Tesi etd-11162022-102329 |
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Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale LM5
Autore
DI RIENZO, ELEONORA
URN
etd-11162022-102329
Titolo
Udienza preliminare minorile: non filtro, ma fulcro del processo penale
Dipartimento
GIURISPRUDENZA
Corso di studi
GIURISPRUDENZA
Relatori
relatore Prof.ssa Bonini, Valentina
Parole chiave
- giustizia penale minorile
- giustizia riparativa
- irrelevance of the fact
- irrilevanza del fatto
- juvenile criminal justice
- juvenile criminal trial
- messa alla prova
- minima offensività
- minimum offensiveness
- minori
- minors
- pardon
- perdono giudiziale
- preliminary hearing
- probation
- processo penale minorile
- restorative justice
- udienza preliminare minorile
Data inizio appello
05/12/2022
Consultabilità
Tesi non consultabile
Riassunto
Il processo penale minorile è disciplinato dal d.P.R. n. 448 del 1988, ma la sua genesi risale a un tempo lontano: la giustizia penale minorile si è spinta verso un luogo distinto da quella ordinaria nel momento in cui è maturata la consapevolezza della peculiare personalità in formazione dei minorenni. Dalle prime istituzioni assistenziali e correzionali alla creazione dei giudici minorili, il percorso è culminato nella ricerca – giurisprudenziale, internazionale e normativa – di una risposta all’ormai sempre più avvertita necessità di dar vita al “Codice del processo penale minorile”. Peraltro, la scissione della giustizia minorile non ha relegato quest’ultima ad una nicchia dimenticata, bensì ha finito per costituire nel tempo fertile bacino di sperimentazione di istituti di nuovo conio, come quelli vicini all’area della giustizia penale riparativa, oggetto, tra gli altri, dei recenti interventi nell’ambito della c.d. Riforma Cartabia.
L’articolato del d.P.R. n. 448/1988 individua i principi della giustizia penale minorile. Ponendo al centro la figura dell’indagato-imputato, il legislatore configura un’unità processuale complessa, composta da difensore specializzato, servizi sociali, genitore ed esercente la responsabilità genitoriale, per assistere il minore durante tutto l’arco processuale. La norma di apertura enuncia il principio che consente di attenzionare sia la condizione minorile in generale (adeguatezza normativa), sia la realtà del singolo imputato minorenne attraverso l’applicazione delle disposizioni “in modo adeguato alla personalità e alle esigenze educative” (adeguatezza applicativa). A ben vedere, il d.P.R. n. 448/1988 è costellato di menzioni a “personalità ed esigenze educative”: ciò sollecita una percezione di ambiguità vocazionale del rito minorile, a tutto vantaggio dell’orientamento dottrinale che propende verso una finalizzazione educativa della giustizia minorile. Il processo penale minorile può diventare occasione educativa? Oppure deve rimanere legato all’ordinaria funzione di accertamento? O ancora, è possibile individuare un giusto mezzo riconoscendo una natura mista al processo penale minorile, che non rinneghi lo strumento processuale quale è e al contempo cavalcarne un’attitudine responsabilizzante? Questi interrogativi rappresentano nient’altro che il perpetuo dilemma della giustizia penale minorile, in cerca di un equilibrio nel principio di minima offensività, centro nevralgico dell’intero sistema.
Se la minima offensività trova massima espressione nelle attività procedimentali delle misure cautelari, nella globalità del rito si esprime secondo il principio di residualità del processo. Tuttavia, quand’anche l’apertura del processo sia inevitabile, il legislatore ha predisposto che il minore lasci il circuito giudiziario il prima possibile modellando, in particolare, l’udienza preliminare che nel rito minorile viene arricchita di caratteristiche funzionali ad individualizzare le modalità operative e riconoscere il protagonismo del giovane imputato, chiamato a prestare il proprio consenso alla definizione del procedimento in quella sede (dunque in una fase anticipata rispetto all’ordinario dibattimento). Ampio è il parterre di pronunce, pensate ad hoc per l’ordinamento minorile, a disposizione del gup minorile (non a caso collegiale, con una prevalente componente onoraria di esperti): condanna a pena pecuniaria o sanzione sostitutiva (art. 32 comma 2); non luogo a procedere per difetto di imputabilità (art. 26); perdono giudiziale (art. 169 c.p.); non luogo a procedere per irrilevanza del fatto (art. 27); non luogo a procedere per esito positivo della prova (artt. 28-29). In questo modo, l’udienza preliminare minorile si differenzia dal ruolo di filtro e garanzia che ricopre nel processo ordinario, divenendo fisiologica piattaforma di definizione nel merito, al termine dello svolgimento di un “processo del fatto e della personalità” celebrato secondo i canoni della Giustizia Penale Minorile.
The juvenile criminal trial is governed by d.P.R. n. 448/1988, but its origins are far back in time: juvenile criminal justice has moved towards a different place from the ordinary one with the awareness of minors’ particular condition, whose personality is still being formed. From the foundation of the first welfare and correctional institutions to the creation of the first Juvenile Courts, the process has culminated in the jurisprudential, international and normative research of the answer to the increasingly felt need to create of the “Juvenile Criminal Trial Code”. Furthermore, the division of juvenile criminal justice has not relegated the latter to a forgotten niche, but rather ended up being a fertile breeding ground for experimentation of new law institutes, such as the ones near to Restorative Justice, that has been, among others, object of the recent actions of “Riforma Cartabia”.
The d.P.R. n. 448/1988 identifies the juvenile criminal justice principles. Focusing on the suspected or accused person, the lawmaker sets up a complex procedural team, composed by the specialized lawyer, social services, parents and other subjects holding parental responsability, to care about the minor throughout the entire trial. The opening paragraph states the principle that pays attention to both the juvenile status in general (normative adequacy) and the individual child involved’s particular condition by the application of the provisions “properly to personality and educational needs” (applicative adequacy). At a closer look, the whole d.P.R. n. 448/1988 is full of mentions of “personality and educational needs”: this calls for a feeling of functional ambiguity, to the advantage of those who lean towards an educational purpose. Can the juvenile criminal trial become an educational opportunity? Or should it remain tied to the ordinary function of assessment? Is it possible to identify a middle way by recognizing a mixed nature to the trial? These questions represent nothing more than the perpetual dilemma of juvenile criminal justice, in search of a balance in the principle of minimum offensiveness, the core of the whole system.
If the minimum offensiveness finds maximum expression in the procedural activities of the precautionary measures, in the totality of the process it expresses itself as the principle of residual celebration trial. However, even when the trial cannot be avoided, the lawmaker has arranged for the child to leave the judicial circuit as soon as possible. This has been done by shaping the preliminary hearing, which in the juvenile criminal trial is supplemented with features to individualize the operating modes and to recognize the protagonism of the young accused, who is requested to give his consent to the definition of the trial in that procedural phase (therefore at an earlier stage than the ordinary trial). The parterre of formulas, available to the juvenile court (collegial, with a member of experts) and specifically designed for the juvenile system, is wide: sentence of pecuniary or alternative penalty (art. 32.2); judgment not to proceed for lack of imputability (art. 26); pardon (art. 169 c.p.); judgment not to proceed for irrelevance of the fact (art. 27); judgment not to proceed for positive result of probation (artt. 28-29). In this way, the juvenile preliminary hearing differs from the ordinary role of filter and guarantee, becoming a physiological platform of merit definition, at the end of a trial about fact and personality held according to the rules of Juvenile Criminal Justice.
L’articolato del d.P.R. n. 448/1988 individua i principi della giustizia penale minorile. Ponendo al centro la figura dell’indagato-imputato, il legislatore configura un’unità processuale complessa, composta da difensore specializzato, servizi sociali, genitore ed esercente la responsabilità genitoriale, per assistere il minore durante tutto l’arco processuale. La norma di apertura enuncia il principio che consente di attenzionare sia la condizione minorile in generale (adeguatezza normativa), sia la realtà del singolo imputato minorenne attraverso l’applicazione delle disposizioni “in modo adeguato alla personalità e alle esigenze educative” (adeguatezza applicativa). A ben vedere, il d.P.R. n. 448/1988 è costellato di menzioni a “personalità ed esigenze educative”: ciò sollecita una percezione di ambiguità vocazionale del rito minorile, a tutto vantaggio dell’orientamento dottrinale che propende verso una finalizzazione educativa della giustizia minorile. Il processo penale minorile può diventare occasione educativa? Oppure deve rimanere legato all’ordinaria funzione di accertamento? O ancora, è possibile individuare un giusto mezzo riconoscendo una natura mista al processo penale minorile, che non rinneghi lo strumento processuale quale è e al contempo cavalcarne un’attitudine responsabilizzante? Questi interrogativi rappresentano nient’altro che il perpetuo dilemma della giustizia penale minorile, in cerca di un equilibrio nel principio di minima offensività, centro nevralgico dell’intero sistema.
Se la minima offensività trova massima espressione nelle attività procedimentali delle misure cautelari, nella globalità del rito si esprime secondo il principio di residualità del processo. Tuttavia, quand’anche l’apertura del processo sia inevitabile, il legislatore ha predisposto che il minore lasci il circuito giudiziario il prima possibile modellando, in particolare, l’udienza preliminare che nel rito minorile viene arricchita di caratteristiche funzionali ad individualizzare le modalità operative e riconoscere il protagonismo del giovane imputato, chiamato a prestare il proprio consenso alla definizione del procedimento in quella sede (dunque in una fase anticipata rispetto all’ordinario dibattimento). Ampio è il parterre di pronunce, pensate ad hoc per l’ordinamento minorile, a disposizione del gup minorile (non a caso collegiale, con una prevalente componente onoraria di esperti): condanna a pena pecuniaria o sanzione sostitutiva (art. 32 comma 2); non luogo a procedere per difetto di imputabilità (art. 26); perdono giudiziale (art. 169 c.p.); non luogo a procedere per irrilevanza del fatto (art. 27); non luogo a procedere per esito positivo della prova (artt. 28-29). In questo modo, l’udienza preliminare minorile si differenzia dal ruolo di filtro e garanzia che ricopre nel processo ordinario, divenendo fisiologica piattaforma di definizione nel merito, al termine dello svolgimento di un “processo del fatto e della personalità” celebrato secondo i canoni della Giustizia Penale Minorile.
The juvenile criminal trial is governed by d.P.R. n. 448/1988, but its origins are far back in time: juvenile criminal justice has moved towards a different place from the ordinary one with the awareness of minors’ particular condition, whose personality is still being formed. From the foundation of the first welfare and correctional institutions to the creation of the first Juvenile Courts, the process has culminated in the jurisprudential, international and normative research of the answer to the increasingly felt need to create of the “Juvenile Criminal Trial Code”. Furthermore, the division of juvenile criminal justice has not relegated the latter to a forgotten niche, but rather ended up being a fertile breeding ground for experimentation of new law institutes, such as the ones near to Restorative Justice, that has been, among others, object of the recent actions of “Riforma Cartabia”.
The d.P.R. n. 448/1988 identifies the juvenile criminal justice principles. Focusing on the suspected or accused person, the lawmaker sets up a complex procedural team, composed by the specialized lawyer, social services, parents and other subjects holding parental responsability, to care about the minor throughout the entire trial. The opening paragraph states the principle that pays attention to both the juvenile status in general (normative adequacy) and the individual child involved’s particular condition by the application of the provisions “properly to personality and educational needs” (applicative adequacy). At a closer look, the whole d.P.R. n. 448/1988 is full of mentions of “personality and educational needs”: this calls for a feeling of functional ambiguity, to the advantage of those who lean towards an educational purpose. Can the juvenile criminal trial become an educational opportunity? Or should it remain tied to the ordinary function of assessment? Is it possible to identify a middle way by recognizing a mixed nature to the trial? These questions represent nothing more than the perpetual dilemma of juvenile criminal justice, in search of a balance in the principle of minimum offensiveness, the core of the whole system.
If the minimum offensiveness finds maximum expression in the procedural activities of the precautionary measures, in the totality of the process it expresses itself as the principle of residual celebration trial. However, even when the trial cannot be avoided, the lawmaker has arranged for the child to leave the judicial circuit as soon as possible. This has been done by shaping the preliminary hearing, which in the juvenile criminal trial is supplemented with features to individualize the operating modes and to recognize the protagonism of the young accused, who is requested to give his consent to the definition of the trial in that procedural phase (therefore at an earlier stage than the ordinary trial). The parterre of formulas, available to the juvenile court (collegial, with a member of experts) and specifically designed for the juvenile system, is wide: sentence of pecuniary or alternative penalty (art. 32.2); judgment not to proceed for lack of imputability (art. 26); pardon (art. 169 c.p.); judgment not to proceed for irrelevance of the fact (art. 27); judgment not to proceed for positive result of probation (artt. 28-29). In this way, the juvenile preliminary hearing differs from the ordinary role of filter and guarantee, becoming a physiological platform of merit definition, at the end of a trial about fact and personality held according to the rules of Juvenile Criminal Justice.
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