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Archivio digitale delle tesi discusse presso l’Università di Pisa

Tesi etd-12122022-222256


Tipo di tesi
Tesi di specializzazione (5 anni)
Autore
TAMAGNINI, SARA
URN
etd-12122022-222256
Titolo
L'ipossia dinamica intrauterina come guida dei meccanismi molecolari dello sviluppo fetale: risultati preliminari dello studio Beta3-RECORD
Dipartimento
MEDICINA CLINICA E SPERIMENTALE
Corso di studi
PEDIATRIA
Relatori
relatore Prof. Filippi, Luca
Parole chiave
  • recettori adrenergici beta3
  • Hif1
  • VEGF-A
  • emogasanalisi cordonale
  • neonato
Data inizio appello
29/12/2022
Consultabilità
Non consultabile
Data di rilascio
29/12/2062
Riassunto
L’importanza dell’ossigeno per la vita risiede nel suo ruolo chiave nel metabolismo energetico: rappresenta l’accettore terminale di elettroni nella catena di fosforilazione ossidativa, pilastro della respirazione cellulare. Eppure, durante la vita intrauterina c’è ipossia ed è fisiologica, variando tra l’1% e il 5%. Si tratta di un’ipossia dinamica, almeno nel passaggio dal primo al secondo trimestre di gravidanza, quando la placentizzazione favorisce un aumento di 3 volte della concentrazione di ossigeno. Per quanto riguarda però lo stato di ossigenazione fetale durante il terzo trimestre di gravidanza ci sono dati scarsi e non concordi tra loro: Il nostro lavoro indaga proprio questa finestra temporale. Oggi sappiamo che condizioni di bassa concentrazione di ossigeno sono richieste per l’intero processo di embriogenesi, per la proliferazione cellulare delle cellule staminali embrionali (ESC) negli stadi più precoci dello sviluppo fetale e per il mantenimento delle ESC allo stato indifferenziato. È in questo scenario che devono essere contestualizzate le tre molecole oggetto del nostro studio: 3AR, HIF-1 e VEGF-A. HIF-1 è un fattore di trascrizione ossigeno-dipendente , la cui espressione è funzione della concentrazione di ossigeno cellulare aumentando in modo esponenziale a mano a mano che le cellule vengono sottoposte a concentrazioni decrescenti di ossigeno. Esso attiva la trascrizione di diversi geni target, tra cui VEGF- A, essenziale nei processi di neo-vascolarizzazione, fondamentali per l’embriogenesi dei vertebrati, come dimostrato da studi fatti in modelli animali knockout per i suoi geni. Tra i geni target di HIF-1 si aggiunge anche quello che codifica per 3AR che, nella retina murina, dove i recettori beta-adrenergici indotti dall’ipossia giocano un ruolo chiave nella formazione patologica dei vasi, è stato dimostrato avere un’espressione regolata da HIF-1. Nell’uomo, però, questo non è ancora stato indagato. 3AR è un recettore adrenergico e appartiene alla superfamiglia dei recettori accoppiati alla proteina G. Al contrario però degli altri - AR, sembra essere meno suscettibile alla desensibilizzazione agonista-indotta, poiché non presenta i siti di fosforilazione che mediano la desensibilizzazione stessa. Questo fatto lo rende di maggior interesse rispetto agli altri ARs, nell’ottica di una futura eventuale applicazione clinica. Anche 3AR risulta upregolato in condizioni di ipossia (con un andamento del tutto sovrapponibile a HIF-1) e anch’esso partecipa all’induzione di VEGF nella retina murina, acquisendo quindi un ruolo proangiogenetico ipossia-indotto. Alla luce di quanto detto, la nostra ipotesi di lavoro è che la condizione di ipossia durante la vita intrauterina sia dinamica anche nel terzo trimestre di gravidanza e che, in questa finestra temporale, anche l’espressione di HIF-1 e β3AR abbia un andamento dinamico, parallelo e consensuale all’andamento dell’ipossia. Questo sarebbe il meccanismo molecolare con cui l’ipossia dinamica farebbe da segnale driver dello sviluppo embrionale e fetale. Il presente lavoro di tesi si prefigge i seguenti obiettivi: 1. Verificare l’eventuale differenza di espressione di β3-AR nei neonati pretermine rispetto ai neonati a termine 2. Verificare la correlazione tra l’espressione di β3-AR, HIF-1 e VEGF-A nei neonati pretermine e nei neonati a termine 3. Correlare i livelli di HIF-1 e β3-AR con i livelli di pO2 venosa cordonale nei neonati pretermine e nei neonati a termine. In questo lavoro vengono presentati i risultati preliminari dello studio β3-RECORD ottenuti su un campione preliminare di 30 neonati pretermine del gruppo A (EG<37) e 20 neonati a termine del gruppo B (EG>37) nati presso la U.O. di Neonatologia dell’Azienda Ospedaliero Universitaria Pisana (AOUP) dal gennaio all’agosto 2022. Per ogni paziente sono stati raccolti due campioni di sangue cordonale, su cui sono state eseguite rispettivamente l’EGA e l’analisi di espressione di β1-AR, β2-AR, β3-AR, HIF-1 e VEGF-A. I risultati ottenuti dall’analisi dei valori dell’EGA cordonale considerati mostrano che non c’è differenza statisticamente significativa tra i valori di pO2 venosa tra il gruppo A ed il gruppo B, suggerendo che la quantità di O2 che giunge ai feti sia la stessa. La differenza statisticamente significativa tra i due gruppi è invece presente per la pO2 arteriosa (p=0,0077) che è maggiore nel gruppo A rispetto al gruppo B, evidenziando un minor consumo di ossigeno in questo gruppo di neonati. Questo ci ha condotto a calcolare l’estrazione di O2, che è risultata essere significativamente maggiore (p=0,0147) nel gruppo B rispetto al gruppo A, e la produzione di CO2, anch’essa significativamente maggiore nei neonati del gruppo B rispetto al gruppo A (p=0,0352). Sembrerebbe quindi che durante la vita intrauterina, a parità di apporto di ossigeno placentare, i neonati pretermine consumino meno ossigeno rispetto ai neonati a termine, di età gestazionali quindi più avanzate. A conferma di questo anche la maggior produzione di CO2 nei neonati a termine suggerisce una intensificazione dei processi metabolici che riflettono l’aumentato consumo di ossigeno, con un progressivo switch quindi dal metabolismo anaerobio caratterizzato dall’effetto Warburg tipico dell’embrione, a quello aerobico. Questa aumentata estrazione di ossigeno, con il progredire dell'età gestazionale dei feti, quindi della gravidanza, tenderebbe a rendere più ipossici i neonati durante il terzo trimestre di gravidanza, confermando la tendenza ad una nuova accentuazione dell’ipossia, così come è riportato da una parte degli studi presenti in letteratura in merito. Abbiamo poi indagato le differenze di espressione nei neonati pretermine rispetto ai neonati a termine di alcuni geni particolarmente espressi in condizioni di ipossia, alla ricerca di una eventuale progressione della loro espressione attraverso tutto il terzo trimestre di gravidanza, e già valutati nel modello animale: HIF-1, β3AR e VEGF-A. I risultati dell’analisi statistica condotta sull’espressione dei geni analizzati mostrano che β3AR (p=0,0381) e HIF-1 (p=di 0,0305) risultano espressi maggiormente nei neonati a termine rispetto ai neonati pretermine con significatività statistica, evidenziando quindi una tendenza al progressivo aumento della loro espressione durante il progredire della gestazione, probabilmente correlata ad una accentuazione dell’ipossia. I nostri risultati mostrano inoltre che, con valori vicini alla significatività statistica seppur senza raggiungerla, un’espressione maggiore nei neonati a termine rispetto ai neonati pretermine esiste anche per β2AR (p=0,0679), e questo è in linea con la letteratura in cui è riportato come nell’angiogenesi indotta da ipossia nell’HI, nella ROP e nel cancro, il sistema beta-adrenergico abbia la funzione di mediatore molecolare tramite l’attivazione preferenziale di β2-AR, mentre β1AR sembra essere minormente coinvolto in questi processi. β1AR infatti non risulta avere differenza statisticamente significativa tra i due gruppi (p=0,1669), così come VEGF-A (p=0,2148). Entrambi mostrano però un trend in aumento nei neonati a termine rispetto ai neonati pretermine come gli altri geni, sottolineando quindi la necessità di ulteriori approfondimenti considerando campioni di maggiore numerosità. È stata poi condotta la correlazione di Spearman tra β3AR e HIF, β3AR e VEGF-A, infine tra VEGF-A e HIF-1, che è risultata statisticamente significativa sia nel gruppo A dei neonati pretermine che nel gruppo B dei neonati a termine per tutte e tre le coppie di geni (rispettivamente p<0,0001 nel gruppo A e B per la correlazione tra β3AR e HIF; p<0,0001 nel gruppo A e p=0,0002 nel gruppo B per la correlazione tra β3AR e VEGF-A; p<0,0001 nel gruppo A e B per la correlazione tra tra VEGF-A e HIF-1. In particolare, al momento la correlazione tra β3AR e HIF-1 suggerisce che anche nell’uomo i loro rapporti siano regolati in modo simile a quanto già dimostrato nell’animale, in cui il gene di β3AR è un target gene di HIF-1. La correlazione statisticamente significativa tra 3AR e VEGF-A e tra HIF-1 e VEGF-A sono in linea con quanto sappiamo di queste molecole: VEGF-A è un gene target di HIF-1 ed è indotto anche da β3AR. Questo lavoro si limita a riportare risultati preliminari dello studio β3-RECORD: i risultati dovranno quindi essere confermati in seguito, ad arruolamento completo; tuttavia, le osservazioni preliminari aprono spazio ad intriganti prospettive per studi futuri, sempre con l’approccio traslazionale della ricerca (animale/uomo). Considerato quindi questo scenario, possiamo concludere (almeno preliminarmente) che l’espressione di tutti e 3 i β-ARs, ma in particolare di β33AR e HIF-1, hanno una significativa tendenza ad aumentare nel terzo trimestre della gravidanza, ed è verosimile che questa crescente ipossia fetale sia attribuibile alla progressivamente maggiore estrazione di ossigeno: il feto, pertanto, tra la fine del secondo trimestre ed il terzo trimestre di gravidanza potrebbe trovarsi in un ambiente progressivamente più ipossico e questo potrebbe associarsi ad una progressiva up-regolazione (attraverso HIF-1) dei recettori beta adrenergici. Considerato il ruolo determinante svolto dalla ipossia nella crescita, proliferazione e vascolarizzazione fetale, e l’evidente correlazione anche nell’uomo tra ipossia e up-regolazione dei β-ARs, è verosimile che questi recettori siano attivamente coinvolti nei processi che governano lo sviluppo embrionale e fetale, ipotesi che sembra in questa prima fase essere confermata. Questa dimostrazione potrebbe fornire nuovi elementi per comprendere quali siano i fini meccanismi biochimici e molecolari che avvengono nel momento in cui il feto viene partorito prematuramente e quindi porre le basi per un intervento farmacologico (attraverso la modulazione farmacologica di questi recettori) teso a ridurre i danni causati dalla loro mancata attivazione intrauterina.
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