Tesi etd-11152013-075142 |
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Tipo di tesi
Tesi di laurea specialistica LC6
Autore
MITTERHUBER, ELENA
URN
etd-11152013-075142
Titolo
Le aritmie ventricolari nei pazienti con scompenso cardiaco
Dipartimento
RICERCA TRASLAZIONALE E DELLE NUOVE TECNOLOGIE IN MEDICINA E CHIRURGIA
Corso di studi
MEDICINA E CHIRURGIA
Relatori
relatore Prof. Mariotti, Rita
Parole chiave
- aritmie ventricolari
- icd
- scompenso cardiaco
Data inizio appello
03/12/2013
Consultabilità
Completa
Riassunto
L' insufficienza cardiaca è una delle malattie croniche più diffuse nella popolazione generale, in relazione sia al fatto che rappresenta la naturale evoluzione di gran parte delle patologie cardiache, sia perché il trend epidemiologico è direttamente correlato all’età della popolazione globale in costante aumento.
La morte cardiaca improvvisa è un rischio in cui i pazienti scompensati possono incorrere, in relazione allo svilupparsi di aritmie ventricolari direttamente correlate alle modificazioni della struttura cardiaca, che si verificano nel corso dello stesso scompenso. A sua volta la morte improvvisa può essere la manifestazione iniziale di numerose patologie cardiache5, oltre che la causa di decesso nei pazienti con malattia cardiaca nota e clinicamente avanzata: si configura quindi come un importante problema sociale. Molti studi sono quindi stati messi in atto negli ultimi decenni al fine di ottenere mezzi per una corretta prevenzione primaria e secondaria.
Il cardiodefibrillatore impiantabile (ICD) è stato utilizzato fin dagli anni ‘70 nei pazienti con scompenso cardiaco in associazione alla terapia farmacologica al fine di ridurre il rischio di aritmie ventricolari potenzialmente fatali in questi pazienti e di conseguenza prevenire la morte cardiaca improvvisa. Nel corso dei vari studi condotti per valutarne l’efficacia sono spesso insorte opinioni discordanti sul loro impatto prognostico, infatti, nonostante sia in grado di interrompere con molta efficacia le aritmie ventricolari, vi è un importante rischio di erogazione di shock inappropriati e un peggioramento della qualità di vita del paziente dovuta a un intensa sintomatologia correlata all’erogazione di shock. Allo stesso modo importanti sviluppi sono stati fatti per quanto riguarda la linee guida per l’impianto degli ICD in prevenzione primaria e secondaria. Questa tesi ha cercato di studiare l’incidenza di aritmie ventricolari nel paziente con scompenso cardiaco e dimostrare l’efficacia degli ICD nel trattamento di queste aritmie e conseguentemente nella prevenzione della morte cardiaca improvvisa.
Lo studio ha preso in esame 120 pazienti portatori di ICD in prevenzione primaria o secondaria. Di questi 79 erano portatori di ICD bi ventricolare (CRT-D) e 41 di ICD monocamerale. Sono state considerate le caratteristiche anamnestiche, cliniche, bioumorali, ecocardiografiche e la terapia seguita dai pazienti. Inoltre abbiamo analizzato le differenze tra i pazienti con ICD o CRT D, e tra i pazienti che hanno presentato o meno un intervento del dispositivo. Gli episodi aritmici sono stati ricercati a posteriori, mediante l’interrogazione dell’ICD. Ne è risultato che 42 pazienti, corrispondenti al 35% della popolazione in esame, ha sperimentato un episodio aritmico ventricolare che ha richiesto l’intervento del Device. Questo a testimonianza di quanto le aritmie ventricolari continuino ad essere comuni nei pazienti con scompenso cardiaco, nonostante una terapia farmacologica ottimale, e di come l’ICD rappresenti una concreta possibilità di salvezza per questi pazienti. Indipendentemente da tipo di dispositivo i pazienti con EDV peggiore hanno avuto il maggior numero di episodi aritmici e quindi di interventi. Questo a riprova del fatto che la persistenza di un elevato volume telediastolico ventricolare aumenta il rischio aritmogeno, in relazione all’influenza sul rimodellamento cardiaco. Abbiamo potuto confermare l’efficacia della terapia di resincronizzazione (CRT D) nel miglioramento della funzione cardiaca, infatti in questi pazienti la frazione d’eiezione è risultata migliore rispetto ai pazienti con ICD monocamerale. Peggiori sono invece risultate l’EDV e la PAPs, ma questo è da imputare probabilmente ad una maggiore compromissione basale dei pazienti che ha richiesto la resincronizzazione. Negli stessi pazienti in cui è stato impiantato un CRT D, il numero di interventi del dispositivo è risultato minore rispetto a coloro che avevano l’ICD monocamerale; ne deriva un sostanziale beneficio della resincronizzazione nel diminuire la probabilità di aritmogenesi. Dal punto di vista clinico sono emerse differenze rilevanti per quanto riguarda l’evoluzione della classe NYHA durante il periodo di follow up: abbiamo assistito infatti ad un miglioramento nei pazienti senza interventi, al contrario un peggioramento in presenza di interventi. L’EDV è stato identificato come l’unico fattore predittivo di un maggior rischio di aritmie ventricolari, questo in relazione al contributo che questo parametro ha nel rimodellamento cardiaco. Non abbiamo identificato altri parametri ecocardiografici (TAPSE o PAPs) o bio umorali ( elettroliti, funzionalità renale) che potevano predire un’aumentata tendenza all’aritmogenesi. Per quanto riguarda la terapia tutti i pazienti facevano una terapia ottimale contro lo scompenso cardiaco, infatti, quasi la totalità dei pazienti al momento dello studio era in terapia con beta bloccanti.
La morte cardiaca improvvisa è un rischio in cui i pazienti scompensati possono incorrere, in relazione allo svilupparsi di aritmie ventricolari direttamente correlate alle modificazioni della struttura cardiaca, che si verificano nel corso dello stesso scompenso. A sua volta la morte improvvisa può essere la manifestazione iniziale di numerose patologie cardiache5, oltre che la causa di decesso nei pazienti con malattia cardiaca nota e clinicamente avanzata: si configura quindi come un importante problema sociale. Molti studi sono quindi stati messi in atto negli ultimi decenni al fine di ottenere mezzi per una corretta prevenzione primaria e secondaria.
Il cardiodefibrillatore impiantabile (ICD) è stato utilizzato fin dagli anni ‘70 nei pazienti con scompenso cardiaco in associazione alla terapia farmacologica al fine di ridurre il rischio di aritmie ventricolari potenzialmente fatali in questi pazienti e di conseguenza prevenire la morte cardiaca improvvisa. Nel corso dei vari studi condotti per valutarne l’efficacia sono spesso insorte opinioni discordanti sul loro impatto prognostico, infatti, nonostante sia in grado di interrompere con molta efficacia le aritmie ventricolari, vi è un importante rischio di erogazione di shock inappropriati e un peggioramento della qualità di vita del paziente dovuta a un intensa sintomatologia correlata all’erogazione di shock. Allo stesso modo importanti sviluppi sono stati fatti per quanto riguarda la linee guida per l’impianto degli ICD in prevenzione primaria e secondaria. Questa tesi ha cercato di studiare l’incidenza di aritmie ventricolari nel paziente con scompenso cardiaco e dimostrare l’efficacia degli ICD nel trattamento di queste aritmie e conseguentemente nella prevenzione della morte cardiaca improvvisa.
Lo studio ha preso in esame 120 pazienti portatori di ICD in prevenzione primaria o secondaria. Di questi 79 erano portatori di ICD bi ventricolare (CRT-D) e 41 di ICD monocamerale. Sono state considerate le caratteristiche anamnestiche, cliniche, bioumorali, ecocardiografiche e la terapia seguita dai pazienti. Inoltre abbiamo analizzato le differenze tra i pazienti con ICD o CRT D, e tra i pazienti che hanno presentato o meno un intervento del dispositivo. Gli episodi aritmici sono stati ricercati a posteriori, mediante l’interrogazione dell’ICD. Ne è risultato che 42 pazienti, corrispondenti al 35% della popolazione in esame, ha sperimentato un episodio aritmico ventricolare che ha richiesto l’intervento del Device. Questo a testimonianza di quanto le aritmie ventricolari continuino ad essere comuni nei pazienti con scompenso cardiaco, nonostante una terapia farmacologica ottimale, e di come l’ICD rappresenti una concreta possibilità di salvezza per questi pazienti. Indipendentemente da tipo di dispositivo i pazienti con EDV peggiore hanno avuto il maggior numero di episodi aritmici e quindi di interventi. Questo a riprova del fatto che la persistenza di un elevato volume telediastolico ventricolare aumenta il rischio aritmogeno, in relazione all’influenza sul rimodellamento cardiaco. Abbiamo potuto confermare l’efficacia della terapia di resincronizzazione (CRT D) nel miglioramento della funzione cardiaca, infatti in questi pazienti la frazione d’eiezione è risultata migliore rispetto ai pazienti con ICD monocamerale. Peggiori sono invece risultate l’EDV e la PAPs, ma questo è da imputare probabilmente ad una maggiore compromissione basale dei pazienti che ha richiesto la resincronizzazione. Negli stessi pazienti in cui è stato impiantato un CRT D, il numero di interventi del dispositivo è risultato minore rispetto a coloro che avevano l’ICD monocamerale; ne deriva un sostanziale beneficio della resincronizzazione nel diminuire la probabilità di aritmogenesi. Dal punto di vista clinico sono emerse differenze rilevanti per quanto riguarda l’evoluzione della classe NYHA durante il periodo di follow up: abbiamo assistito infatti ad un miglioramento nei pazienti senza interventi, al contrario un peggioramento in presenza di interventi. L’EDV è stato identificato come l’unico fattore predittivo di un maggior rischio di aritmie ventricolari, questo in relazione al contributo che questo parametro ha nel rimodellamento cardiaco. Non abbiamo identificato altri parametri ecocardiografici (TAPSE o PAPs) o bio umorali ( elettroliti, funzionalità renale) che potevano predire un’aumentata tendenza all’aritmogenesi. Per quanto riguarda la terapia tutti i pazienti facevano una terapia ottimale contro lo scompenso cardiaco, infatti, quasi la totalità dei pazienti al momento dello studio era in terapia con beta bloccanti.
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