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Archivio digitale delle tesi discusse presso l'Università di Pisa

Tesi etd-11262018-085814


Tipo di tesi
Tesi di specializzazione (4 anni)
Autore
TAFUTO, SILVIA
URN
etd-11262018-085814
Titolo
Frattura di femore da fragilità nel grande anziano: fattori prognostici di sopravvivenza e ruolo della riabilitazione nel recupero funzionale e della mobilità
Dipartimento
MEDICINA CLINICA E SPERIMENTALE
Corso di studi
GERIATRIA
Relatori
relatore Prof. Monzani, Fabio
Parole chiave
  • recupero funzionale
  • riabilitazione
  • ortogeriatria
  • frattura del femore
  • anziani
Data inizio appello
19/12/2018
Consultabilità
Non consultabile
Data di rilascio
19/12/2088
Riassunto
La popolazione anziana (≥ 65 anni) costituisce una grossa fetta della popolazione italiana (>20%), ed è destinata a crescere. Una delle evenienze a cui più frequentemente va incontro è la caduta. Circa un terzo della popolazione anziana cade ogni anno con notevoli complicanze di cui la più frequente e temibile è la frattura di femore che necessita nella stragrande maggioranza dei casi di un intervento di chirurgia ortopedica con l’obiettivo di ripristinare la biomeccanica dell’arto e favorire la ripresa della deambulazione. Spesso i pazienti anziani che si fratturano presentano numerose comorbidità che devono essere gestite concomitantemente alla frattura. Questi pazienti sono esposti ad un maggior numero di eventi avversi come l’insorgenza di delirium peri-operatorio, infezioni, scompenso cardiaco, tromboembolismo e complicanze iatrogene. Tutto ciò a sua volta aumenta il rischio di decadimento funzionale e cognitivo e di morte.
Per tali motivi questi pazienti necessitano di una gestione integrata tra geriatra, ortopedico e anestesista volto a migliorare il recupero della deambulazione e le capacità funzionali, ridurre il rischio di complicanze peri-operatorie e favorire il recupero funzionale.
Scopo dello studio
Scopo di questo lavoro è l’individuazione dei principali predittori di mortalità e la valutazione del grado di autonomia, del recupero funzionale e di motilità, con un tempo di osservazione medio di 28.9 mesi dall’evento, nei pazienti con frattura di femore sottoposti ad intervento chirurgico in regime d’urgenza, seguiti nell’ambito del percorso ortogeriatrico. Tale analisi dovrebbe condurre al miglioramento della pianificazione dell’iter terapeutico interdisciplinare al fine di consentire ai pazienti fragili di ricevere un trattamento medico e chirurgico più appropriato possibile, favorire un più agevole accesso alle cure riabilitative ed un adeguato follow-up garantendo una migliore qualità di vita, la riduzione della mortalità, del numero di recidive e della disabilità funzionale residua nonché dei costi socio-economici ad esse associati.
Materiali e metodi
Il presente studio osservazionale è stato condotto su una popolazione di 1713 pazienti (≥65 anni) di cui il 23,5% (403) uomini e il 76,5% (1310) donne, con età media di 81,85 (± 7,8 DS) anni, ricoverati in regime di urgenza presso la UO Traumatologia e Ortopedia Universitaria dell’Ospedale Cisanello di Pisa da aprile 2013 a giugno 2018.
Nella fase preoperatoria tutti i pazienti sono stati sottoposti a valutazione clinica e laboratoristica (anamnesi, esame obiettivo e parametri bioumorali) e a Valutazione Multidimensionale Geriatrica (VMD), in particolare sono stati indagati: stato cognitivo mentale all’ingresso tramite Short Portable Mental Status Questionnaire (SPMSQ), valutazione del grado di autonomia domestica corretto per il sesso tramite Activities of Daily Living e Instrumental Activities of Daily Living (ADL e IADL), presenza o meno di delirium pre e post operatorio tramite Confusion Assessment Method (CAM). Al fine di standardizzare le comorbidità della popolazione è stato utilizzato il Cumulative Illness Rating Scale (CIRS).
Per il calcolo del filtrato glomerulare pre e post intervento è stata utilizzata la formula Chronic Kidney Disease Epidemiology Collaboration (CKD-EPI).
A Giugno 2018 è stato eseguito censimento anagrafico dei vivi e dei deceduti mediante programma GSA intra-ospedaliero, con successivo calcolo della sopravvivenza post-intervento.
L’analisi della sopravvivenza in termini di Overall Survival è stata evidenziata tramite le curve di sopravvivenza di Kaplan-Meier.
E’ stata infine condotta l’analisi di regressione multivariata di Mantel-COx sull'overall survival.
E’ stata inoltre eseguita a distanza di 6-8 mesi dall’evento, in due gruppi di pazienti (operati nel periodo 2013-14 e 2016-18), intervista telefonica indagando BADL ed IADL residue, aderenza alla fisioterapia, capacità deambulatoria residua.
Risultati
La popolazione presa in esame presentava le seguenti caratteristiche: CIRS medio 1.68±0.5 (media±DS). In termini di disabilità, il valore medio di BADL è risultato essere 4.43, con il 31,4% di soggetti con ADL≤4 prima della frattura. Il valore medio di IADL è risultato essere 4.26, con un 70,5% di soggetti con IADL ≤ 6 prefrattura. Il punteggio medio dello SPMSQ è risultato essere 2.41 con ≥ 3 errori nel 35,2% dei pazienti. La percentuale di donne era del 78.2%, mentre gli uomini erano il 21.8%. La prevalenza di delirium durante la degenza (considerando sia il pre- che il post- operatorio) è stata del 10,7%. Il filtrato glomerulare (CPK-EPI) era all’ingresso 68,6 mL/min/1.73 m2. Le fratture di femore risultavano 1265 (75,2%), quelle in altro distretto 448 (24.8%). Nel 95,9% dei casi la causa dell’evento era identificata in una caduta accidentale, nel restante 4.1% in evento sincopale. L’intervento chirurgico si realizzava entro le 24 ore nel 48,4% dei casi ed entro le 48 ore nel 97%. Il tempo di degenza medio è stato di 5,8 giorni.
I valori di Albumina erano in media di 3,57 g/dl nel pre- operatorio e di 2,89 g/dl nel post-operatorio; mentre i livelli medi di emoglobina registrati in PS erano di 11.5 g/dl, con una perdita media post-operatoria di 2.3 g/dl.
Inoltre il 94% dei pazienti non assumeva terapia antiriassorbitiva ossea al momento dell’ingresso in reparto, ed il 90% non era in trattamento con Vitamina D.
La mediana del follow-up è stata di 28.9 mesi (1-60 mesi).
Uno degli obiettivi dello studio era quello di valutare la sopravvivenza per cui il primo passo è stato quello di censire il campione per individuare i soggetti deceduti tramite apposito programma (GST). La sopravvivenza media è risultata essere di 52,5 mesi. La mortalità ad un mese è risultata essere il 3,5 %, a 6 mesi l’8,5%, a un anno il 13,3%, a 2 anni il 17,4%, a 3 anni il 22,4%.
Nella casistica generale, dall’analisi univariata è emerso che i fattori maggiormente predittivi di outcome clinico sfavorevole erano (p <0,003): la durata della degenza ≥ 5 giorni, l’età > 80 anni, il CIRS-Severità, punteggi ADL e IADL ≤ 3, un punteggio SPMSQ > 3 errori/10 (101)(102), un CAM positivo, un valore di Albuminemia pre-intervento ≤ 3,5 g/dl, un valore di CKD EPI pre-intervento ≤ 30 mL/min/1.73 m2 e un valore di Hb pre-intevrento ≤ 10 g/dl.
All’analisi statistica multivariata sono risultati fattori predittivi indipendenti di mortalità statisticamente significativi (p<0,003): la maggiore durata della degenza, l’età > 80 anni, ADL ≤ 3, SPMSQ ≥ 3, CKD EPI pre-intervento ≤ 30 mL/min/1.73 m2 e livelli <10 g/dl di emoglobina pre-intervento.
A distanza di 6-8 mesi dall’intervento sono stati intervistati 247 pazienti (età media 81,4 ± 7,8 anni) seguiti nel percorso ortogeriatrico dell’AOUP per frattura del collo femorale da gennaio 2016 a febbraio 2018, il 79,8% di questo campione sono donne e il restante 20,2% sono uomini. Il ricovero ha avuto una durata mediana di 6,5 giorni, in cui il 12% dei pazienti ha avuto episodi di delirium. Durante il ricovero è stata eseguita la valutazione multidimensionale e sono stati raccolti dati riguardo a BADL (4,49 ± 2,06), IADL (4,20 ± 3,17), SPMSQ (1,97 ± 2,92) e CIRS (comorbidità 2,67 ± 1,46 e severità 1,54 ± 0,27). Degli esami emato-chimici effettuati si è deciso di prendere in esame albuminemia all’ingresso (3,52 ± 0,53 g/dl), l’emoglobinemia (11,60 ± 0,07 g/dl) e il filtrato glomerulare calcolato con la formula CKD-EPI (70, 63 ± 20, 42 mL/min/1.73m2). Attraverso il follow up telefonico, effettuato a 6-8 mesi dalla dimissione, abbiamo ottenuto nuovamente una stima dell’autonomia funzionale con BADL (3,82 ± 2.42) e IADL (3,92 ± 3,35). Nell’89,9% dei casi i pazienti avevano seguito un percorso riabilitativo; il 36,4% risultava non deambulante, il 32,8% deambulava con ausilio, il 30,8% deambulava senza ausilio.
I dati ottenuti dal follow-up a 6-8 mesi e di sopravvivenza sono stati confrontati con quelli di un gruppo di 117 pazienti con caratteristiche analoghe entrati nel percorso ortogeriatrico dell’AOUP da aprile 2013 a settembre 2014 per frattura da fragilità di femore. Dal confronto dei dati ricavati al momento del ricovero si è stabilito che i due gruppi di pazienti erano omogenei, differendo soltanto per età (inferiore di circa 1,5 anni) e per durata di degenza (un giorno in più) nel gruppo di pazienti ricoverati da gennaio 2016 a febbraio 2018.
Conclusioni
I risultati di questo studio confermano come la caduta accidentale sia la causa più frequente (95,9%) che conduce alla frattura di femore (31). Le caratteristiche generali della popolazione per età e numero di comorbidità sono in linea con le casistiche nazionali ed europee degli attuali modelli ortogeriatrici (7): la maggior parte della popolazione in studio presenta tra 1 e 5 comorbidità e questo risulta essere sovrapponibile con quanto descritto in altri studi che attribuiscono 4,9/persona (18) comorbidità a soggetti tra 65 e 79 anni e 5,4/persona comorbidità ai soggetti ultraottantenni.
Sulla base dei dati presenti in letteratura e secondo le raccomandazioni delle più autorevoli Linee Guida nazionali ed internazionali (33) la maggior parte dei soggetti sono stati operati entro le 48h dall’evento acuto, consentendo una maggiore probabilità di successo terapeutico in termini chirurgici ma soprattutto di ripresa funzionale e di acquisizione di autonomia.
Il nostro studio ha evidenziato che, in base al tipo di frattura, la maggior parte della popolazione è andata incontro ad un intervento di osteosintesi mentre solo un terzo sono stati sottoposti a posizionamento di protesi/endoprotesi.
La sopravvivenza ad un follow-up medio di 28.9 mesi è stata messa in relazione con variabili che negli anni sono state esplorate a vari livelli in altri studi con coorti di pazienti anziani fratturati (35-38). Le variabili utilizzate sono state: durata della degenza, età, ADL e IADL basale < o > 3, presenza di Delirium peri-operatorio, SPMSQ < o > 3, CIRS, CKD-EPI < o > 30 ml/min/1.73 m2, albuminemia e emoglobinemia. Tali variabili sono state valutate tramite analisi univariata.
L’analisi multivariata ha confermato come fattori prognostici indipendenti di mortalità la durata della degenza, l’età, le ADL basali, lo stato cognitivo basale, la funzione renale e l’emoglobinemia.
Non risulta, invece, significativa la presenza e il grado di comorbidità a riprova del fatto che è la disabilità (fragilità) che più influisce sulla mortalità piuttosto che la presenza di comorbidità.
Il confronto tra i due gruppi seguiti in periodi diversi (2013-2014 e 2016-2018) mette in evidenza una ridotta mortalità, seppur statisticamente non significativa del secondo gruppo. In tale gruppo emerge inoltre una estremizzazione della ripresa funzionale e di motilità al follow-up, da correlarsi alla diversa fragilità iniziale dei due gruppi e verosimilmente alla migliore selezione dei pazienti da instradare alla fisioterapia.
Poiché, come confermato dai dati analizzati, una volta verificatosi un evento fratturativo acuto la disabilità ha un notevole impatto sulla sopravvivenza, un occhio di riguardo deve essere dato alla prevenzione e al procrastinare l’insorgenza della disabilità stessa sia con programmi di salute pubblica che con accorgimenti specifici per le esigenze del singolo: sarebbe opportuno implementare e favorire la persistenza di esercizio fisico anche nella tarda età, la corretta alimentazione (tramite campagne di sensibilizzazione), ottimizzare la terapia di malattie croniche invalidanti nel lungo periodo e promuovere stili di vita sani (63). Questo studio infatti, come altri condotti su popolazioni di pazienti anziani dimostrano come sia la fragilità che condiziona la sopravvivenza e non le comorbidità ribadendo come fragilità e complessità non siano sinonimi ma due entità nosologiche differenti. Questo deve spingere il geriatra e non solo a prevenire e trattare la cause che favoriscono la sindrome da fragilità.
Questo lavoro conferma che la presenza di percorsi ortogeriatrici, come ampiamente riportato in letteratura, costituisce un ottimo contenitore all’interno del quale instradare pazienti fragili fratturati consentendo la migliore combinazione possibile tra cure ortopediche e cure mediche (41-46), per questo motivo sarebbero opportuni ulteriori studi per implementare questo tipo di percorsi e tendere alla creazione di un protocollo unico condiviso per il miglior standard di cure possibile per questi pazienti e soprattutto la creazione di un percorso precostituito di fisioterapia precoce e intensiva cui indirizzare pazienti selezionati.
In linea con i dati della letteratura, il percorso ortogeriatrico pisano prevede la piena presa in carico del paziente anziano durante la degenza, il trattamento delle comorbidità e delle eventuali complicanze post-operatorie. Prevede, al momento della dimissione, la stesura di una lettera di dimissione, da allegare a quella ortopedica, che rende conto dell’andamento del ricovero dal punto di vista medico e presenta prescrizioni terapeutiche, inclusa vit D e/o bifosfonati (preceduti da un periodo di carico calcico) e un appuntamento ambulatoriale per la rivalutazione del paziente anziano fragile e la correzione di alcune problematiche non studiabili durante la degenza. Nella pratica clinica la presenza di un team multidisciplinare unico evita la frammentazione delle cure e mantiene una visione globale del paziente fragile con un vantaggio per il paziente in termini di continuità delle cure e di qualità assistenziale (33) (90).
Tra le questioni aperte vi sono la necessità di adottare dei protocolli standardizzati e condivisi da tutte le figure del team multidisciplinare per poter fronteggiare in maniera sistematica alcune problematiche di frequente riscontro come l’antibioticoterapia, la profilassi antitromboembolica e l’utilizzo di emotrasfusioni che dovrebbero essere utilizzate con cautela nel paziente anziano e solo nei casi in cui si instauri un’anemizzazione acuta tale da compromettere i parametri vitali (non solo sulla base dei valori di emoglobina ma anche in base alle comorbidità dell’individuo). Resta inoltre auspicabile la creazione di un percorso precostituito di riabilitazione precoce e intensiva (47) (62).
Inoltre sarebbe importante attuare delle campagne di prevenzione e informazione sull’osteoporosi, come consigliano anche gli specialisti della “Società Italiana dell’Osteoporosi, del Metabolismo Minerale e delle Malattie dello Scheletro” (SIOMMMS) e della “Federazione Italiana Osteoporosi e Malattie dello Scheletro” (FEDIOS), in maniera da sensibilizzare la popolazione alla supplementazione vitaminica e calcica in prima battuta ed eventualmente alla terapia con bifosfonati, dal momento che è emerso che nella popolazione in studio solo una piccola parte dei soggetti assume terapia anti-osteoporotica, anche in seguito ad una prima frattura da fragilità. Purtroppo ad oggi la terapia antiosteoporotica viene ancora percepita come una terapia di scarsa importanza e i recenti dati Istat confermano che è tra le prime terapie ad essere abbandonate (32).
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