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Archivio digitale delle tesi discusse presso l’Università di Pisa

Tesi etd-11242014-212728


Tipo di tesi
Elaborati finali per laurea triennale
Autore
PIAGENTINI, MASSIMILIANO
URN
etd-11242014-212728
Titolo
Il contributo del movimento GLBT italiano alla costruzione di una società più laica, libertaria e non violenta
Dipartimento
GIURISPRUDENZA
Corso di studi
SCIENZE PER LA PACE
Relatori
relatore Paone, Sonia
Parole chiave
  • laicità
  • Movimento GLBT
  • nonviolenza
Data inizio appello
10/11/2014
Consultabilità
Completa
Riassunto
Con questo lavoro, ho cercato di raccontare in che modo il movimento gay, lesbico, bisessuale e transessuale italiano ha contribuito a rendere la nostra società più laica, libertaria e nonviolenta.
Per farlo, ho analizzato i tre aspetti principali che ne hanno caratterizzato l'agire:

- la difesa della laicità dello Stato
- La tutela e l'ampliamento delle libertà individuali
- E, soprattutto, il carattere nonviolento delle lotte.

La tesi si compone di sette capitoli.
In quello iniziale, mi sono occupato delle origini del movimento glbt.
Le prime notizie riguardanti l'attivismo politico della comunità glbt, arrivano da Firenze.
Nel 1512, un gruppo di trenta giovani aristocratici, riuniti sotto il nome di Compagnacci, fece irruzione nel palazzo del governo, costringendo un alto funzionario alle dimissioni e chiedendo che il consiglio comunale abrogasse le condanne di quei sodomiti che erano stati costretti all'esilio o a cui era stato fatto perdere il posto di lavoro a causa della loro omosessualità.
Nel 1432, infatti, era stato creato un corpo di guardie speciali (gli ufficiali di notte), incaricate di occuparsi delle accuse, delle prove e dei processi riguardanti i casi di sodomia. Le denunce contro gli omosessuali venivano presentate anonimamente, infilate in apposite cassette sparse per la città. Una delle vittime più illustri di questo sistema fu Leonardo Da vinci, il quale intratteneva una relazione con il giovane Jacopo Santarelli.
Anche a Lucca, nel 1448, fu istituita una magistratura simile.

Facendo un salto avanti nel tempo, arriviamo all'avvento del fascismo e notiamo che, rispetto al nazismo, viene adottata una strategia diversa contro i gay. Mentre in Germania, sulla base del paragrafo 175 del codice penale (che prevedeva il carcere per gli atti sessuali tra maschi), il nazismo fece arrestare e deportare nei campi di concentramento circa trentamila omosessuali, in Italia fu deciso in un primo tempo (nel 1936, sulla base delle leggi razziali) di prevedere la misura del confino per i gay, in quanto “nemici della razza”. Tre anni dopo, però, ci fu un ripensamento, dovuto alla considerazione che perseguitare un gruppo sociale in quanto gruppo, richiedeva che lo si riconoscesse come tale. Quindi l'omosessualità venne depenalizzata non per indulgenza, ma per dimostrare che gli omosessuali non esistevano: gli italiani erano troppo virili per esserlo. Il controllo e la repressione di questo “problema” fu lasciato alla Chiesa cattolica: un sistema più efficace e meno costoso.

Nel secondo capitolo ho illustrato come e quando il movimento glbt si è manifestato come gruppo politico. A livello internazionale, la realtà glbt appare per la prima volta in America, in un locale gay di New York (il bar Stonewall, nel Greenwich village), nella notte del 28 giugno 1969. E' lì che prende avvio “la rivolta di Stonewall”, ricordata ogni anno in tutto il mondo con i cortei del Pride. Cosa accade? Per la prima volta, gay, lesbiche e trans decidono di ribellarsi ai soprusi della polizia, che frequentemente faceva irruzione nel locale picchiando e schedando i presenti. La rivolta fu generata dal gesto di una diciassettenne transessuale, Silvia Rivera: il lancio di una scarpa col tacco contro uno dei poliziotti. L'uso di quell'”arma” impropria, è l'emblema del carattere atipico e nonviolento che, fin dalle origini, ha caratterizzato l'agire del movimento glbt.
In Italia, sulla scia della rivolta di Stonewall, si verificò la prima uscita pubblica del movimento glbt. Era l'aprile del 1972, e a San Remo il Centro Italiano di sessuologia, un organismo di ispirazione cattolica, aveva organizzato un congresso internazionale sulle devianze sessuali, inserendo nel programma una tavola rotonda e molti interventi specificamente dedicati a cause e terapie dell'omosessualità. Il timore di gay e lesbiche era che l'iniziativa servisse a promuovere un disegno di legge contro l'omosessualità, così com'era già accaduto in Spagna, dove la dittatura franchista, nel 1970, aveva prescritto l'obbligo di cura per questo tipo di “malati” attraverso l'internamento in apposite strutture. Così, la mattina del 5 aprile 1972, organizzarono una clamorosa e inedita contestazione, chiedendo aiuto anche a gruppi glbt di altri paesi. Una protesta decisa, ma allo stesso tempo ironica e gioiosa, per dimostrare che anche nel nostro paese si doveva e poteva lottare a viso aperto contro l'omofobia.

Il capitolo 3, è dedicato al rapporto tra movimento glbt e nonviolenza.
Secondo lo storico e attivista gay Giovanni dall'Orto, il movimento glbt ha scelto di adottare il metodo di lotta nonviolento “per convinzione, non per debolezza”. Ho cercato di dimostrare la veridicità di questa affermazione, raccontando alcuni episodi concreti, ed analizzando il rapporto tra il movimento glbt e il movimento delle donne. Con le femministe, il mondo omosessuale ha condiviso la sperimentazione di pratiche e linguaggi nuovi, alternativi rispetto ai metodi di lotta politica tipici degli anni '70 (ma purtroppo in voga ancora oggi) caratterizzati dal ricorso all'uso della forza, allo scontro fisico e ad un lessico preso in prestito dal mondo militare. L'intento comune era di cambiare una società sessuofobica, fondata sul dominio del maschio, sul familismo e sulla morale cattolica. Nel corso degli anni, il movimento glbt ha avuto più di un'occasione per dimostrare che il proprio agire politico è basato interamente sul pensiero e sul metodo nonviolento. Ad esempio, A Padova, nel 2002, alla vigilia del Pride, gli organizzatori si trovarono stretti da specie di tenaglia: da un lato l'organizzazione di estrema destra “Forza Nuova”, annunciava una contromanifestazione; dall'altro, i Disobbedienti del nord est, ribattevano che avrebbero impedito quel corteo. Gli esponenti del Pride, si liberarono da quella morsa esprimendo pubblicamente il rifiuto della comunità glbt di indossare l'elmetto e guerreggiare:“Ogni tentativo di arruolarci nella logica maschilista della violenza è sempre fallita. La violenza è l'arma dei nostri avversari, del maschio fallocratico, dell'esercito. Noi siamo l'alternativa a questo modo di essere e di pensare. Noi siamo l'altro mondo che è possibile. Un altro mondo in cui non sarà più la violenza a dettare legge, ma la nonviolenza, la ragione e le ragioni degli esseri umani”. Viene espressa in questo modo la convinzione che per perseguire fini giusti, sia necessario adottare mezzi giusti, ossia nonviolenti. Nella storia dell'umanità, invece, si è costantemente trascurato questo rapporto tra mezzi e fini, con la conseguenza che anche certe rivoluzioni, nate per affermare ideali di libertà e giustizia, si sono trasformate in nuovi dispotismi.

Nel capitolo 4 ho descritto come sono nate, in quale contesto storico, e come operano le principali associazioni glbt italiane: Arcigay, Arcilesbica e Movimento di Identità transessuale (Mit).
L'ultima parte del capitolo, è dedicata invece ai gruppi glbt di Movimento, aventi posizioni più radicali rispetto alla politica dei “piccoli passi” portata avanti da Arcigay. Queste associazioni, presero parte nel 2001 al contro vertice del G8 a Genova e, l'anno seguente, alle manifestazioni contro la guerra in Iraq e al Social Forum Europeo di Firenze, dando vita (insieme a numerose sigle glbt europee) al workshop“Gay, lesbiche, trans e neoliberismo”. Da quest'ultimo scaturirono critiche dure e articolate al modello liberista di sviluppo e di società, e la netta opposizione ad ogni guerra, dato che “non c'è differenza tra intervento in Iraq, in Jugoslavia, in Cecenia, quando si sia in grado di vederne le cause reali e gli effetti, che sono sempre morte e distruzione”. Nel documento conclusivo, è resa palese la convinzione che la costruzione di “un altro mondo possibile” passa per l'unione di quanti contestano il modello attuale di società: un'aggregazione tra diversi che oltre ad aumentare la forza della lotta favorisce, allo stesso tempo, un interscambio continuo.

Il capitolo 5 è dedicato alla soggettività transessuale.
Ho cercato di spiegare i concetti di transessualità e di identità di genere, e di illustrare il percorso (molto lungo e impervio, stabilito dalla legge 164/1982), che una persona transessuale deve affrontare per ottenere l'autorizzazione a modificare i propri dati anagrafici in relazione al sesso prescelto. In Italia, a differenza di altri paesi europei, la giurisprudenza maggioritaria non ammette la rettifica dei dati anagrafici (nome e sesso), in assenza dell'intervento di riattribuzione sessuale. Ciò significa che per anni, una persona che ha assunto di fatto i caratteri tipici di una donna, è costretta ad esibire documenti che la presentano come uomo.
Sono molti i casi di transfobia (in questo capitolo ho raccontato quelli originati e alimentati dai mass media), che spesso hanno un epilogo tragico: nel periodo 2008-2013, nel nostro paese le trans uccise sono state ventisei, un numero decisamente superiore a quello delle altre nazioni europee, e che fa dell'Italia il secondo paese per numero di vittime in Europa dopo la Turchia.

Nel capitolo 6 mi sono concentrato sul World Pride di Roma del 2000, un caso che dimostra la capacità del movimento glbt di sperimentare e di trascendere i conflitti con grande creatività
Nonostante fosse stata programmata e annunciata quattro anni prima, la manifestazione rischiò di essere vietata (o fortemente ridimensionata), a causa della concomitanza con il Giubileo della Chiesa cattolica. Il Presidente del Consiglio dell'epoca, Giuliano Amato, intervenendo sul tema nel corso di una seduta della Camera dei Deputati, disse: “purtroppo c'è la Costituzione, che impone vincoli e costituisce diritti”, ma vi è il proposito del Governo di “limitare la manifestazione ad un luogo definito, di isolarla dal resto della città”. Una precisazione che non soddisfò il cardinale Camillo Ruini, Presidente della conferenza episcopale italiana, che sottolineò: “La nostra richiesta continua ad essere che questa manifestazione non si faccia. Se non verrà accolta saremo dispiaciuti e adombrati”. Il contesto era tutt'altro che favorevole, ma il movimento glbt riuscì a entrare in empatia con l'opinione pubblica e a suscitare sostegni significativi. Amos Luzzato, ad esempio, all'epoca presidente dell'Unione delle comunità ebraiche, affermò:“a una frazione minoritaria del paese, da sempre oggetto di discriminazione oggi si contesterebbe il diritto di organizzare, come qualsiasi altro gruppo, una manifestazione nei tempi e nei luoghi prescelti, nel rispetto della Costituzione e delle leggi dello Stato. Esprimiamo la nostra comprensione e solidarietà per questo gruppo umano(...). Nei campi di sterminio (noi con il triangolo giallo, loro con il triangolo rosa), hanno sofferto insieme a noi e con noi quell'indicibile orrore. Sottolineiamo come il rispetto delle minoranze sia sempre stato e e sia oggi più che mai un segnale e una misura dello stato di salute e della democrazia di una società civile”. L'8 luglio del 2000, il corteo che si snodò per le vie di Roma, divenne (e lo è ancora oggi, a distanza di 14 anni) il Pride più partecipato che si sia mai svolto in Italia. Come ebbe modo di scrivere Natalia Aspesi su “La Repubblica” “Duecentomila, un milione, non ha importanza. Perché la folla era comunque immensa, e l'aria era quella di una grande festa di fratellanza, di un oceanico e colorato gioco di solidarietà, di un gigantesco raduno familiare”
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