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Archivio digitale delle tesi discusse presso l’Università di Pisa

Tesi etd-12282020-180902


Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale
Autore
SUGAMOSTO, ALESSANDRO
URN
etd-12282020-180902
Titolo
Espansione del jihadismo in Africa e il caso del Sahel
Dipartimento
SCIENZE POLITICHE
Corso di studi
SCIENZE MARITTIME E NAVALI
Relatori
relatore T.V. (AN) Altiero, Oscar
Parole chiave
  • Africa
  • jihad
  • Sahel
  • terrorism
  • terrorismo
Data inizio appello
14/01/2021
Consultabilità
Non consultabile
Data di rilascio
14/01/2091
Riassunto
A partire dai primi anni ’60, grazie agli interventi dell’OUA (Organizzazione dell’unità Africana), tesi a promuovere l’unità, la solidarietà e la cooperazione di tutti gli stati africani aderenti, le tensioni ed i focolai di violenza sono stati contenuti ed attenuati. Al contrario i conflitti intra statali, notevolmente più diffusi, hanno condotto a guerre civili coinvolgendo gruppi secessionisti e signori della guerra, generando al contempo una profonda instabilità in diverse nazioni africane. Le ragioni di queste tensioni sono spesso dovute a differenze etnico-sociali ed economiche delle specifiche aree, basti pensare al genocidio in Ruanda nel 1994, in cui si stima che tra le 500.000 e le 800.000 persone furono massacrate.
Storicamente, il continente africano è sempre stato caratterizzato da un profondo clima di tensioni e contrasti, infatti, durate gli anni della guerra fredda, si assiste ad una trasformazione dell’Africa sub-sahariana in teatro di guerre per procura che contrappongono il blocco statunitense a quello sovietico. Il conflitto del 1977 tra l’Etiopia del dittatore Mengistu Haile Mariam e la Somalia del generale Mohammed Siad Barre ne è un significativo esempio. La Somalia rivendicava l’annessione della regione dell’Ogaden, a prevalenza di etnia somala, tuttavia nel 1978, nonostante gli iniziali successi delle truppe somale supportate dagli Stati Uniti, l’Etiopia ottenne la vittoria grazie ai rinforzi provenienti da Cuba ed agli aiuti militari dell’Unione Sovietica.
Con la fine della guerra fredda e successivamente al ritiro dal continente della presenza sia degli Stati Uniti sia dell’Unione Sovietica, si assiste ad una progressiva diffusione dei regimi totalitari. In Congo (ex Zaire), la guerra civile che infuriava nel paese per il controllo del potere, portò alla caduta di Mobutu Sese Seko ed all’auto proclamazione del rivoluzionario Laurent-Dèsirè Kabila generando le condizioni per l’esplosione di un grave conflitto su larga scala, definito: “la grande guerra africana” (1998-2003).
Gli anni ’90 segnano l’inizio di un periodo di profonda trasformazione del continente; la presenza della NATO diventa fondamentale sia per la gestione delle emergenze umanitarie sia per contenere le molteplici insurrezioni armate. Contemporaneamente, organizzazioni terroristiche mediorientali, cogliendo i moti di ribellione già presenti sul territorio africano, danno vita ad una nuova primavera del terrore di matrice jihadista, militarmente organizzata ed adeguatamente finanziata. Uno degli attacchi che ne rappresenta emblematicamente un esempio, è il duplice attentato rivendicato da al-Qaeda, alle ambasciate statunitensi in Kenya e Tanzania, dove il bilancio complessivo delle vittime fu di oltre 200 morti e circa 4.000 feriti.
Nel trattare l’espansione del jihadismo nel continente africano, è necessario approfondirne anche i processi evolutivi, in particolar modo quelli inerenti al reclutamento di nuovi affiliati; infatti, con la nascita dello Stato Islamico, si assiste ad un fenomeno inedito nella chiamata al jihad che introduce una forma di comunicazione mediatica associata alla diffusione globale di internet. Il sedicente Stato Islamico, sperimenta un nuovo modello comunicativo sia per diffondere le proprie azioni terroristiche sia per reclutare nuovi “combattenti”. Grazie alla pervasività delle reti sociali, vengono pubblicati sul web video elaborati con tale maestria da far passare atti criminali come eroici atti di martirio, ispirati da un presunto ideale di fede. Sia per la capillarità nella distribuzione del messaggio sia per la qualità della regia video, un gran numero di individui in tutto il mondo, per lo più giovani, raccoglie l’appello al jihad e si unisce alle fila del Califfato, intensificando il fenomeno, già preesistente, dei foreign fighters e dei returnees.
Il caso del Sahel, la fascia di territorio semi-desertica compresa tra il deserto del Sahara a nord e la savana del Sudan a sud, risulta emblematico per analizzare il fenomeno espansivo del jihadismo in Africa. Dal 1972, a seguito del costante processo di desertificazione, è in corso una profonda crisi umanitaria che ha segnato la regione, generando gravi instabilità. In questo contesto, dal 2001 si assiste all’acuirsi delle insurrezioni islamiche responsabili di numerosi atti di violenza. Nel marzo del 2012, in Mali, un colpo di stato perpetrato dal MNLA (Movimento Nazionale di Liberazione dell’Azawad), sostenuto dai gruppi estremisti di Ansar Dine, MUJAO (Movimento per l'Unicità e il Jihad nell'Africa Occidentale) e AQIM, sprofonda lo stato nel caos. In seguito alla fuga dell’allora presidente Amadou Toumani Touré, seguì la dichiarazione di indipendenza della regione dell’Azawad; tuttavia con lo scopo di introdurre un modello governativo basato sulla rigorosa osservanza della Shari’a, il MNLA viene estromesso dal gruppo di potere. A capo del governo del Mali si insedia Dioncounda Traoré che impreparato ad affrontare i jihaidisti dell’Azawad, chiede sostegno alla Francia. Il governo francese, che continua, di fatto, a mantenere la sua presenza nei territory delle proprie ex colonie, interviene in soccorso del fragile governo maliano. Prende il via, nel 2013, l’operazione Serval, a cui successivamente aderiscono anche altre nazioni, tra cui l’Italia. Nel 2014 si avvicenda l’operazione Barkhane per continuare a contrastare i separatisti islamici, ma nonostante i successi militari ed i tentativi di trattativa, ad oggi le tensioni in Mali continuano ad esistere.
Dal 2012 la presenza dell’ONU in Sahel si è intensificata. “La Strategia Integrata delle Nazioni Unite per il Sahel”, divulgata dal Consiglio di Sicurezza nel 2013, I cui obiettivi principali sono:
o consolidare un sistema di governance solido ed efficiente;
o creare le condizioni di capacity building;
o continuare a distribuire aiuti umanitari.
Romano Prodi, in qualità di Inviato Speciale per il Sahel del Segretario Generale delle Nazioni Unite, propose di costituire il Fondo Globale per il Sahel per assistere economicamente i cinque stati che più tardi, nel febbraio del 2014, formeranno il G5-Sahel: Mali, Burkina Faso, Mauritania, Niger e Ciad, con l’obiettivo di favorire lo sviluppo socio-economico e la cooperazione interstatale, contribuendo a realizzare un clima di maggiore stabilità finalizzato al contrasto delle organizzazioni terroristiche.
Nonostante gli impegni profusi a livello regionale ed internazionale, per favorire la stabilizzazione del continente africano rimangono ad oggi profonde problematiche socio-economiche, che portano milioni di persone ad affrontare lunghi e pericolosi viaggi per fuggire dalle condizioni di persecuzione e violenza cui sono soggetti nei propri paesi. Tale fenomeno è spesso sfruttato con finalità criminali per generare profitti ad organizzazioni presenti capillarmente sia nei paesi di origine sia nei paesi di destinazione. Sovente le stesse organizzazioni terroristiche attivano legami con i network criminali al fine di trarne finanziamenti per le attività terroristiche.
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