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Archivio digitale delle tesi discusse presso l’Università di Pisa

Tesi etd-12172021-115621


Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale LM5
Autore
IACOPINI, ILARIA
URN
etd-12172021-115621
Titolo
Nuovi approcci farmacologici per il trattamento del feocromocitoma.
Dipartimento
FARMACIA
Corso di studi
FARMACIA
Relatori
relatore Prof.ssa Citi, Valentina
relatore Prof. Calderone, Vincenzo
Parole chiave
  • catecolamine
  • feocromocitoma
  • trattamento dell'ipertensione
Data inizio appello
26/01/2022
Consultabilità
Non consultabile
Data di rilascio
26/01/2092
Riassunto
Il feocromocitoma è un tumore raro, ben vascolarizzato che origina dalle cellule cromaffini presenti nella midollare del surrene, oppure può svilupparsi in altri paragangli del corpo prendendo il nome di paraganglioma (PGL). Il termine feocromocitoma è stato coniato da Ludwig Pick nel 1912 e deriva dalla combinazione di 3 sostantivi: phaios (scuro), chroma (colore), citoma (tumore) e significa il tumore dal colore scuro poiché si riferisce al colore scuro causato in immunofissazione in cromaffina, per opera delle catecolamine. La caratteristica peculiare del FEO è l’incremento della produzione delle catecolamine che porta all’aumento dell’ipertensione, che si manifesta con i sintomi più comuni e che costituiscono una triade classica: palpitazioni, cefalea e sudorazione profusa. Il tumore essendo raro ha una bassa incidenza a livello mondiale e si stimano circa 2-8 casi per milione di persone per anno, con un picco fra i 50 ed i 60 anni di età e con una frequenza maggiore nella popolazione di sesso femminile rispetto a quella maschile. L’eziologia non è ancora nota: si presenta primariamente come un tumore sporadico, ma presenta un 25-33% di condizione patologica ereditaria, oppure può insorgere in soggetti portatori di altre sindromi genetiche. Il tumore viene diagnosticato attraverso l’analisi dell’eccesso di catecolamine, mediante test biochimici e in un secondo momento, viene effettuata la localizzazione del tumore attraverso tecniche radiologiche e diagnostica per immagini. Lo scopo della tesi è verificare se esistono elementi sufficienti al fine di eradicare il tumore e se sono ipotizzati nuovi approcci farmacologici in fase di sperimentazione. La terapia ottimale è la resezione chirurgica tramite surrenectomia per via laparoscopica. Tuttavia, presenta degli svantaggi notevoli principalmente dati dalle piccole dimensioni del surrene e dalla numerosa vascolarizzazione che lo coinvolge. Inoltre, se non è adeguatamente preparato in fase preoperatoria l’intervento è associato ad alti tassi di mortalità e ad un’instabilità emodinamica che si presenta nell’immediato postoperatorio. Ad oggi si utilizzano molecole con una buona efficacia ma con elevati effetti collaterali, in realtà il miglioramento della gestione preoperatoria e la sintesi di nuove molecole consentirebbero una minore morbilità e tassi di mortalità quasi nulli e pertanto la ricerca dovrebbe essere propensa alla sintesi di molecole di nuova generazione. La chirurgia non garantisce la completa rimozione poiché può non asportare tutto il tumore a causa dell’invasività e risulta inefficace per le metastasi. Allora si ricorre ai 2 metodi necessari nel postoperatorio: la chemioterapia e la radioterapia che invece utilizza radiazioni ad alta frequenza erogate da una macchina esterna oppure attraverso la somministrazione di un farmaco radioattivo. Ad oggi la ricerca non è andata avanti sullo sviluppo di nuovi farmaci chemioterapici e si ricorre ancora alla chemioterapia combinata con ciclofosfamide, vincristina e dacarbazina, nonostante non abbia più mostrato risultati evidenti sull’aumento della sopravvivenza e instauri un grave tossicità ematologica. Anche la radioterapia ricorre a molecole ormai obsolete e che in realtà più che terapeutiche sono diagnostiche, come dimostra il 131 I MIBG; invece, una valida alternativa scoperta recentemente sono i radiopeptidi a base di somatostatina che hanno prodotto un outcome a lungo termine eccellente con diminuzione della tossicità a carico renale e aumento della sopravvivenza dopo l’utilizzo. Le terapie in fase di sperimentazione prevedono l’utilizzo di molecole che inibiscono i recettori di proteine sovraespresse nelle linee cellulari in vitro. Gli inibitori della shock protein come ganetespib e tanespimycin hanno dimostrato una potente inibizione della proliferazione e della migrazione delle linee cellulari del feocromocitoma; su modelli murini metastatici è stato visto che riescono a ridurre il carico metastatico e aumentare la sopravvivenza globale e Ganetespib induce anche citotossicità dose-dipendente nelle cellule di FEO primario. Se i sintomi primari non sono trattati in maniera tempestiva, possono causare danni ancora più gravi a livello cardiovascolare. In natura esistono prodotti che possono attenuare la sintomatologia classica, ma costituiscono esclusivamente un metodo palliativo e non curativo. La piccola incidenza epidemiologica a livello mondiale lo rende un tumore raro, non facilmente conosciuto od analizzato e per tale motivo i recenti approcci farmacologici e terapeutici, sono ancora in fase di studio. Le terapie che prevedono l’inibizione di proteine sovraespresse nelle linee cellulari di FEO in vitro sono volte all’eradicazione delle cellule tumorali e mostrano una buona efficacia nella riduzione del tumore primario. Nonostante ci siano numerose nuove molecole ad attività farmacologica potenzialmente sfruttabili nella patologia discussa, attualmente mancano dati clinici che ne possano confermare l’efficacia.
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