Tesi etd-11142013-131928 |
Link copiato negli appunti
Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale LM5
Autore
CERRI, GIULIA
URN
etd-11142013-131928
Titolo
Neuroscienze e prova penale:
tra canoni epistemologici consolidati ed istanze (legittime?) di un nuovo ius probandi.
Dipartimento
GIURISPRUDENZA
Corso di studi
GIURISPRUDENZA
Relatori
relatore Prof.ssa Galgani, Benedetta
Parole chiave
- autobiographical implicit association test
- giudice gatekeeper
- substrato di fisicità cerebrale
Data inizio appello
09/12/2013
Consultabilità
Completa
Riassunto
L’elaborato affronta gli aspetti di criticità posti dalle interazioni tra le nuove conoscenze e tecnologie neuroscientifiche ed il processo penale, per mostrare quanto la portata innovativa delle prime comporti la necessità di interventi ad hoc, e quanto, viceversa, l’ingresso delle stesse nel processo penale possa avvenire tramite il riferimento a preesistenti categorie, se del caso opportunamente interpretate.
Dal momento che la relazione tra moderne neuroscienze e processo penale deve essere inserita nel quadro più generale dei rapporti tra scienza, diritto e processo, nell’opera, da un lato, si tenta di chiarire il modo in cui è, ad oggi, intesa la scienza, anche alla luce della sua evoluzione; dall’altro, sono selezionati gli ambiti processuali che possono essere interessati dalle conoscenze scientifiche. Il settore processuale con cui la scienza ha da sempre maggiore contatto è quello della disciplina probatoria: la prova scientifica è, infatti, il canale principale di ingresso della scienza all’interno del processo penale. Per questo l’attenzione è concentrata sulla c.d. nuova prova neuroscientifica.
Dopo aver definito le moderne neuroscienze (che indagano i legami tra biologia cerebrale e comportamento umano), averne descritto le origini e gli sviluppi, ed aver dato conto di come le stesse possono interagire col diritto e col processo penale, vengono tracciati i confini di rilevanza, in particolare, delle c.d. neuroscienze forensi. Sono, inoltre, affrontate le questioni – ivi motivatamente ritenute infondate – del c.d. rischio di neo–determinismo e di riduzionismo biologico, e vengono fatti brevi cenni alla c.d. neuroetica.
Una volta delineati i contorni della neuroscienza come prova nuova, questa è calata all’interno del processo penale, in particolare in sede dibattimentale. Nella trattazione si tenta di sciogliere i nodi creati dall’impiego in sede processuale penale di questa nuova realtà. Nell’affrontare le questioni poste dal ricorso a leggi e tecniche neuroscientifiche, sempre mutevoli ed in continua evoluzione in ragione dell’incessante progresso (neuro)tecnico–scientifico, si tiene costantemente presente la cornice di garanzie all’interno della quale l’utilizzo delle stesse va ad inserirsi, rappresentata dai principi e dai diritti della persona enunciati nella Costituzione, e attuati nel Codice di rito, dai quali non si può prescindere, che costituiscono sia dei punti fermi ed un limite invalicabile, sia la chiave interpretativa che consente una lettura evolutiva degli istituti disciplinati nel Codice.
Sono affrontati nel dettaglio i punti di contatto tra discipline e tecniche neuroscientifiche e processo penale lungo tutto il corso del procedimento probatorio, con il costante riferimento alla disciplina codicistica dei mezzi di prova direttamente coinvolti, in particolare la perizia e la consulenza tecnica; al corretto inquadramento dei rapporti e compiti reciproci, rispettivamente, del giudice (a cui è richiesto un ruolo attivo di controllo del metodo impiegato dall’esperto) e dell’esperto neuroscienziato; nonché alle necessità determinate dal rispetto del contraddittorio nella formazione della prova, in ragione della c.d. “dialettica processuale interna del procedimento probatorio”.
Nella fase dell’ammissione sorgono problemi di inquadramento della nuova prova neuroscientifica alla stregua di prova tipica o atipica, ed emerge la necessità dell’elaborazione giurisprudenziale di criteri di ammissibilità della stessa, anche alla luce dell’esperienza statunitense. La fase dell’assunzione, in quanto intermedia, presenta rilevanti punti di contatto sia con la fase precedente (l’assunzione), sia con la successiva (la valutazione), dei quali viene dato conto. Nel descrivere la fase della valutazione sono affrontate, in particolare, le questioni del libero convincimento del giudice e della garanzia dell’obbligo di motivazione. Sono, poi, descritte le regole della decisione nel campo della nuova prova neuroscientifica, tra cui spicca quella dell’“al di là di ogni ragionevole dubbio”, e le ripercussioni delle interazioni le leggi neuroscientifiche e la regola ricordata sull’accertamento del rapporto di causalità. Vengono, anche, brevemente analizzati i profili di rilevanza della nuova prova neuroscientifica in sede di impugnazione, in particolare per quanto concerne la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale in appello, alcuni motivi di ricorso per cassazione e la revisione.
Vengono, infine, delineati in concreto i contenuti dello spazio di intersezione tra neuroscienze e loro strumenti, da un lato, e diritto e processo penale, dall’altro, per individuare quale utilità, effettiva o potenziale, le conoscenze neuroscientifiche possano rivestire in ordine agli istituti e ai concetti del diritto penale, sia sul piano astratto di una loro più aggiornata definizione, sia sul piano concreto della loro prova nei singoli casi. A supporto di questa trattazione, è stata analizzata la giurisprudenza italiana che si è occupata di alcune questioni rilevanti in tale sede, che, sebbene assai recente, rappresenta il canale privilegiato di ingresso delle conoscenze neuroscientifiche (sia di esplorazione morfologia del cervello, sia di genetica comportamentale) nel panorama giuridico.
La nuova prova neuroscientifica è stata di recente impiegata dai giudici italiani nel giudizio di imputabilità, per la diagnosi della infermità mentale – la cui portata in campo giudico è stata definita dalla giurisprudenza in alcune note sentenze –, poi valutata dal giudice in merito agli effetti di questa sulla capacità di intendere e di volere, nonché nel giudizio di pericolosità sociale dell’autore non imputabile. Sono indicate anche le prospettive di adeguamento della disciplina codicistica ai risultati della ricerca neuroscientifica nel settore dell’imputabilità minorile.
La giurisprudenza italiana, negli ultimi anni, si è avvalsa, in molti casi, delle nuove conoscenze e metodologie c.d. “di visione” neuroscientifiche, che offrono una “finestra sul cervello in azione”, anche in materia di memoria e menzogna, premurandosi di impiegare solamente quelle metodologie di c.d. memory detection e lie detection in grado di assicurare adeguati livelli di affidabilità scientifica, anche in rapporto alle garanzie del nostro ordinamento in materia di libertà morale. I fronti di utilità processuale degli strumenti neuroscientifici suddetti non si limitano alla sola verifica della veridicità e correttezza delle dichiarazioni latu sensu rese nel processo penale, ma si estendono anche alla verifica dell’idoneità mentale del testimone, anche minore, a rendere testimonianza, alla ricognizione di persone, ed alla confessione.
Dall’elaborato emerge come il ruolo delle nuove conoscenze e tecniche neuroscientifiche si dimostri utile e proficuo all’interno del processo penale, ma mai idoneo, di per sé, a fornire prova certa e incontrovertibile di una verità, né naturale, né processuale. Le stesse, infatti, devono sempre essere inserite nel quadro complessivo del materiale probatorio a disposizione del giudice, che le controlla solo in relazione al metodo impiegato, e mai nel merito, e svolgono una funzione di integrazione delle conoscenze del giudice e di supporto della sua decisione.
Si giunge conclusivamente a ritenere che, nel costante rispetto, da un lato, dei canoni epistemologici consolidati, e, dall’altro, delle norme giuridiche poste a garanzia dei diritti della persona e del giusto processo, la porta del processo penale possa – e debba – essere aperta alla c.d. nuova prova neuroscientifica (come di fatto è già accaduto). A tal fine non è richiesta alcuna rivoluzione sovversiva dell’impianto codicistico, in quanto l’avvertita esigenza di un nuovo ius probandi può essere soddisfatta proprio grazie a quello di cui già disponiamo, adeguatamente interpretato.
Dal momento che la relazione tra moderne neuroscienze e processo penale deve essere inserita nel quadro più generale dei rapporti tra scienza, diritto e processo, nell’opera, da un lato, si tenta di chiarire il modo in cui è, ad oggi, intesa la scienza, anche alla luce della sua evoluzione; dall’altro, sono selezionati gli ambiti processuali che possono essere interessati dalle conoscenze scientifiche. Il settore processuale con cui la scienza ha da sempre maggiore contatto è quello della disciplina probatoria: la prova scientifica è, infatti, il canale principale di ingresso della scienza all’interno del processo penale. Per questo l’attenzione è concentrata sulla c.d. nuova prova neuroscientifica.
Dopo aver definito le moderne neuroscienze (che indagano i legami tra biologia cerebrale e comportamento umano), averne descritto le origini e gli sviluppi, ed aver dato conto di come le stesse possono interagire col diritto e col processo penale, vengono tracciati i confini di rilevanza, in particolare, delle c.d. neuroscienze forensi. Sono, inoltre, affrontate le questioni – ivi motivatamente ritenute infondate – del c.d. rischio di neo–determinismo e di riduzionismo biologico, e vengono fatti brevi cenni alla c.d. neuroetica.
Una volta delineati i contorni della neuroscienza come prova nuova, questa è calata all’interno del processo penale, in particolare in sede dibattimentale. Nella trattazione si tenta di sciogliere i nodi creati dall’impiego in sede processuale penale di questa nuova realtà. Nell’affrontare le questioni poste dal ricorso a leggi e tecniche neuroscientifiche, sempre mutevoli ed in continua evoluzione in ragione dell’incessante progresso (neuro)tecnico–scientifico, si tiene costantemente presente la cornice di garanzie all’interno della quale l’utilizzo delle stesse va ad inserirsi, rappresentata dai principi e dai diritti della persona enunciati nella Costituzione, e attuati nel Codice di rito, dai quali non si può prescindere, che costituiscono sia dei punti fermi ed un limite invalicabile, sia la chiave interpretativa che consente una lettura evolutiva degli istituti disciplinati nel Codice.
Sono affrontati nel dettaglio i punti di contatto tra discipline e tecniche neuroscientifiche e processo penale lungo tutto il corso del procedimento probatorio, con il costante riferimento alla disciplina codicistica dei mezzi di prova direttamente coinvolti, in particolare la perizia e la consulenza tecnica; al corretto inquadramento dei rapporti e compiti reciproci, rispettivamente, del giudice (a cui è richiesto un ruolo attivo di controllo del metodo impiegato dall’esperto) e dell’esperto neuroscienziato; nonché alle necessità determinate dal rispetto del contraddittorio nella formazione della prova, in ragione della c.d. “dialettica processuale interna del procedimento probatorio”.
Nella fase dell’ammissione sorgono problemi di inquadramento della nuova prova neuroscientifica alla stregua di prova tipica o atipica, ed emerge la necessità dell’elaborazione giurisprudenziale di criteri di ammissibilità della stessa, anche alla luce dell’esperienza statunitense. La fase dell’assunzione, in quanto intermedia, presenta rilevanti punti di contatto sia con la fase precedente (l’assunzione), sia con la successiva (la valutazione), dei quali viene dato conto. Nel descrivere la fase della valutazione sono affrontate, in particolare, le questioni del libero convincimento del giudice e della garanzia dell’obbligo di motivazione. Sono, poi, descritte le regole della decisione nel campo della nuova prova neuroscientifica, tra cui spicca quella dell’“al di là di ogni ragionevole dubbio”, e le ripercussioni delle interazioni le leggi neuroscientifiche e la regola ricordata sull’accertamento del rapporto di causalità. Vengono, anche, brevemente analizzati i profili di rilevanza della nuova prova neuroscientifica in sede di impugnazione, in particolare per quanto concerne la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale in appello, alcuni motivi di ricorso per cassazione e la revisione.
Vengono, infine, delineati in concreto i contenuti dello spazio di intersezione tra neuroscienze e loro strumenti, da un lato, e diritto e processo penale, dall’altro, per individuare quale utilità, effettiva o potenziale, le conoscenze neuroscientifiche possano rivestire in ordine agli istituti e ai concetti del diritto penale, sia sul piano astratto di una loro più aggiornata definizione, sia sul piano concreto della loro prova nei singoli casi. A supporto di questa trattazione, è stata analizzata la giurisprudenza italiana che si è occupata di alcune questioni rilevanti in tale sede, che, sebbene assai recente, rappresenta il canale privilegiato di ingresso delle conoscenze neuroscientifiche (sia di esplorazione morfologia del cervello, sia di genetica comportamentale) nel panorama giuridico.
La nuova prova neuroscientifica è stata di recente impiegata dai giudici italiani nel giudizio di imputabilità, per la diagnosi della infermità mentale – la cui portata in campo giudico è stata definita dalla giurisprudenza in alcune note sentenze –, poi valutata dal giudice in merito agli effetti di questa sulla capacità di intendere e di volere, nonché nel giudizio di pericolosità sociale dell’autore non imputabile. Sono indicate anche le prospettive di adeguamento della disciplina codicistica ai risultati della ricerca neuroscientifica nel settore dell’imputabilità minorile.
La giurisprudenza italiana, negli ultimi anni, si è avvalsa, in molti casi, delle nuove conoscenze e metodologie c.d. “di visione” neuroscientifiche, che offrono una “finestra sul cervello in azione”, anche in materia di memoria e menzogna, premurandosi di impiegare solamente quelle metodologie di c.d. memory detection e lie detection in grado di assicurare adeguati livelli di affidabilità scientifica, anche in rapporto alle garanzie del nostro ordinamento in materia di libertà morale. I fronti di utilità processuale degli strumenti neuroscientifici suddetti non si limitano alla sola verifica della veridicità e correttezza delle dichiarazioni latu sensu rese nel processo penale, ma si estendono anche alla verifica dell’idoneità mentale del testimone, anche minore, a rendere testimonianza, alla ricognizione di persone, ed alla confessione.
Dall’elaborato emerge come il ruolo delle nuove conoscenze e tecniche neuroscientifiche si dimostri utile e proficuo all’interno del processo penale, ma mai idoneo, di per sé, a fornire prova certa e incontrovertibile di una verità, né naturale, né processuale. Le stesse, infatti, devono sempre essere inserite nel quadro complessivo del materiale probatorio a disposizione del giudice, che le controlla solo in relazione al metodo impiegato, e mai nel merito, e svolgono una funzione di integrazione delle conoscenze del giudice e di supporto della sua decisione.
Si giunge conclusivamente a ritenere che, nel costante rispetto, da un lato, dei canoni epistemologici consolidati, e, dall’altro, delle norme giuridiche poste a garanzia dei diritti della persona e del giusto processo, la porta del processo penale possa – e debba – essere aperta alla c.d. nuova prova neuroscientifica (come di fatto è già accaduto). A tal fine non è richiesta alcuna rivoluzione sovversiva dell’impianto codicistico, in quanto l’avvertita esigenza di un nuovo ius probandi può essere soddisfatta proprio grazie a quello di cui già disponiamo, adeguatamente interpretato.
File
Nome file | Dimensione |
---|---|
01_INDICE.pdf | 144.48 Kb |
02_NEURO...ENALE.pdf | 1.34 Mb |
03_BIBLIOGRAFIA.pdf | 232.50 Kb |
Contatta l’autore |