Tesi etd-11152012-122704 |
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Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale
Autore
CAMPANI, LUCA
URN
etd-11152012-122704
Titolo
Dibattito interno alla scuola realista delle Relazioni Internazionali: teoria difensiva o teoria offensiva, quale strada seguira il futuro della politica mondiale?
Dipartimento
SCIENZE POLITICHE
Corso di studi
STUDI INTERNAZIONALI
Relatori
relatore Prof. Andretta, Massimiliano
Parole chiave
- Kenneth Waltz
- Mearsheimer
- Neorealsimo
- Reaslismo
- teorie delle Relazioni Internazionali
Data inizio appello
03/12/2012
Consultabilità
Non consultabile
Data di rilascio
03/12/2052
Riassunto
Lo studio della politica internazionale si è sviluppato come disciplina accademica a partire dall’inizio del Novecento, secolo in cui sono stati combattuti i più grandi conflitti armati che la storia abbia mai conosciuto: dalla Prima e Seconda guerra mondiale, ai conflitti in Corea, Vietnam, Iraq, Afghanistan e altri ancora. Le varie teorie delle Relazioni Internazionali si pongono come obiettivo principale quello di spiegare i meccanismi che stanno alla base della vita sociale degli Stati, cercando di capire quali pratiche siano in grado di originare una convivenza fra le nazioni pacifica e feconda dal punto di vista degli scambi economici e culturali. In sintesi, una teoria è utile se riesce a dirci qualcosa circa i comportamenti delle grandi potenze e di come esse interagiscono reciprocamente, rendendo comprensibili i moventi che si celano alla base dei periodi di pace come di quelli conflittuali, proponendo delle risposte plausibili sul perché e sul come gli Stati riescano o meno ad interagire e collaborare l’un con l’altro.
Lo sviluppo delle Relazioni Internazionali come materia di studio ha preso piede grazie alla spinta di un intenso dibattito pubblico globale, che si è diffuso subito dopo la fine della Prima guerra mondiale, in quanto le tragedie prodotte da questo devastante conflitto hanno scaturito l’esigenza di approfondire la conoscenza sulle relazioni interstatali, con l’intento di carpire quei meccanismi in grado di regolare le dispute fra i popoli attraverso le vie della diplomazia, così da evitare l’utilizzo della guerra. Agevolato da uno spirito pacifista e da un veemente approccio ottimistico, il pensiero liberale idealistico è stato il primo paradigma teorico ad affermarsi accademicamente: affondando le proprie radici nella filosofia illuminista, questa scuola di pensiero si propone di costruire un insieme di istituzioni sopranazionali capaci di ordinare le dinamiche mondiali in modo pacifico ed economicamente prospero attraverso la diffusione dei valori democratici e del libero mercato. Successivamente, in seguito anche alla perdita di credibilità accusata dall’approccio liberale, si è fatta avanti la scuola del Realismo politico ponendosi come modello teorico antagonista: i realisti, infatti, basano il loro pensiero su una visione pessimistica del mondo, in cui le logiche del potere e della forza bruta governano la politica fra le nazioni. La nostra trattazione comincerà proprio con l’esposizione dei principi di queste due teorie, in quanto esse rappresentano i due archetipi speculativi fondamentali delle Relazioni Internazionali e nessuno studioso che intenda avvicinarsi a questa materia può prescindere dalla conoscenza di questi due paradigmi.
Tuttavia, dato che ancora oggi gli schemi concettuali del Realismo occupano il gradino più alto della scala teoretica delle Relazioni Internazionali, ci concentreremo in maniera prevalente sugli insegnamenti dei suoi massimi esponenti, percorrendo gli sviluppi che hanno caratterizzato questa dottrina a partire dalla pubblicazione della prima grande opera novecentesca: The Twenty Years’ Crisis: 1919-1939 scritto negli anni Trenta da Edward Hallett Carr. Questo libro, condannando l’irrazionale ottimismo della scuola idealista, ha introdotto nel dibattito internazionalistico un punto di vista estremamente pragmatico, che rifugge da ogni premessa ideologica o morale, ma fa leva su un marcato pessimismo antropologico e sulla dialettica della realpolitik. Comunque sia, il lavoro di Carr risulta essere più una critica al pensiero liberale che una teoria preposta a svelare qualcosa riguardo al comportamento degli attori internazionali, infatti, ci dice ben poco sul perché gli Stati aspirino al potere e sulle strategie che essi adottano per ottenerlo.
Fu necessario attendere il 1948, anno della prima pubblicazione del celebre Politics Among Nations di Hans Morgenthau, affinché il Realismo politico si affermasse come paradigma dominante nel campo delle Relazioni Internazionali: grazie anche allo sforzo eseguito dall’autore nel tentativo di trasformare il proprio pensiero in un corpo teorico ben delineato, il lavoro di Morgenthau ha rappresentato per circa vent’anni il principale testo di riferimento per gli studiosi internazionalistici. Il cosiddetto Realismo della natura umana, enunciato nei famosi “sei principi chiave del Realismo politico”, si fonda sul presupposto secondo il quale gli Stati verrebbero guidati da una naturale sete di potere, in quanto l’animo umano sarebbe permeato da un intrinseco spirito egoistico preposto alla continua ricerca del dominio sul prossimo.
Il successivo stadio evolutivo della scuola realista, che ancora oggi continua a regnare sopra gli altri approcci teorici di questa disciplina, è stato realizzato grazie al lavoro compiuto da Kenneth Waltz in Theory of International Politics: pubblicato nel 1979, edifica le spiegazioni che si propone di offrire non su presupposti antropologici e naturalistici, ma a partire dall’organizzazione anarchica del sistema internazionale in cui gli Stati si trovano a coesistere. Il Neorealismo waltziano, o Realismo difensivo, prende in considerazione solamente le grandi potenze del sistema, ritenendo che il loro scopo principale sia quello di garantire la propria sopravvivenza attraverso la creazione di equilibri di potenza: in un ambiente fondato sull’autodifesa, in cui non esiste nessuna autorità sopraelevata agli Stati, le condizioni di massima sicurezza saranno garantite dalle logiche del balance of power. Inoltre, la teoria waltziana prevede anche che qualsiasi azione volta ad un aumento ingiustificato di potere, ovvero che non sia funzionale alla creazione dell’equilibrio, verrà punita, in quanto il rapporto difesa-offesa sarebbe di solito fortemente sbilanciato in favore della difesa.
Con la stesura di The Tragedy of Great Power Politics, pubblicato negli Stati Uniti nel 2001, John Mearsheimer si è messo in evidenza come voce uscita fuori dal coro del Neorealismo: pur condividendo gran parte degli assunti di partenza dell’impostazione waltziana e nonostante anch’esso derivi le motivazioni che stanno alla base del comportamento delle grandi potenze a partire dalla struttura anarchica del sistema internazionale, egli giunge a conclusioni differenti. Precisamente, la teoria di Mearsheimer, nota come Realismo offensivo, afferma altresì che nell’anarchia gli Stati sono interessati prima di tutto alla propria sicurezza, ma che il modo migliore per assicurarsela sia quello di divenire il più potente Stato del sistema: proprio su questa premessa l’autore attribuisce alle grandi potenze un comportamento tendenzialmente aggressivo e volto a sfruttare qualsiasi occasione per incrementare la propria quota di potere mondiale.
Dopo aver esposto i concetti chiave dei due filoni principali del Neorealismo, cercheremo di analizzare il contesto internazionale odierno sulla base dei precetti di questi due approcci divergenti, basandoci sugli avvenimenti storici degli ultimi anni, sui dati elaborati dai più importanti istituti di ricerca e sui punti di vista dei maggiori osservatori della politica mondiale contemporanea.
Nonostante la caduta dell’impero sovietico e la conseguente fine della guerra fredda, il budget per la difesa statunitense ha continuato a crescere e la presenza militare degli Stati Uniti in tutto il mondo si è espansa, sia attraverso l’installazione di nuove basi militari, sia attraverso l’allargamento della NATO. A partire dall’undici settembre del 2001, data dell’attacco terroristico alle Torri Gemelle di New York, il “nemico pubblico” del mondo occidentale è divenuto il fondamentalismo islamico, il quale si è manifestato nella sua forma più violenta attraverso l’operato di organizzazioni terroristiche come Al Qaeda. Di conseguenza, dall’inizio del nuovo millennio gli Stati Uniti si sono imposti pesantemente su tutto il Medio Oriente, sia militarmente con la guerra afghana e quella irachena, sia economicamente attraverso l’erogazione di importanti aiuti finanziari, ma a partire dal 2011 l’amministrazione Obama ha chiaramente definito un nuovo corso di politica estera: la riaffermazione degli Stati Uniti come potenza dominante nella regione Asia-Pacifico. La Repubblica Popolare Cinese, in qualità di potenziale futuro leader di questa regione, rappresenta oggi il nuovo “nemico pubblico” globale, non tanto perché essa abbia manifestato politiche aggressive o volontà espansionistiche, ma per il semplice fatto che la Cina è divenuta un centro vitale per l’economia e la geopolitica mondiale: sembrerebbe proprio che nel mondo globalizzato guidato dalla potenza americana possano esistere solamente Stati vassalli.
Realismo difensivo e Realismo offensivo rappresentano il binomio teorico sul quale incentreremo la nostra ricerca, cercando di capire quanto le previsioni di queste teorie siano idonee a decifrare la direzione degli affari internazionali attuali e futuri, se una di esse sia più valida dell’altra ed eventualmente quali carenze esplicative presentino.
Lo sviluppo delle Relazioni Internazionali come materia di studio ha preso piede grazie alla spinta di un intenso dibattito pubblico globale, che si è diffuso subito dopo la fine della Prima guerra mondiale, in quanto le tragedie prodotte da questo devastante conflitto hanno scaturito l’esigenza di approfondire la conoscenza sulle relazioni interstatali, con l’intento di carpire quei meccanismi in grado di regolare le dispute fra i popoli attraverso le vie della diplomazia, così da evitare l’utilizzo della guerra. Agevolato da uno spirito pacifista e da un veemente approccio ottimistico, il pensiero liberale idealistico è stato il primo paradigma teorico ad affermarsi accademicamente: affondando le proprie radici nella filosofia illuminista, questa scuola di pensiero si propone di costruire un insieme di istituzioni sopranazionali capaci di ordinare le dinamiche mondiali in modo pacifico ed economicamente prospero attraverso la diffusione dei valori democratici e del libero mercato. Successivamente, in seguito anche alla perdita di credibilità accusata dall’approccio liberale, si è fatta avanti la scuola del Realismo politico ponendosi come modello teorico antagonista: i realisti, infatti, basano il loro pensiero su una visione pessimistica del mondo, in cui le logiche del potere e della forza bruta governano la politica fra le nazioni. La nostra trattazione comincerà proprio con l’esposizione dei principi di queste due teorie, in quanto esse rappresentano i due archetipi speculativi fondamentali delle Relazioni Internazionali e nessuno studioso che intenda avvicinarsi a questa materia può prescindere dalla conoscenza di questi due paradigmi.
Tuttavia, dato che ancora oggi gli schemi concettuali del Realismo occupano il gradino più alto della scala teoretica delle Relazioni Internazionali, ci concentreremo in maniera prevalente sugli insegnamenti dei suoi massimi esponenti, percorrendo gli sviluppi che hanno caratterizzato questa dottrina a partire dalla pubblicazione della prima grande opera novecentesca: The Twenty Years’ Crisis: 1919-1939 scritto negli anni Trenta da Edward Hallett Carr. Questo libro, condannando l’irrazionale ottimismo della scuola idealista, ha introdotto nel dibattito internazionalistico un punto di vista estremamente pragmatico, che rifugge da ogni premessa ideologica o morale, ma fa leva su un marcato pessimismo antropologico e sulla dialettica della realpolitik. Comunque sia, il lavoro di Carr risulta essere più una critica al pensiero liberale che una teoria preposta a svelare qualcosa riguardo al comportamento degli attori internazionali, infatti, ci dice ben poco sul perché gli Stati aspirino al potere e sulle strategie che essi adottano per ottenerlo.
Fu necessario attendere il 1948, anno della prima pubblicazione del celebre Politics Among Nations di Hans Morgenthau, affinché il Realismo politico si affermasse come paradigma dominante nel campo delle Relazioni Internazionali: grazie anche allo sforzo eseguito dall’autore nel tentativo di trasformare il proprio pensiero in un corpo teorico ben delineato, il lavoro di Morgenthau ha rappresentato per circa vent’anni il principale testo di riferimento per gli studiosi internazionalistici. Il cosiddetto Realismo della natura umana, enunciato nei famosi “sei principi chiave del Realismo politico”, si fonda sul presupposto secondo il quale gli Stati verrebbero guidati da una naturale sete di potere, in quanto l’animo umano sarebbe permeato da un intrinseco spirito egoistico preposto alla continua ricerca del dominio sul prossimo.
Il successivo stadio evolutivo della scuola realista, che ancora oggi continua a regnare sopra gli altri approcci teorici di questa disciplina, è stato realizzato grazie al lavoro compiuto da Kenneth Waltz in Theory of International Politics: pubblicato nel 1979, edifica le spiegazioni che si propone di offrire non su presupposti antropologici e naturalistici, ma a partire dall’organizzazione anarchica del sistema internazionale in cui gli Stati si trovano a coesistere. Il Neorealismo waltziano, o Realismo difensivo, prende in considerazione solamente le grandi potenze del sistema, ritenendo che il loro scopo principale sia quello di garantire la propria sopravvivenza attraverso la creazione di equilibri di potenza: in un ambiente fondato sull’autodifesa, in cui non esiste nessuna autorità sopraelevata agli Stati, le condizioni di massima sicurezza saranno garantite dalle logiche del balance of power. Inoltre, la teoria waltziana prevede anche che qualsiasi azione volta ad un aumento ingiustificato di potere, ovvero che non sia funzionale alla creazione dell’equilibrio, verrà punita, in quanto il rapporto difesa-offesa sarebbe di solito fortemente sbilanciato in favore della difesa.
Con la stesura di The Tragedy of Great Power Politics, pubblicato negli Stati Uniti nel 2001, John Mearsheimer si è messo in evidenza come voce uscita fuori dal coro del Neorealismo: pur condividendo gran parte degli assunti di partenza dell’impostazione waltziana e nonostante anch’esso derivi le motivazioni che stanno alla base del comportamento delle grandi potenze a partire dalla struttura anarchica del sistema internazionale, egli giunge a conclusioni differenti. Precisamente, la teoria di Mearsheimer, nota come Realismo offensivo, afferma altresì che nell’anarchia gli Stati sono interessati prima di tutto alla propria sicurezza, ma che il modo migliore per assicurarsela sia quello di divenire il più potente Stato del sistema: proprio su questa premessa l’autore attribuisce alle grandi potenze un comportamento tendenzialmente aggressivo e volto a sfruttare qualsiasi occasione per incrementare la propria quota di potere mondiale.
Dopo aver esposto i concetti chiave dei due filoni principali del Neorealismo, cercheremo di analizzare il contesto internazionale odierno sulla base dei precetti di questi due approcci divergenti, basandoci sugli avvenimenti storici degli ultimi anni, sui dati elaborati dai più importanti istituti di ricerca e sui punti di vista dei maggiori osservatori della politica mondiale contemporanea.
Nonostante la caduta dell’impero sovietico e la conseguente fine della guerra fredda, il budget per la difesa statunitense ha continuato a crescere e la presenza militare degli Stati Uniti in tutto il mondo si è espansa, sia attraverso l’installazione di nuove basi militari, sia attraverso l’allargamento della NATO. A partire dall’undici settembre del 2001, data dell’attacco terroristico alle Torri Gemelle di New York, il “nemico pubblico” del mondo occidentale è divenuto il fondamentalismo islamico, il quale si è manifestato nella sua forma più violenta attraverso l’operato di organizzazioni terroristiche come Al Qaeda. Di conseguenza, dall’inizio del nuovo millennio gli Stati Uniti si sono imposti pesantemente su tutto il Medio Oriente, sia militarmente con la guerra afghana e quella irachena, sia economicamente attraverso l’erogazione di importanti aiuti finanziari, ma a partire dal 2011 l’amministrazione Obama ha chiaramente definito un nuovo corso di politica estera: la riaffermazione degli Stati Uniti come potenza dominante nella regione Asia-Pacifico. La Repubblica Popolare Cinese, in qualità di potenziale futuro leader di questa regione, rappresenta oggi il nuovo “nemico pubblico” globale, non tanto perché essa abbia manifestato politiche aggressive o volontà espansionistiche, ma per il semplice fatto che la Cina è divenuta un centro vitale per l’economia e la geopolitica mondiale: sembrerebbe proprio che nel mondo globalizzato guidato dalla potenza americana possano esistere solamente Stati vassalli.
Realismo difensivo e Realismo offensivo rappresentano il binomio teorico sul quale incentreremo la nostra ricerca, cercando di capire quanto le previsioni di queste teorie siano idonee a decifrare la direzione degli affari internazionali attuali e futuri, se una di esse sia più valida dell’altra ed eventualmente quali carenze esplicative presentino.
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