Tesi etd-12212008-080250 |
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Tipo di tesi
Tesi di dottorato di ricerca
Autore
LARNE', MARIA PIA
URN
etd-12212008-080250
Titolo
LA PROTEZIONE DEI DIRITTI UMANI:
DISPOSIZIONI COSTITUZIONALI,
TRATTATI INTERNAZIONALI
E GIUDIZI DI COSTITUZIONALITÀ.
UNA PROSPETTIVA COMPARATA FRA ORDINAMENTI EUROPEI E LATINOAMERICANI
Settore scientifico disciplinare
IUS/08
Corso di studi
GIUSTIZIA COSTITUZIONALE E DIRITTI FONDAMENTALI
Relatori
Relatore Prof. Cartabia, Marta
Relatore Prof. Romboli, Roberto
Relatore Gómez Fernández, Itzíar
Relatore Prof. Romboli, Roberto
Relatore Gómez Fernández, Itzíar
Parole chiave
- diritti umani
- europa
- giudizi costituzionalità
- latinoamerica
- trattati internazionali
Data inizio appello
12/12/2008
Consultabilità
Non consultabile
Data di rilascio
12/12/2048
Riassunto
Una qualsiasi riflessione sui diritti umani, per quanto attenta e ponderata, è sempre minacciata dal rischio di essere considerata parziale, limitata e ingiustificatamente circoscritta ad una sola prospettiva, incapace di dar conto della complessità della materia. E ciò in quanto ad essere complesso è il concetto di diritti umani, nelle varie accezioni in cui viene utilizzato e alle quali si presta, ma ancor più lo sono gli stessi contenuti dei diritti umani, e di conseguenza anche i loro mezzi di tutela e quelli di protezione. Parimenti indefinite e vaghe, infatti, sono le formulazioni, le disposizioni internazionali e le clausole di rinvio degli ordinamenti interni; allo stesso modo, non può che essere magmatico il materiale giurisprudenziale prodotto e le soluzioni apprestate alle violazioni subite.
Dinnanzi a questa prospettiva, si è avvertita la necessità di impostare la ricerca a partire da “sicure” premesse terminologiche, senza dimenticare però che le medesime altro non sono che scelte convenzionali – criticabilissime – su opzioni formali e categorie strutturali che, nell’opinione di chi scrive, possono solo servire a meglio spiegare ed esprimere l’idea di fondo e la tesi che si tenta di sostenere (palesando il contesto in cui si è originata). Da qui, la scelta di utilizzare un unico concetto (diritti umani o fondamentali dell’uomo) fra molte altre accezioni, tutte consustanziali e similari, di fatto utilizzate in maniera equivalente dagli studiosi, così pure il prevalente riferimento ai “trattati”, sebbene numerosi altre sono le denominazioni e le accezioni dei testi sovranazionali e internazionali sui diritti umani.
Si è deciso, altresì, di far decorrere l’indagine dal punto di origine (della nozione) dei diritti umani e da una ricostruzione storica dei medesimi nell’ambito internazionale, laddove per la prima volta vedono proclamazione, per poi condurla fino alla tutela interna ai singoli Stati, attraverso le disposizioni costituzionali che li riconoscono direttamente, o semplicemente si “aprono” ad essi, o vi rinviano, o li recepiscono nell’ordinamento interno.
Ma spazio e tempo nella tutela (ed ancor più nella protezione) dei diritti umani si dimostrano essere co-essenzialmente relativi e perciò dipendenti dalla lesione consumata in quel momento storico determinato e in quel caso concreto avverso la quale il sistema reagisce.
Per un verso, la violazione perpetrata nei confronti del diritto riflette il suo disvalore giuridico su più piani e a vari livelli contemporaneamente; per altro, la tutela del diritto umano violato non è soltanto una faccenda interna al singolo ordinamento locale, bensì – per quella che potrebbe apparire forza di cose o quasi, addirittura, una sconosciuta alchimia, ma che, in realtà, è null’altro che un fenomeno giuridico – coinvolge un altrove lontano ed estraneo.
L’esistenza di una pluralità di formule utilizzate da quegli strumenti giuridici (internazionali, sopranazionali, costituzionali), invocati al momento della richiesta di protezione, dovrebbe dare l’illusione di una maggiore forza del diritto umano, per la sussistenza di un’ampia gamma di mezzi di garanzia, e la sensazione di una protezione soddisfacente in ogni dove ri-suoni la eco dell’invocazione. Ma, di fronte al disincanto dell’inefficacia degli strumenti e dell’illusorietà degli obiettivi, la domanda, impellente ed ineludibile, dalla quale cominciamo a svolgere questo lavoro di tesi è la seguente: quale, il valore (giuridico) dei (trattati sui) diritti umani?
La ricerca di una risposta è stata condotta sulla base della consapevolezza che non vi è un solo ordinamento giuridico col quale confrontarsi nella tutela dei diritti umani, perché tanti e molteplici sono gli ordinamenti assorbiti nello Stato moderno. Peraltro, altra constatazione preliminare è che la collocazione delle fonti internazionali pattizie nei sistemi interni non sempre risponde all’effettivo peso delle medesime negli sviluppi processuali dell’applicazione delle disposizioni, allorquando smettono di essere tali per farsi norme.
Di fronte al pericolo di disorientamento per la vastità del tema, si è scelto di restare su un piano meramente empirico, con la volontà di prescindere da qualsiasi pre-orientazione ermeneutica di teoria del diritto o di filosofia politica. Pur senza negare l’utilità di questi strumenti, ed anzi, ad essi facendo un massiccio ricorso in via liminare, proprio per fornire all’uso dei termini e all’idea per intero una base sufficientemente solida e un fondamento quantomeno strutturale e formale, si preferisce non manifestare la scelta dell’opzione assiologica, sebbene non vi sia dubbio che, sia pure intimamente, una scelta vi sia.
Inoltre, per tale medesima ragione, si è impostata un’analisi – quanto più completa possibile, ma senza pretese di essere esaustiva –dei trattati sui diritti umani e della collocazione nel sistema delle fonti degli ordinamenti presi in esame, delle tecniche (di apertura, rinvio, recepimento, integrazione) utilizzate a tale scopo, ma soprattutto dell’effettivo valore ad essi attribuito nelle pronunce giurisdizionali degli organi di giustizia che sono preposti, dal medesimo ordinamento, a giudicare sulle violazioni dei diritti umani e, con esso, dell’effettività del risultato perseguito.
Sennonché, lo studio della posizione dei diritti umani nel sistema delle fonti e delle giurisprudenze interne, nella speciale prospettiva delle giurisdizioni costituzionali, per l’ampiezza delle casistiche possibili – pure accennata nella seconda parte – e per l’irrealistica incapacità di affrontarla compiutamente in questo lavoro – accettata fin da queste pagine introduttive – viene limitata (nella terza parte) ad alcuni degli ordinamenti europei ed alcuni di quelli latinoamericani.
Il centro del lavoro è, quindi, costituito da uno studio di giustizia costituzionale, nella sua funzione duplice di garante del testo fondamentale e dei diritti fondamentali in esso riconosciuti, andando alla ricerca, di volta in volta, per ciascuno dei modelli analizzati, inerzie, insufficienze ed ineffettività.
Seguendo le categorizzazioni classiche dei controlli di costituzionalità (accentrato/diffuso, preventivo/successivo) i modelli di giustizia costituzionale che si è scelto di analizzare sono notevolmente disomogenei: da una parte, gli ordinamenti francese e italiano prevedono l’attribuzione delle competenze di giustizia costituzionale ad un organo ad hoc, mentre in quelli spagnolo e cileno, la tutela dei diritti è funzione esercitata da più giurisdizioni e in quello brasiliano esiste una giurisdizione costituzionale diffusa; per altro verso, se nell’ordinamento francese, cileno e spagnolo i trattati sui diritti umani sono oggetto del controllo previo di costituzionalità, ciò non avviene in quello brasiliano e italiano, laddove i trattati possono essere sottoposti soltanto a un controllo successivo o “servire” in via interpretativa alla funzione del controllo di costituzionalità delle leggi e della tutela dei diritti.
L’analisi comparata su questi ordinamenti è stata condotta cercando di rifuggire il più possibile da giudizi apodittici – che finirebbero per essere considerati, a ragione, presuntosi perché originati da un’indagine giocoforza parziale – ma semplicemente con lo scopo di porre in rilievo, ancora una volta sulla base di riscontri empirici e quanto più possibile avalutativi, i solchi alternativi battuti per la tutela dei diritti fondamentali dell’uomo, laddove il mezzo originariamente ad esso deputato (la Costituzione) non basta a raggiungere lo scopo.
E qui che si impone il secondo degli interrogativi che fomenta (e tormenta) la riflessione oggetto di questa tesi: quale giudice, per la protezione dei diritti umani?
Dall’esame del lavoro svolto dai tribunali di giustizia costituzionale “sui” ed “attraverso i” testi delle disposizioni di diritto internazionale pattizio in materia di diritti umani si conclude con un’assenza di riserva di giurisdizione in capo ai soli giudici nazionali nella tutela dei diritti. Da ciò ne è derivata la prova dell’impossibilità di costruire dei compartimenti stagni sul piano delle garanzie dei diritti umani e fondamentali e, pertanto, si è cercato un altro sentiero per trovare una risposta propositiva a questa seconda domanda.
E come spesso accade, quando la prospettiva interna ci pare limitata e insufficiente, l’impulso è quello di rivolgere lo sguardo alla giustizia che orbita sulla dimensione immediatamente superiore (sovranazionale e poi internazionale), così si è proceduto ad analizzare anche i sistemi regionali di protezione con lo scopo di ricercare una qualche traccia di chiusura del cerchio ed una perfezione (definitivamente mancante negli ordinamenti nazionali) per la tutela europea ed interamericana dei diritti umani.
Ma questo obiettivo è stato perseguito, ancora una volta, non attraverso aprioristiche visioni del mondo o abbracciando quella costruzione dottrinaria che appare più idonea al perseguimento del fine, bensì per mezzo dello studio delle strategie concretamente adottate dagli organismi internazionali di giurisdizione per la protezione dei diritti umani, in quell’intreccio di relazioni collaborative che si alimentano reciprocamente ed incessantemente con le giurisdizioni nazionali. Gli strumenti di tutela e proclamazione dei diritti umani, sommariamente analizzati nella prima parte, vengono dunque contestualizzati in quest’ultima, all’interno dei sistemi di protezione che essi stessi hanno istituito e alla luce della loro applicazione diretta da parte delle giurisdizioni da essi preposte.
Nell’ora delle conclusioni, che animano gli ultimi due capitoli del lavoro, si è tentato di mettere insieme i pezzi di un discorso che va per molteplici sentieri, a volte tortuoso ed oscuro, altre realistico e banale, per cercare di giustificare le risposte offerte agli interrogativi posti e, ancor più, per fornire una spiegazione a quella scelta – non certo inconsapevole – di teoria generale che volutamente si tace all’inizio del lavoro e che, inevitabilmente, trasuda dalle sue ultime righe.
I risultati di queste valutazioni servono a chiudere la riflessione, protesa a ricercare – non tanto e non solo nelle scelte assiologiche – una via per l’universalità dei diritti umani.
Tale lavoro di ricerca giuridica, fin dall’inizio è apparso – persino alla sua autrice – mastodontico e smisurato, eccessivamente magmatico e multiforme, per alcuni versi “presuntuoso”, in ragione della vastità di temi e delle problematiche che ci si prefigge di toccare (a volte soltanto sfiorandoli, altre affrontandoli fino in fondo) nel corso del suo incedere.
Allo scopo di superare i difetti originari del tema, si è scelto di procedere per brevi pause, di segnare, cioè, dei punti di riferimento all’esito di ciascuno dei tragitti che si intendono seguire, in modo da rendere chiaro al lettore quale sia il dato dal quale si riparte per avanzare verso la riflessione successiva e sino all’approdo finale (ma non definitivo).
Le vie e le aree su cui si muove la ricerca sono, quindi, più di una: dalle premesse terminologiche di filosofia del diritto alla storia delle relazioni internazionali sui diritti umani, dai fondamenti di diritto internazionale pubblico alla macro-materia del sistema delle fonti, dal diritto costituzionale alla giustizia costituzionale e, quindi, dalle disposizioni costituzionali all’applicazione giurisprudenziale delle medesime, dai controlli di costituzionalità alle funzioni di garanzia dei diritti umani esercitate anche dal giudice comune, dal sistema europeo a quello interamericano di tutela, e dalla sola tutela alla vera e propria protezione dei diritti umani.
Il metodo che applica alla presente ricerca, nell’intento di procedere attraverso questi molteplici settori, risponde perlopiù al paradigma induttivo perché ci si prefigge di seguire un ragionamento (logico e giuridico) che muove dal fatto (e dalle norme delle proclamazioni convenzionali sui diritti umani, delle disposizioni costituzionali, delle pronunce giurisdizionali) verso il principio (che si ricerca nella specialità dei diritti umani, nel valore attribuito ai trattati su di essi, nella loro peculiarità e nell’intima tendenza all’universalità).
Sono fatti (rectius, dati storici) le positivizzazioni che si intendono ripercorrere, così come lo sono le tecniche normative di cui al secondo e terzo capitolo e le applicazioni giurisprudenziali del quarto e del quinto. Ed anche laddove si sottopongono a comparazione i sistemi delle fonti e le tutele giurisdizionali dei Paesi studiati, o anche i sistemi sovranazionali di tutela ed i meccanismi di raccordi fra i vari livelli di protezione, ciò che si propone, ancora una volta, è un confronto fra concreti meccanismi di funzionamento e risultati fattuali di effettività della garanzia dei diritti umani.
Ma l’intento che anima l’intero percorso è la ricerca di una conferma e di un criterio di verificabilità di un principio, l’universalità, che talvolta risponde ad un valore fondato (e fondante quantomeno l’idea della mia tesi), talaltra è piuttosto considerato un dogma, fin troppo scontato alle comuni coscienze. Insieme a questo, vi è pure il tentativo di definire la specialità dei diritti umani, di affermare la loro primazia nel sistema delle fonti a prescindere dalla loro collocazione formale e persino anche dall’insufficienza delle tutele predisposte; lo sforzo di smentire l’esistenza di una riserva di giurisdizione in capo ad una giustizia o ad un’altra, l’universalizzabilità di una cultura sulle altre, la sufficienza e la perfezione di un solo modello di protezione.
Gli angoli prospettici che si adottano nell’analisi delle questioni che derivano dall’applicazione del suddetto metodo, sono quelli della comparazione giuridica e della giurisprudenza costituzionale. La prima, utilizzata come strumento d’indagine per vagliare la molteplicità delle soluzioni prospettabili e per confrontare cause ed effetti, forme e contenuti, validità ed effettività, e l’altra, impiegata come chiave di lettura per interpretare le dicotomie, soprattutto laddove appaiono scontate e ovvie, oppure contraddittorie e insolvibili. E tanto più laddove lo siano davvero.
Attraverso entrambi questi mezzi, si cerca semplicemente di fornire un riscontro empirico all’esistenza di antinomie e lacune nella protezione dei diritti umani negli ordinamenti complessi e nei sistemi giuridici nazionali, sovranazionali e internazionali, in particolare in quelli presi in considerazione nel presente lavoro. Si giunge ad una serie di risultati che fanno vacillare i baluardi della sovranità nazionale, rendono inutile la distinzione fra teorie dualiste e moniste, mettono in discussione le gerarchie, dimostrando la possibilità (e la necessità) di giungere ad una tutela dei diritti umani attraverso l’uso dei trattati internazionali non soltanto come ausili interpretativi ma anche come parametri della costituzionalità delle leggi.
Nell’ultima parte del lavoro ci si concede la libertà di accogliere un punto di vista assiologico, rispondente ai canoni di una personale filosofia della giustizia: è il momento in cui si guarda al diritto sui diritti umani attualmente vigente, come ad un prodotto storico, politico e sociale, e si cerca di capire se sia possibile realizzare, oggi, attraverso le vie (giurisprudenziali) tracciate e le soluzioni (alle insufficienze) evidenziate nel corso della ricerca, ma soprattutto attraverso lo strumento della giustizia costituzionale, quell’universalità che è propria (per comune sentire e per più di una corrente di pensiero) dei diritti umani e che, finora, è stata soltanto proclamata dal diritto dei trattati …e da alcuni (ottimisti) filosofi del diritto. E, in questa sfida per l’universalità, si cerca di capire, appunto, quale sia (o dovrebbe essere) il ruolo della giustizia costituzionale.
Di fronte alle carenze del sistema universale di protezione dei diritti umani non si è potuto non ammettere che i meccanismi di garanzia che hanno raggiunto i migliori risultati sono quelli appartenenti alle aree regionali (al sistema europeo e a quello interamericano), ma i traguardi segnati non ci sembrano ancora sufficienti.
L’universalità dei diritti, per un verso, e la loro effettività dall’altro, richiedono uno sforzo ulteriore per instaurare un dialogo realmente “comunicativo”, sempre più fitto e intenso fra tutte le istanze giurisdizionali che, alle diverse latitudini, proteggono i diritti dell’uomo: fra le Corti sovranazionali (e di queste fra loro, quando operano nello stesso ambito regionale) e gli organismi che operano sotto l’egida delle Nazioni Unite e, nello stesso tempo, con i giudici dei diritti degli Stati nazionali, ciascuno di essi assumendo la convinzione che i sistemi di tutela universali e regionali sono stati concepiti come sussidiari rispetto a quelli interni e che dietro di essi vi è lo scopo di “unire nella diversità”.
Per questa via, l’illusorio obiettivo dell’effettiva protezione dei diritti umani universali diviene concreto “grazie” all’opera dei giudici costituzionali e degli studiosi del diritto di tutto il mondo, allorquando questi cominciano a comunicare fra loro. In particolar modo, l’esercizio della funzione di giustizia costituzionale, l’ermeneutica dei testi fondamentali e l’inesausta ricerca della fondamentalità dei diritti, ovunque e nei disparati modi in cui vengono esercitate, sono riconducibili ad uno scopo comune, rappresentato dalla (affermazione della) dignità umana, dalla (tensione verso la) pace e la giustizia, ed un fondamento, che è lo stesso in ogni dove, indipendentemente dalle nazionalità, dalle storie e dalle identità regionali, dalle diverse culture.
Dinnanzi a questa prospettiva, si è avvertita la necessità di impostare la ricerca a partire da “sicure” premesse terminologiche, senza dimenticare però che le medesime altro non sono che scelte convenzionali – criticabilissime – su opzioni formali e categorie strutturali che, nell’opinione di chi scrive, possono solo servire a meglio spiegare ed esprimere l’idea di fondo e la tesi che si tenta di sostenere (palesando il contesto in cui si è originata). Da qui, la scelta di utilizzare un unico concetto (diritti umani o fondamentali dell’uomo) fra molte altre accezioni, tutte consustanziali e similari, di fatto utilizzate in maniera equivalente dagli studiosi, così pure il prevalente riferimento ai “trattati”, sebbene numerosi altre sono le denominazioni e le accezioni dei testi sovranazionali e internazionali sui diritti umani.
Si è deciso, altresì, di far decorrere l’indagine dal punto di origine (della nozione) dei diritti umani e da una ricostruzione storica dei medesimi nell’ambito internazionale, laddove per la prima volta vedono proclamazione, per poi condurla fino alla tutela interna ai singoli Stati, attraverso le disposizioni costituzionali che li riconoscono direttamente, o semplicemente si “aprono” ad essi, o vi rinviano, o li recepiscono nell’ordinamento interno.
Ma spazio e tempo nella tutela (ed ancor più nella protezione) dei diritti umani si dimostrano essere co-essenzialmente relativi e perciò dipendenti dalla lesione consumata in quel momento storico determinato e in quel caso concreto avverso la quale il sistema reagisce.
Per un verso, la violazione perpetrata nei confronti del diritto riflette il suo disvalore giuridico su più piani e a vari livelli contemporaneamente; per altro, la tutela del diritto umano violato non è soltanto una faccenda interna al singolo ordinamento locale, bensì – per quella che potrebbe apparire forza di cose o quasi, addirittura, una sconosciuta alchimia, ma che, in realtà, è null’altro che un fenomeno giuridico – coinvolge un altrove lontano ed estraneo.
L’esistenza di una pluralità di formule utilizzate da quegli strumenti giuridici (internazionali, sopranazionali, costituzionali), invocati al momento della richiesta di protezione, dovrebbe dare l’illusione di una maggiore forza del diritto umano, per la sussistenza di un’ampia gamma di mezzi di garanzia, e la sensazione di una protezione soddisfacente in ogni dove ri-suoni la eco dell’invocazione. Ma, di fronte al disincanto dell’inefficacia degli strumenti e dell’illusorietà degli obiettivi, la domanda, impellente ed ineludibile, dalla quale cominciamo a svolgere questo lavoro di tesi è la seguente: quale, il valore (giuridico) dei (trattati sui) diritti umani?
La ricerca di una risposta è stata condotta sulla base della consapevolezza che non vi è un solo ordinamento giuridico col quale confrontarsi nella tutela dei diritti umani, perché tanti e molteplici sono gli ordinamenti assorbiti nello Stato moderno. Peraltro, altra constatazione preliminare è che la collocazione delle fonti internazionali pattizie nei sistemi interni non sempre risponde all’effettivo peso delle medesime negli sviluppi processuali dell’applicazione delle disposizioni, allorquando smettono di essere tali per farsi norme.
Di fronte al pericolo di disorientamento per la vastità del tema, si è scelto di restare su un piano meramente empirico, con la volontà di prescindere da qualsiasi pre-orientazione ermeneutica di teoria del diritto o di filosofia politica. Pur senza negare l’utilità di questi strumenti, ed anzi, ad essi facendo un massiccio ricorso in via liminare, proprio per fornire all’uso dei termini e all’idea per intero una base sufficientemente solida e un fondamento quantomeno strutturale e formale, si preferisce non manifestare la scelta dell’opzione assiologica, sebbene non vi sia dubbio che, sia pure intimamente, una scelta vi sia.
Inoltre, per tale medesima ragione, si è impostata un’analisi – quanto più completa possibile, ma senza pretese di essere esaustiva –dei trattati sui diritti umani e della collocazione nel sistema delle fonti degli ordinamenti presi in esame, delle tecniche (di apertura, rinvio, recepimento, integrazione) utilizzate a tale scopo, ma soprattutto dell’effettivo valore ad essi attribuito nelle pronunce giurisdizionali degli organi di giustizia che sono preposti, dal medesimo ordinamento, a giudicare sulle violazioni dei diritti umani e, con esso, dell’effettività del risultato perseguito.
Sennonché, lo studio della posizione dei diritti umani nel sistema delle fonti e delle giurisprudenze interne, nella speciale prospettiva delle giurisdizioni costituzionali, per l’ampiezza delle casistiche possibili – pure accennata nella seconda parte – e per l’irrealistica incapacità di affrontarla compiutamente in questo lavoro – accettata fin da queste pagine introduttive – viene limitata (nella terza parte) ad alcuni degli ordinamenti europei ed alcuni di quelli latinoamericani.
Il centro del lavoro è, quindi, costituito da uno studio di giustizia costituzionale, nella sua funzione duplice di garante del testo fondamentale e dei diritti fondamentali in esso riconosciuti, andando alla ricerca, di volta in volta, per ciascuno dei modelli analizzati, inerzie, insufficienze ed ineffettività.
Seguendo le categorizzazioni classiche dei controlli di costituzionalità (accentrato/diffuso, preventivo/successivo) i modelli di giustizia costituzionale che si è scelto di analizzare sono notevolmente disomogenei: da una parte, gli ordinamenti francese e italiano prevedono l’attribuzione delle competenze di giustizia costituzionale ad un organo ad hoc, mentre in quelli spagnolo e cileno, la tutela dei diritti è funzione esercitata da più giurisdizioni e in quello brasiliano esiste una giurisdizione costituzionale diffusa; per altro verso, se nell’ordinamento francese, cileno e spagnolo i trattati sui diritti umani sono oggetto del controllo previo di costituzionalità, ciò non avviene in quello brasiliano e italiano, laddove i trattati possono essere sottoposti soltanto a un controllo successivo o “servire” in via interpretativa alla funzione del controllo di costituzionalità delle leggi e della tutela dei diritti.
L’analisi comparata su questi ordinamenti è stata condotta cercando di rifuggire il più possibile da giudizi apodittici – che finirebbero per essere considerati, a ragione, presuntosi perché originati da un’indagine giocoforza parziale – ma semplicemente con lo scopo di porre in rilievo, ancora una volta sulla base di riscontri empirici e quanto più possibile avalutativi, i solchi alternativi battuti per la tutela dei diritti fondamentali dell’uomo, laddove il mezzo originariamente ad esso deputato (la Costituzione) non basta a raggiungere lo scopo.
E qui che si impone il secondo degli interrogativi che fomenta (e tormenta) la riflessione oggetto di questa tesi: quale giudice, per la protezione dei diritti umani?
Dall’esame del lavoro svolto dai tribunali di giustizia costituzionale “sui” ed “attraverso i” testi delle disposizioni di diritto internazionale pattizio in materia di diritti umani si conclude con un’assenza di riserva di giurisdizione in capo ai soli giudici nazionali nella tutela dei diritti. Da ciò ne è derivata la prova dell’impossibilità di costruire dei compartimenti stagni sul piano delle garanzie dei diritti umani e fondamentali e, pertanto, si è cercato un altro sentiero per trovare una risposta propositiva a questa seconda domanda.
E come spesso accade, quando la prospettiva interna ci pare limitata e insufficiente, l’impulso è quello di rivolgere lo sguardo alla giustizia che orbita sulla dimensione immediatamente superiore (sovranazionale e poi internazionale), così si è proceduto ad analizzare anche i sistemi regionali di protezione con lo scopo di ricercare una qualche traccia di chiusura del cerchio ed una perfezione (definitivamente mancante negli ordinamenti nazionali) per la tutela europea ed interamericana dei diritti umani.
Ma questo obiettivo è stato perseguito, ancora una volta, non attraverso aprioristiche visioni del mondo o abbracciando quella costruzione dottrinaria che appare più idonea al perseguimento del fine, bensì per mezzo dello studio delle strategie concretamente adottate dagli organismi internazionali di giurisdizione per la protezione dei diritti umani, in quell’intreccio di relazioni collaborative che si alimentano reciprocamente ed incessantemente con le giurisdizioni nazionali. Gli strumenti di tutela e proclamazione dei diritti umani, sommariamente analizzati nella prima parte, vengono dunque contestualizzati in quest’ultima, all’interno dei sistemi di protezione che essi stessi hanno istituito e alla luce della loro applicazione diretta da parte delle giurisdizioni da essi preposte.
Nell’ora delle conclusioni, che animano gli ultimi due capitoli del lavoro, si è tentato di mettere insieme i pezzi di un discorso che va per molteplici sentieri, a volte tortuoso ed oscuro, altre realistico e banale, per cercare di giustificare le risposte offerte agli interrogativi posti e, ancor più, per fornire una spiegazione a quella scelta – non certo inconsapevole – di teoria generale che volutamente si tace all’inizio del lavoro e che, inevitabilmente, trasuda dalle sue ultime righe.
I risultati di queste valutazioni servono a chiudere la riflessione, protesa a ricercare – non tanto e non solo nelle scelte assiologiche – una via per l’universalità dei diritti umani.
Tale lavoro di ricerca giuridica, fin dall’inizio è apparso – persino alla sua autrice – mastodontico e smisurato, eccessivamente magmatico e multiforme, per alcuni versi “presuntuoso”, in ragione della vastità di temi e delle problematiche che ci si prefigge di toccare (a volte soltanto sfiorandoli, altre affrontandoli fino in fondo) nel corso del suo incedere.
Allo scopo di superare i difetti originari del tema, si è scelto di procedere per brevi pause, di segnare, cioè, dei punti di riferimento all’esito di ciascuno dei tragitti che si intendono seguire, in modo da rendere chiaro al lettore quale sia il dato dal quale si riparte per avanzare verso la riflessione successiva e sino all’approdo finale (ma non definitivo).
Le vie e le aree su cui si muove la ricerca sono, quindi, più di una: dalle premesse terminologiche di filosofia del diritto alla storia delle relazioni internazionali sui diritti umani, dai fondamenti di diritto internazionale pubblico alla macro-materia del sistema delle fonti, dal diritto costituzionale alla giustizia costituzionale e, quindi, dalle disposizioni costituzionali all’applicazione giurisprudenziale delle medesime, dai controlli di costituzionalità alle funzioni di garanzia dei diritti umani esercitate anche dal giudice comune, dal sistema europeo a quello interamericano di tutela, e dalla sola tutela alla vera e propria protezione dei diritti umani.
Il metodo che applica alla presente ricerca, nell’intento di procedere attraverso questi molteplici settori, risponde perlopiù al paradigma induttivo perché ci si prefigge di seguire un ragionamento (logico e giuridico) che muove dal fatto (e dalle norme delle proclamazioni convenzionali sui diritti umani, delle disposizioni costituzionali, delle pronunce giurisdizionali) verso il principio (che si ricerca nella specialità dei diritti umani, nel valore attribuito ai trattati su di essi, nella loro peculiarità e nell’intima tendenza all’universalità).
Sono fatti (rectius, dati storici) le positivizzazioni che si intendono ripercorrere, così come lo sono le tecniche normative di cui al secondo e terzo capitolo e le applicazioni giurisprudenziali del quarto e del quinto. Ed anche laddove si sottopongono a comparazione i sistemi delle fonti e le tutele giurisdizionali dei Paesi studiati, o anche i sistemi sovranazionali di tutela ed i meccanismi di raccordi fra i vari livelli di protezione, ciò che si propone, ancora una volta, è un confronto fra concreti meccanismi di funzionamento e risultati fattuali di effettività della garanzia dei diritti umani.
Ma l’intento che anima l’intero percorso è la ricerca di una conferma e di un criterio di verificabilità di un principio, l’universalità, che talvolta risponde ad un valore fondato (e fondante quantomeno l’idea della mia tesi), talaltra è piuttosto considerato un dogma, fin troppo scontato alle comuni coscienze. Insieme a questo, vi è pure il tentativo di definire la specialità dei diritti umani, di affermare la loro primazia nel sistema delle fonti a prescindere dalla loro collocazione formale e persino anche dall’insufficienza delle tutele predisposte; lo sforzo di smentire l’esistenza di una riserva di giurisdizione in capo ad una giustizia o ad un’altra, l’universalizzabilità di una cultura sulle altre, la sufficienza e la perfezione di un solo modello di protezione.
Gli angoli prospettici che si adottano nell’analisi delle questioni che derivano dall’applicazione del suddetto metodo, sono quelli della comparazione giuridica e della giurisprudenza costituzionale. La prima, utilizzata come strumento d’indagine per vagliare la molteplicità delle soluzioni prospettabili e per confrontare cause ed effetti, forme e contenuti, validità ed effettività, e l’altra, impiegata come chiave di lettura per interpretare le dicotomie, soprattutto laddove appaiono scontate e ovvie, oppure contraddittorie e insolvibili. E tanto più laddove lo siano davvero.
Attraverso entrambi questi mezzi, si cerca semplicemente di fornire un riscontro empirico all’esistenza di antinomie e lacune nella protezione dei diritti umani negli ordinamenti complessi e nei sistemi giuridici nazionali, sovranazionali e internazionali, in particolare in quelli presi in considerazione nel presente lavoro. Si giunge ad una serie di risultati che fanno vacillare i baluardi della sovranità nazionale, rendono inutile la distinzione fra teorie dualiste e moniste, mettono in discussione le gerarchie, dimostrando la possibilità (e la necessità) di giungere ad una tutela dei diritti umani attraverso l’uso dei trattati internazionali non soltanto come ausili interpretativi ma anche come parametri della costituzionalità delle leggi.
Nell’ultima parte del lavoro ci si concede la libertà di accogliere un punto di vista assiologico, rispondente ai canoni di una personale filosofia della giustizia: è il momento in cui si guarda al diritto sui diritti umani attualmente vigente, come ad un prodotto storico, politico e sociale, e si cerca di capire se sia possibile realizzare, oggi, attraverso le vie (giurisprudenziali) tracciate e le soluzioni (alle insufficienze) evidenziate nel corso della ricerca, ma soprattutto attraverso lo strumento della giustizia costituzionale, quell’universalità che è propria (per comune sentire e per più di una corrente di pensiero) dei diritti umani e che, finora, è stata soltanto proclamata dal diritto dei trattati …e da alcuni (ottimisti) filosofi del diritto. E, in questa sfida per l’universalità, si cerca di capire, appunto, quale sia (o dovrebbe essere) il ruolo della giustizia costituzionale.
Di fronte alle carenze del sistema universale di protezione dei diritti umani non si è potuto non ammettere che i meccanismi di garanzia che hanno raggiunto i migliori risultati sono quelli appartenenti alle aree regionali (al sistema europeo e a quello interamericano), ma i traguardi segnati non ci sembrano ancora sufficienti.
L’universalità dei diritti, per un verso, e la loro effettività dall’altro, richiedono uno sforzo ulteriore per instaurare un dialogo realmente “comunicativo”, sempre più fitto e intenso fra tutte le istanze giurisdizionali che, alle diverse latitudini, proteggono i diritti dell’uomo: fra le Corti sovranazionali (e di queste fra loro, quando operano nello stesso ambito regionale) e gli organismi che operano sotto l’egida delle Nazioni Unite e, nello stesso tempo, con i giudici dei diritti degli Stati nazionali, ciascuno di essi assumendo la convinzione che i sistemi di tutela universali e regionali sono stati concepiti come sussidiari rispetto a quelli interni e che dietro di essi vi è lo scopo di “unire nella diversità”.
Per questa via, l’illusorio obiettivo dell’effettiva protezione dei diritti umani universali diviene concreto “grazie” all’opera dei giudici costituzionali e degli studiosi del diritto di tutto il mondo, allorquando questi cominciano a comunicare fra loro. In particolar modo, l’esercizio della funzione di giustizia costituzionale, l’ermeneutica dei testi fondamentali e l’inesausta ricerca della fondamentalità dei diritti, ovunque e nei disparati modi in cui vengono esercitate, sono riconducibili ad uno scopo comune, rappresentato dalla (affermazione della) dignità umana, dalla (tensione verso la) pace e la giustizia, ed un fondamento, che è lo stesso in ogni dove, indipendentemente dalle nazionalità, dalle storie e dalle identità regionali, dalle diverse culture.
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