Tesi etd-11222019-141224 |
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Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale LM5
Autore
DONATO, IVANA
URN
etd-11222019-141224
Titolo
La legge c.d. “Spazzacorrotti”: novità e problematiche nell'assetto del rito penale
Dipartimento
GIURISPRUDENZA
Corso di studi
GIURISPRUDENZA
Relatori
relatore Prof.ssa Galgani, Benedetta
Parole chiave
- legge n. 3/2019
- legge spazzacorrotti
- rito penale
Data inizio appello
09/12/2019
Consultabilità
Completa
Riassunto
Con la legge 9 gennaio 2019, n. 3 sono state introdotte svariate misure, volte ad affrontare il fenomeno corruttivo e, in generale, per assicurare una maggiore efficacia all’azione di contrasto dei reati contro la Pubblica Amministrazione. L’intervento riformatore si propone lo scopo di reprimere un fenomeno criminale suscettibile di alimentare mercati illegali, di alterare i meccanismi della competizione fra imprese e di arrecare un pregiudizio alla collettività, con elevati costi economici e sociali.
Per far fronte a tali gravi manifestazioni criminali, il legislatore è intervenuto su più fronti. Le novità hanno inciso sia sul piano del diritto penale sostanziale, specialmente tramite l’inasprimento delle pene principali e accessorie in relazione a talune specifiche tipologie delittuose; sia sotto il profilo investigativo e processuale, con la modifica di alcune disposizioni del codice di procedura penale e della legge 16 marzo 2006, n. 146, in tema di operazioni sotto copertura.
Il presente lavoro esamina le novità introdotte nell’ambito del rito penale, mettendo in evidenza le diverse problematiche pratico applicative e le incompatibilità costituzionali e convenzionali.
Fra gli argomenti affrontati si segnalano: le intercettazioni tramite il captatore informatico; l’agente sotto copertura; la nuova misura cautelare interdittiva del divieto temporaneo a contrattare con la P.A.; l’applicazione della pena su richiesta delle parti; la confisca senza condanna.
Per la ricerca e il contrasto dei più gravi reati contro la P.A. si ammette il ricorso alle tecniche speciali di investigazione del captatore informatico e dell’agente sotto copertura nel tentativo di equiparare, in termini di pericolosità, il fenomeno mafioso a quello corruttivo, con il rischio di possibili contrasti con i principi costituzionali e processuali.
In particolare, l’estensione anche ai delitti contro la P.A. dei presupposti “attenuati” per l’accesso alle attività di intercettazione, previsti per i reati di criminalità organizzata, incide sui diritti fondamentali dei soggetti indagati e sull’impianto originario del codice di procedura penale, che risulta alterato. Inoltre, l’ampliamento dei poteri d’indagine, attraverso il rinvio ad una disposizione eccezionale, non assicura la piena aderenza al principio di proporzionalità e di legalità.
La disciplina delle operazioni sotto copertura è stata anch’essa estesa ad alcuni delitti contro la Pubblica Amministrazione per facilitare l’assunzione di fonti ed elementi di prova in relazione a reati di difficile accertamento. Va detto, però, che l’utilizzo delle attività undercover in funzione anticorruzione genera il rischio concreto di una deriva delle stesse in attività provocatorie, in violazione dell’art. 6 Cedu sul giusto processo, a causa della peculiarità delle fattispecie delittuose con le quali l’istituto deve relazionarsi.
Le altre modifiche introdotte dalla legge “spazzacorrotti” al codice di rito si traducono in un generale inasprimento della risposta processuale ai fenomeni corruttivi. Nello specifico, è stato arricchito il novero delle misure cautelari interdittive di cui all’art. 289 bis c.p.p. con l’aggiunta di una cautela ad hoc per la categoria dei delitti de quibus, ossia il divieto per l’indagato/imputato di contrattare con l’Amministrazione. L’intento del legislatore è di creare una corrispondenza tra l’irrigidimento del trattamento penale delle condotte di corruttela e i conseguenti riflessi sul versante processuale, rendendone più incisivi ed efficaci i rimedi. Anche la nuova misura cautelare interdittiva presenta delle frizioni con i principi costituzionali, in particolare con l’art. 27, commi 1 e 3 Cost.
Un’ulteriore modifica ha riguardato l’istituto dell’applicazione della pena su richiesta delle parti che ha subito un ridimensionamento dell’effetto premiale, in forza dell’inedito collegamento con l’aggravio delle pene accessorie. Siffatto intervento genera non pochi dubbi interpretativi, poiché stravolge la natura del rito negoziale, che risulta meno appetibile per gli imputati dei reati contro la P.A. e rafforza il ruolo decisorio del giudice, con conseguenti possibili contrasti con l’art. 111 Cost.
In ultimo, l’approccio rigoristico della riforma è rintracciabile nella modifica dell’art. 578 bis c.p.p. cui si aggiunge l’ipotesi della confisca per equivalente ex art. 322 ter c.p. L’interpolazione ha esteso i poteri di accertamento del giudice dell’impugnazione, a fronte dell’estinzione del reato per amnistia o prescrizione, alla decisione sulla confisca allargata o per equivalente di cui all’art. 322 ter c.p., nel caso di condanna o di applicazione della pena per uno dei delitti previsti dagli artt. 314-320 c.p., anche se commessi dai pubblici ufficiali o funzionari stranieri indicati nell’art. 322 bis c.p. Il legislatore intende conferire una maggiore effettività all’azione giudiziaria e potenziare la funzione dissuasiva, generalpreventiva, delle misure ablatorie patrimoniali, come si evince dalla Relazione che accompagna il Disegno di Legge. È evidente come la deminutio patrimonii, al pari della sanzione interdittiva dell’incapacità di contrattare con la P.A., sia più afflittiva rispetto alle pene principali in termini di gravità delle conseguenze ed effettività. L’istituto in parola, per come interpolato, solleva non pochi dubbi di compatibilità con il principio di presunzione di innocenza di cui all’art. 6, paragrafo 2, Cedu e con l’art. 27 comma 2 Cost.
In definitiva, l’approccio fortemente punitivo del legislatore del 2019 pone la necessità di salvaguardare i principi costituzionali di riferimento: funzione rieducativa della pena, determinatezza, proporzionalità, extrema ratio, ragionevolezza, giusto processo. L’esigenza di contrasto al fenomeno corruttivo e le istanze securitarie inevitabilmente condizionano l'ampiezza dei diritti individuali, che però non devono essere totalmente sacrificati, bensì contemperati e bilanciati, in termini di proporzionalità, con le istanze collettive.
Per far fronte a tali gravi manifestazioni criminali, il legislatore è intervenuto su più fronti. Le novità hanno inciso sia sul piano del diritto penale sostanziale, specialmente tramite l’inasprimento delle pene principali e accessorie in relazione a talune specifiche tipologie delittuose; sia sotto il profilo investigativo e processuale, con la modifica di alcune disposizioni del codice di procedura penale e della legge 16 marzo 2006, n. 146, in tema di operazioni sotto copertura.
Il presente lavoro esamina le novità introdotte nell’ambito del rito penale, mettendo in evidenza le diverse problematiche pratico applicative e le incompatibilità costituzionali e convenzionali.
Fra gli argomenti affrontati si segnalano: le intercettazioni tramite il captatore informatico; l’agente sotto copertura; la nuova misura cautelare interdittiva del divieto temporaneo a contrattare con la P.A.; l’applicazione della pena su richiesta delle parti; la confisca senza condanna.
Per la ricerca e il contrasto dei più gravi reati contro la P.A. si ammette il ricorso alle tecniche speciali di investigazione del captatore informatico e dell’agente sotto copertura nel tentativo di equiparare, in termini di pericolosità, il fenomeno mafioso a quello corruttivo, con il rischio di possibili contrasti con i principi costituzionali e processuali.
In particolare, l’estensione anche ai delitti contro la P.A. dei presupposti “attenuati” per l’accesso alle attività di intercettazione, previsti per i reati di criminalità organizzata, incide sui diritti fondamentali dei soggetti indagati e sull’impianto originario del codice di procedura penale, che risulta alterato. Inoltre, l’ampliamento dei poteri d’indagine, attraverso il rinvio ad una disposizione eccezionale, non assicura la piena aderenza al principio di proporzionalità e di legalità.
La disciplina delle operazioni sotto copertura è stata anch’essa estesa ad alcuni delitti contro la Pubblica Amministrazione per facilitare l’assunzione di fonti ed elementi di prova in relazione a reati di difficile accertamento. Va detto, però, che l’utilizzo delle attività undercover in funzione anticorruzione genera il rischio concreto di una deriva delle stesse in attività provocatorie, in violazione dell’art. 6 Cedu sul giusto processo, a causa della peculiarità delle fattispecie delittuose con le quali l’istituto deve relazionarsi.
Le altre modifiche introdotte dalla legge “spazzacorrotti” al codice di rito si traducono in un generale inasprimento della risposta processuale ai fenomeni corruttivi. Nello specifico, è stato arricchito il novero delle misure cautelari interdittive di cui all’art. 289 bis c.p.p. con l’aggiunta di una cautela ad hoc per la categoria dei delitti de quibus, ossia il divieto per l’indagato/imputato di contrattare con l’Amministrazione. L’intento del legislatore è di creare una corrispondenza tra l’irrigidimento del trattamento penale delle condotte di corruttela e i conseguenti riflessi sul versante processuale, rendendone più incisivi ed efficaci i rimedi. Anche la nuova misura cautelare interdittiva presenta delle frizioni con i principi costituzionali, in particolare con l’art. 27, commi 1 e 3 Cost.
Un’ulteriore modifica ha riguardato l’istituto dell’applicazione della pena su richiesta delle parti che ha subito un ridimensionamento dell’effetto premiale, in forza dell’inedito collegamento con l’aggravio delle pene accessorie. Siffatto intervento genera non pochi dubbi interpretativi, poiché stravolge la natura del rito negoziale, che risulta meno appetibile per gli imputati dei reati contro la P.A. e rafforza il ruolo decisorio del giudice, con conseguenti possibili contrasti con l’art. 111 Cost.
In ultimo, l’approccio rigoristico della riforma è rintracciabile nella modifica dell’art. 578 bis c.p.p. cui si aggiunge l’ipotesi della confisca per equivalente ex art. 322 ter c.p. L’interpolazione ha esteso i poteri di accertamento del giudice dell’impugnazione, a fronte dell’estinzione del reato per amnistia o prescrizione, alla decisione sulla confisca allargata o per equivalente di cui all’art. 322 ter c.p., nel caso di condanna o di applicazione della pena per uno dei delitti previsti dagli artt. 314-320 c.p., anche se commessi dai pubblici ufficiali o funzionari stranieri indicati nell’art. 322 bis c.p. Il legislatore intende conferire una maggiore effettività all’azione giudiziaria e potenziare la funzione dissuasiva, generalpreventiva, delle misure ablatorie patrimoniali, come si evince dalla Relazione che accompagna il Disegno di Legge. È evidente come la deminutio patrimonii, al pari della sanzione interdittiva dell’incapacità di contrattare con la P.A., sia più afflittiva rispetto alle pene principali in termini di gravità delle conseguenze ed effettività. L’istituto in parola, per come interpolato, solleva non pochi dubbi di compatibilità con il principio di presunzione di innocenza di cui all’art. 6, paragrafo 2, Cedu e con l’art. 27 comma 2 Cost.
In definitiva, l’approccio fortemente punitivo del legislatore del 2019 pone la necessità di salvaguardare i principi costituzionali di riferimento: funzione rieducativa della pena, determinatezza, proporzionalità, extrema ratio, ragionevolezza, giusto processo. L’esigenza di contrasto al fenomeno corruttivo e le istanze securitarie inevitabilmente condizionano l'ampiezza dei diritti individuali, che però non devono essere totalmente sacrificati, bensì contemperati e bilanciati, in termini di proporzionalità, con le istanze collettive.
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