percentuale di parti pretermine, la modalità di espletamento del parto (vaginale/cesareo), la presenza di basso peso alla nascita e altre complicanze della gravidanza (outcome composito comprendente diabete gestazionale, distacco prematuro di placenta, gestosi, emorragia ad inizio gravidanza, placenta previa, minaccia d’aborto, polidramnios, oligoidramnios, altre complicanze). Una maggior frequenza di complicanze perinatali (outcome composito comprendente aritmia neonatale, ipoglicemia neonatale transitoria, anomalie del cordone ombelicale, distress respiratorio perinatale, sepsi e malformazioni congenite) si è osservata nel gruppo TA rispetto al gruppo di controllo (109/572, 19.1% vs 58/403, 14.4% rispettivamente) al limite della significatività statistica (P = 0.055). Solo le malformazioni congenite risultavano significativamente associate (91/572, 15.9% nel gruppo TA e 43/403, 10.7% nel gruppo di controllo, P = 0.019); tuttavia non vi era una associazione significativa (P = 0.327) con un particolare tipo di malformazione. L’elevata percentuale di malformazioni congenite riportate nel nostro studio è da correlare alla prevalenza di malformazioni congenite minori e in particolare a lesioni di cute e annessi (emangiomi, nevi, macchie mongoliche, cisti) e dell’apparato osteomuscolare (clinodattilia, piede torto). Inoltre nel nostro studio non sono stati indagati fattori ambientali chiaramente associati allo sviluppo di malformazioni congenite come l’esposizione materna al fumo di sigaretta, all’alcool e ad eventuali farmaci teratogeni.
Anche l’elevato titolo anticorpale (AbTg e/o AbTPO > 100 UI/ml) non è risultato associato a un maggior rischio di complicanze materno-fetali. Nel nostro studio la funzione tiroidea delle pazienti è stata mantenuta entro i range di riferimento raccomandati. Non si è osservata una differenza significativa tra i valori di TSH e i singoli outcomes materno-fetali avversi, sia nel complesso, sia nel gruppo di donne affette da tireopatia autoimmune, sia nel gruppo di controllo. Tuttavia nel gruppo di donne con TSH > 4 mUI/L nel primo trimestre di gravidanza la frequenza di aborto è risultata 3 volte maggiore rispetto alle donne con TSH < 4 mUI/L (4/42, 12.9% vs 21/476, 4.8% rispettivamente, P = 0.050, Test di Fisher 0.073) e, nel gruppo di donne con TSH > 4 mUI/L nel terzo trimestre di gravidanza la frequenza di parto pretermine è risultata più di 3 volte superiore rispetto al gruppo di donne con TSH < 4 mUI/L (3/12, 27.3% vs 50/665, 8.4%, P = 0.029, Test di Fisher 0.064).
Infine non vi era associazione significativa tra stato nutrizionale iodico materno (ioduria al primo trimestre) e i vari outcomes materno-fetali avversi anche se la maggior parte delle pazienti ha utilizzato durante la gravidanza sale da cucina fortificato con iodio e/o integratori contenenti iodio, ottenendo nella maggior parte dei casi una condizione di iodosufficienza o di iodocarenza moderata.
In conclusione, i nostri risultati confermano quelli di gran parte degli studi in letteratura che non hanno riscontrato un peggiore andamento della gravidanza nelle donne con tireopatie autoimmuni se la funzione tiroidea è adeguatamente controllata. Livelli più elevati di TSH nel primo e nel terzo trimestre di gravidanza sembrano correlare con un maggior rischio di aborto e di parto pretermine rispettivamente, mentre non vi è alcuna correlazione con il titolo anticorpale.
In questo studio prospettico abbiamo esaminato l’andamento della gravidanza in un gruppo di 975 donne con l’obiettivo di individuare eventuali differenze tra le donne affette da tireopatie autoimmuni (TA, N = 572) e le donne senza tireopatia (controlli sani, N = 403). Il confronto non ha evidenziato differenze significative tra i due gruppi per quanto riguarda l’aborto, la poliabortività (presenza di 2 o più aborti) e la storia di aborto nelle precedenti gravidanze, sebbene la frequenza di aborto nelle donne del gruppo TA sia risultata maggiore rispetto a quella del gruppo di controllo (4.8% vs 2.9% rispettivamente). Non vi era differenza per quanto riguarda la percentuale di parti pretermine, la modalità di espletamento del parto (vaginale/cesareo), la presenza di basso peso alla nascita e altre complicanze della gravidanza (outcome composito comprendente diabete gestazionale, distacco prematuro di placenta, gestosi, emorragia ad inizio gravidanza, placenta previa, minaccia d’aborto, polidramnios, oligoidramnios, altre complicanze). Una maggior frequenza di complicanze perinatali (outcome composito comprendente aritmia neonatale, ipoglicemia neonatale transitoria, anomalie del cordone ombelicale, distress respiratorio perinatale, sepsi e malformazioni congenite) si è osservata nel gruppo TA rispetto al gruppo di controllo (109/572, 19.1% vs 58/403, 14.4% rispettivamente) al limite della significatività statistica (P = 0.055). Solo le malformazioni congenite risultavano significativamente associate (91/572, 15.9% nel gruppo TA e 43/403, 10.7% nel gruppo di controllo, P = 0.019); tuttavia non vi era una associazione significativa (P = 0.327) con un particolare tipo di malformazione. L’elevata percentuale di malformazioni congenite riportate nel nostro studio è da correlare alla prevalenza di malformazioni congenite minori e in particolare a lesioni di cute e annessi (emangiomi, nevi, macchie mongoliche, cisti) e dell’apparato osteomuscolare (clinodattilia, piede torto). Inoltre nel nostro studio non sono stati indagati fattori ambientali chiaramente associati allo sviluppo di malformazioni congenite come l’esposizione materna al fumo di sigaretta, all’alcool e ad eventuali farmaci teratogeni.
Anche l’elevato titolo anticorpale (AbTg e/o AbTPO > 100 UI/ml) non è risultato associato a un maggior rischio di complicanze materno-fetali. Nel nostro studio la funzione tiroidea delle pazienti è stata mantenuta entro i range di riferimento raccomandati. Non si è osservata una differenza significativa tra i valori di TSH e i singoli outcomes materno-fetali avversi, sia nel complesso, sia nel gruppo di donne affette da tireopatia autoimmune, sia nel gruppo di controllo. Tuttavia nel gruppo di donne con TSH > 4 mUI/L nel primo trimestre di gravidanza la frequenza di aborto è risultata 3 volte maggiore rispetto alle donne con TSH < 4 mUI/L (4/42, 12.9% vs 21/476, 4.8% rispettivamente, P = 0.050, Test di Fisher 0.073) e, nel gruppo di donne con TSH > 4 mUI/L nel terzo trimestre di gravidanza la frequenza di parto pretermine è risultata più di 3 volte superiore rispetto al gruppo di donne con TSH < 4 mUI/L (3/12, 27.3% vs 50/665, 8.4%, P = 0.029, Test di Fisher 0.064).
Infine non vi era associazione significativa tra stato nutrizionale iodico materno (ioduria al primo trimestre) e i vari outcomes materno-fetali avversi anche se la maggior parte delle pazienti ha utilizzato durante la gravidanza sale da cucina fortificato con iodio e/o integratori contenenti iodio, ottenendo nella maggior parte dei casi una condizione di iodosufficienza o di iodocarenza moderata.
In conclusione, i nostri risultati confermano quelli di gran parte degli studi in letteratura che non hanno riscontrato un peggiore andamento della gravidanza nelle donne con tireopatie autoimmuni se la funzione tiroidea è adeguatamente controllata. Livelli più elevati di TSH nel primo e nel terzo trimestre di gravidanza sembrano correlare con un maggior rischio di aborto e di parto pretermine rispettivamente, mentre non vi è alcuna correlazione con il titolo anticorpale.
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