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Archivio digitale delle tesi discusse presso l’Università di Pisa

Tesi etd-11222017-095340


Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale LM5
Autore
RICCIATO, CHIARA
URN
etd-11222017-095340
Titolo
L'evoluzione della disciplina delle società a partecipazione pubblica a seguito della Riforma Madia
Dipartimento
GIURISPRUDENZA
Corso di studi
GIURISPRUDENZA
Relatori
relatore Prof. Vuoto, Salvatore
Parole chiave
  • decreto legislativo 175/2016
  • concordato preventivo
  • fallimento
  • ente pubblico
  • partecipazioni pubbliche
  • razionalizzazione
  • limite di attività
  • limite di scopo
  • Riforma Madia
  • legge
  • Regione Toscana
  • decreto legislativo 100/2017
Data inizio appello
11/12/2017
Consultabilità
Completa
Riassunto
La prima metà del ‘900 è segnata dal dirigismo economico, dove l’intervento dello Stato imprenditore nell’economia privilegiava le forme pubblicistiche dell’ente economico a discapito delle forme societarie private.
Dopo la seconda guerra mondiale emerge la volontà da parte degli Stati europei di concentrare la propria presenza nell’economia al fine di meglio controllare il processo di ricostruzione post bellica. I servizi ritenuti essenziali o strategici per la ricostruzione economica del Paese venivano affidati a grandi imprese, generalmente monopolistiche, che si trovavano sotto il controllo statale.
Nel 1957, infatti, con la nascita della Comunità Economica Europea, gli Stati fondatori (Germania, Francia, Italia, Olanda, Belgio e Lussemburgo) si impegnarono a dirigere e controllare il processo di ricostruzione post bellica.
In questo contesto si spiega la stesura dell’art. 90 del Trattato di Roma, diventato successivamente l’art.86 TUE, considerato di primaria importanza per la disciplina della concorrenza tra imprese sia pubbliche che private. Questa disposizione è diventata, attualmente, grazie al ruolo ricoperto dalla Commissione europea nell’ambito del processo di liberalizzazione, il più importante strumento di liberalizzazione e di controllo dei rapporti di trasparenza tra Stato e imprese. Negli ultimi due decenni, infatti, l’intervento diretto dello Stato nella fornitura di beni e servizi si è fortemente ridotto in tutta l’Unione Europea e il processo di privatizzazione dell’economia ha fortemente ridotto il peso statale nell’ambito del settore dei pubblici servizi.
Essendo la politica della concorrenza uno dei principi cardine dell’intero ordinamento comunitario, gli estensori del trattato si resero conto che né la regolamentazione rivolta esclusivamente alle imprese, né quella rivolta agli stati, sarebbe stata in grado di regolamentare la categoria delle imprese pubbliche che rappresenta un ibrido tra le imprese private e gli enti pubblici. Il vecchio articolo 90 del Trattato di Roma, fu introdotto per dare una regolamentazione all’area grigia in cui confluivano gli interessi statali in ambito economico.
Il vecchio articolo 90.1, diventato l’art. 86 TUE, prevede che “Gli Stati membri non emanano né mantengono, nei confronti delle imprese pubbliche e delle imprese cui riconoscono diritti speciali o esclusivi, alcuna misura contraria alle norme del presente trattato”. Ciò rappresenta uno strumento attraverso il quale il legislatore comunitario sembra aver posto un freno alla crescita dell’intervento pubblico nell’economia.
Una prima definizione di diritto esclusivo o speciale l’ha data la Corte di Giustizia nel caso British-Telecom del 1996, dicendo che “si tratta di diritti conferiti dagli Stati alle imprese e che incidono sulla capacità di altre imprese di fornire servizi di telecomunicazione sullo stesso territorio in condizioni sostanzialmente equivalenti”. Ma la Commissione europea ha, poi, in una direttiva, specificato cosa debba intendersi esattamente con diritto speciale e diritto esclusivo:
- “un diritto esclusivo è il diritto che è concesso da uno Stato ad un’impresa attraverso ogni misura legislativa, amministrativa o regolamentare, che riservi ad essa il diritto di esercitare un servizio di telecomunicazioni o di intraprendere una attività all’interno di una determinata aera geografica”;
- “un diritto speciale è un diritto concesso da uno Stato membro ad un numero limitato di imprese mediante ogni strumento legislativo, regolamentare o amministrativo che, all’interno di una determinata area geografica, limita a due o più il numero di dette imprese, sulla base di criteri non aventi caratteristiche di obiettività, proporzionalità e non discriminazione, o designa, non conformandosi a tali criteri, numerose imprese in concorrenza, o conferisce a ciascuna impresa, non conformandosi a detti criteri, vantaggi legali o regolamentari che influiscono sostanzialmente sulla capacità di qualsiasi altra impresa di impegnarsi in una delle attività (rilevanti) nella stessa area geografica in condizioni sostanzialmente equivalenti” .
L’art. 86.2 TUE, che era precedentemente l’art.90.2 del Trattato di Roma, stabilisce che “le imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale o aventi carattere di monopolio fiscale sono sottoposte alle norme del presente trattato e alle regole della concorrenza, nei limiti in cui ciò non osti all’adempimento della missione loro affidata”. Sostanzialmente gli Stati sono sì liberi di organizzare e disciplinare i servizi pubblici a carattere commerciale, ma nel rispetto dei limiti imposti dal Trattato e specificamente delle regole sulla concorrenza.
Come dicevo prima, l’art. 90 era rimasto per lungo tempo inapplicato, prima di tornare alla ribalta negli anni ’90 del ‘900, quando, sempre su impulso dell’Unione Europea, ha preso avvio il processo di liberalizzazione dei servizi pubblici, che erano precedentemente gestiti in regime monopolistico. L’appartenenza al sistema dell’Unione ha anche accelerato il processo di privatizzazione, che ha segnato il passaggio da un sistema di economia mista ad una economia sostanzialmente privatizzata, dove lo Stato diventa perlopiù regolatore.
Ci si rende conto che solo in condizioni di piena concorrenza i consumatori e le imprese possono trarre il massimo beneficio dalla realizzazione del mercato unico europeo. La privatizzazione e la regolamentazione di un settore sono fondamentali per trasformare il monopolio in regime di concorrenza.
Con la privatizzazione l’ente pubblico monopolista viene trasformato in società per azioni oppure in società a responsabilità limitata e le sue quote azionarie vengono vendute agli investitori privati.
La regolamentazione, invece, consiste nell’imposizione di regole tese a correggere il potere monopolistico, e questa imposizione è tanto più marcata quanto più forte sarà la volontà di correzione dei meccanismi di mercato. Essa è utile per ottenere una migliore allocazione delle risorse, per assicurare l’efficienza del servizio universale di pubblica utilità, per promuovere lo sviluppo industriale e il potenziamento dei settori strategici. Quando l’incompatibilità fra l’interesse pubblico e gli scopi di profitto delle imprese private non può essere sanata con la regolamentazione, ecco che i poteri pubblici avvertono l’esigenza di intervenire direttamente nell’economia. Tuttavia, la scelta fra regolamentazione ed intervento diretto tramite l’impresa pubblica non è mai netta né alternativa, in quanto si possono verificare casi di imprese pubbliche comunque soggette alla forte regolamentazione dei mercati. Difatti, l’intervento pubblico sotto forma di proprietà pubblica dell’attività di produzione ed erogazione di beni e servizi, rappresenta storicamente la principale forma di regolamentazione dell’attività economica in Europa.
Ma la regolamentazione si avvale anche di altri strumenti, ad esempio l’autoregolamentazione, che affida direttamente agli operatori privati il compito di garantire il rispetto delle regole, oppure la concessione ad imprese private dell’esercizio di fornitura del servizio pubblico.
Le forme organizzative dell’impresa pubblica possono essere:
- L’azienda autonoma, con cui la Pubblica Amministrazione assume la forma di impresa di produzione ed opera con un proprio bilancio;
- L’ente pubblico economico, che è dotato di propria personalità giuridica, proprio patrimonio e propri dipendenti;
- La partecipazione minoritaria dello Stato nelle imprese private, attraverso la quale il Governo esercita un controllo sugli indirizzi della gestione.

La vertiginosa crescita delle società a partecipazione pubblica, la varietà di attività interessate e di obiettivi perseguiti, ha richiamato l’interesse del legislatore che ha avvertito l’esigenza di dare regolamentazione a questo sempre più imponente fenomeno.
La specialità delle società a partecipazione pubblica, infatti, ha finito per aggredire gli stessi tipi societari privati, in particolare le società per azioni, mettendone in discussione la stessa natura.
Il tema della partecipazione dello Stato nell’impresa privata ha trovato una regolamentazione organica con il decreto legislativo n. 175/2016, in tema di società a partecipazione pubblica. Questo decreto segnerebbe il punto di arrivo del processo di riordino delle società a partecipazione pubblica. L’esigenza di razionalizzazione viene evidenziata nella stessa introduzione allo schema di decreto, che si propone di superare la frammentarietà del quadro normativo precedente in tema di società pubbliche.
Il decreto n. 175/2016 è uno dei decreti attuativi del più ampio progetto di riforma della Legge Madia, la Legge n. 124/2015. Il principio guida che ha ispirato l’esercizio della delega è stato quello di assoggettare lo statuto delle società a partecipazione pubblica alla disciplina civilistica, considerando le relative deroghe strettamente necessarie al perseguimento dell’interesse pubblico. In sostanza, deroghe al diritto societario privato sarebbero giustificate solo in presenza di interessi pubblici, e di questo si occupa il testo del decreto legislativo in questione.
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