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Archivio digitale delle tesi discusse presso l’Università di Pisa

Tesi etd-11142012-181827


Tipo di tesi
Tesi di laurea specialistica
Autore
VIETINA, FRANCESCA
URN
etd-11142012-181827
Titolo
QUANDO IL BENESSERE ORGANIZZATIVO DIVENTA UNA RISORSA COMPETITIVA:IL DIVERSITY MANAGEMENT
Dipartimento
SCIENZE POLITICHE
Corso di studi
SCIENZE POLITICHE
Relatori
relatore Biancheri, Rita
Parole chiave
  • diversity management
  • teoria organizzativa
  • questione di genere
Data inizio appello
03/12/2012
Consultabilità
Non consultabile
Data di rilascio
03/12/2052
Riassunto

“Il tasso di crescita della produttività italiana è il più basso dei Paesi Ocse” A rilevarlo è l’Ocse nel Rapporto Italia dare slancio alla crescita e alla produttività, nel quale si evidenzia che “mentre la produttività relativa del lavoro è migliorata in altri Paesi dell’Europa del Sud in seguito alla crisi, tale dato è praticamente rimasto invariato in Italia” . La situazione precipita nel 2010, ma il Presidente della Geico, Ali Reza Arabnia, al contrario dei suoi concorrenti, non licenzia nessuno, chiede sacrifici economici ai vertici aziendali e investe parte del suo patrimonio per salvaguardare l’azienda. Si tratta allora, di far entrare le politiche del personale nella definizione della stessa strategia organizzativa in modo tale da garantire la coerenza tra la scelta degli obiettivi, i programmi operativi e la gestione delle risorse umane. Il principio secondo il quale le aziende riescono a raggiungere un vantaggio competitivo di lungo periodo attraverso un’efficace gestione delle conoscenze, delle abilità, delle potenzialità appartenenti alle proprie risorse umane, impone alle organizzazioni di investire sulla valorizzazione di ogni persona presente in organico, facendo leva sulle capacità, le aspirazioni e i bisogni di cui ognuna è portatrice. Il percorso che ha condotto al riconoscimento, da parte tanto della letteratura di riferimento che dei più accreditati approcci manageriali, delle risorse umane quale ‘variabile’ fondamentale per il successo aziendale è stato lungo e tortuoso al punto che, solo negli anni più recenti, questo capitolo della gestione aziendale ha trovato piena dignità strategica.
L’analisi di questo lungo periodo troverà spazio nei primi due capitoli che ripercorreranno le principali tappe che hanno condotto all’affermazione della centralità del capitale umano nel panorama aziendale.
La prospettiva storica di analisi delle principali teorie e prassi organizzative che si sono sviluppate e consolidate nel tempo fino ai giorni nostri ci consentirà di proporre, al termine del primo capitolo, una sorta di mappa delle attuali strutture organizzative. Dopo aver ripercorso le principali tappe attraverso cui la gestione delle risorse umane ha progressivamente trovato spazio all’interno delle teorie organizzative, dedicheremo il secondo capitolo all’analisi delle prospettive teoriche che hanno caratterizzatole trasformazioni delle prime (gestione delle risorse umane), in modo del tutto speculare rispetto a queste ultime (teorie organizzative).
La “funzione del personale” è passata, nello stesso arco di tempo, da appendice ad elemento strategico. Questo modello di gestione delle risorse umane riconosce la centralità dell’individuo, esalta la valorizzazione delle differenze in quanto portatrice di ricchezza e permette ad ogni collaboratore di esprimere il proprio contributo unico.
Nel prosieguo del capitolo vengono descritti i vari fenomeni economici, sociali e culturali che hanno generato un aumento delle diversità all’interno delle organizzazioni e imposto la necessità di una loro adeguata gestione. Parallelamente si evidenziano anche gli svantaggi che le aziende incontrano nel momento in cui decidono di attivare processi di gestione della diversità, come la resistenza al cambiamento o i grandi investimenti in termini di tempo e denaro. Il quarto capitolo intende analizzare lo stato dell’arte in Italia e, a fronte dei pesanti dazi che il nostro Paese sta pagando alla crisi internazionale e dopo aver esaminato l’entità delle tendenze che determinano una progressiva diversificazione della forza lavoro, verificare se sia necessaria un’adeguata gestione della diversità anche nel nostro Paese.
Verranno, in particolare, analizzati il tema della cross culture, dell’ageing, della disabilità e del genere. A seguito del processo di mutamento del sistema produttivo dell’occidente, che da sistema agricolo-artigianale si è progressivamente trasformato in sistema industriale moderno, assistiamo al crescente utilizzo di macchinari, a innovazioni di prodotto, a importanti scoperte scientifiche, alla concentrazione del lavoro umano nelle fabbriche .
Allo stesso tempo assistiamo ad una profonda trasformazione del paesaggio che si fa sempre più urbano.
Nella consapevolezza che per comprendere appieno le attuali modalità di organizzazione e funzionamento delle aziende sia necessario analizzare lo sviluppo della teoria organizzativa, la quale è mutata nel tempo come risposta ai cambiamenti accorsi nella società, in questo capitolo saranno analizzati alcuni dei più importanti paradigmi teorici e delle prassi organizzative affermatisi nel corso del tempo. La prospettiva classica si sviluppa agli inizi del Novecento.
1.1.1. Lo scientific management di Taylor
Taylor è direttore di un’acciaieria all’interno della quale, tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, sperimenta nuovi metodi di organizzazione del lavoro.
L’ingegnere statunitense è stato sicuramente influenzato dal contributo di Adam Smith il quale nota, ne “La ricchezza delle nazioni” (1776), che la divisione del lavoro porta ad un aumento della produttività per tre distinte ragioni: l’aumento della destrezza dell’operaio dovuta alla semplificazione delle attività assegnate; il risparmio di tempo che si perde passando da un lavoro ad un altro; la possibilità di meccanizzazione del processo .

Uno degli altri principi tayloristici è la selezione scientifica della manodopera che implica lo studio del carattere, delle capacità e del rendimento di ogni lavoratore dove l’imperativo diviene “l’uomo giusto al posto giusto”.
L’organizzazione scientifica del lavoro di Taylor muove da una semplice considerazione: il lavoratore è l’unico conoscitore del processo produttivo, gode di una certa autonomia nella realizzazione dei prodotti e tutto ciò incide sulla produttività. Alla base del progetto di Taylor c’è proprio la messa in discussione di questo sistema con l’obiettivo di sottrarre le conoscenze nelle mani dei lavoratori a favore del management, il quale potrà così realizzare i livelli produttivi necessari .

a) Il Fordismo
Al taylorismo viene spesso associato il fordismo, simbolo della produzione di massa, delle economie di scala, della standardizzazione del prodotto, della riduzione dei prezzi e del consumo di massa.
L’elemento più innovativo sul piano dell’organizzazione del lavoro, introdotto da Ford, risulta essere la cosiddetta “catena di montaggio”, che comporta la massima suddivisione delle mansioni , la predeterminazione dei ritmi di produzione e la dequalificazione del lavoro poiché lo rende spersonalizzato, ripetitivo, solitario e frenetico. Questa innovazione sviluppa un’organizzazione del lavoro che scarsamente considera le esigenze personali, professionali e sociali dei lavoratori, i quali vengono considerati alla stregua di “ingranaggi” di una “grande macchina” produttiva .

1.1.2. Il problema della trasferibilità delle capacità direzionali e le teorie di Fayol
Il contributo di Fayol si concentra sullo studio dei problemi organizzativi della direzione nelle grandi aziende ponendo l’attenzione sull’importanza dell’organo decisionale, sull’apprendibilità delle capacità direzionali attraverso programmi di insegnamento formali e sulla necessità di elaborare una dottrina individuando dei principi .
Fayol pone l’attenzione sul lavoro direttivo e sulla necessità di acquisizione di capacità relative alla funzione direzionale al contrario di Taylor che si concentra soprattutto sull’ottimizzazione dell’organizzazione del lavoro operaio .
Il riconoscimento del carisma porta quindi ad “[..] Weber è consapevole dei limiti delle burocrazie, possono essere corrotte o inefficienti, ma il suo lavoro è teso ad indicarne le qualità in un modello astratto .
In disaccordo con i principi tayloristici, nel prossimo paragrafo, sarà presa in esame la scuola delle “relazioni umane”.
Le conclusioni cui pervenne quest’ultima ricerca, considerata metodologicamente la più corretta, eserciteranno un importante influsso nei successivi studi di sociologia del lavoro .
La Scuola delle “relazioni umane” ha sicuramente molti limiti, ad esempio “[…] non dava conto dei motivi che sono alla base dell’insoddisfazione dei lavoratori, […] non metteva in discussione i principi di base su cui si fondava l’organizzazione, e soprattutto i criteri di controllo del lavoro che la caratterizzavano” .
Oltre le “relazioni umane”: l’approccio dei motivazionalisti
Dopo la seconda guerra mondiale si sviluppano le teorie motivazionaliste, un approccio teorico che nasce sulla scorta delle critiche alla scuola classica. Le teorie motivazionali prendono vita dall’analisi del modello organizzativo classico che prevede: gerarchia, unità del comando, parcellizzazione estrema dei compiti e delle mansioni, coinvolgimento intellettuale pressoché nullo dell’operaio. È proprio partendo dalla critica di questa concezione della divisione del lavoro all’interno della fabbrica che la scuola motivazionale matura il proprio contributo. Il contributo dei motivazionalisti risulta essere di grande interesse in questo elaborato perché propongono strumenti operativi, frutto di studi empirici, che partendo dalle esigenze di autorealizzazione umana giungono a suggerire una riprogettazione generale delle organizzazioni, dando inizio alla presa di coscienza della centralità degli individui all’interno delle organizzazioni. Argyris si aspetta dalle organizzazioni una mediazione tra le finalità organizzative e la soddisfazione delle esigenze dei lavoratori attraverso forme di leadership non autoritaria che si adattino continuamente alle risorse umane . Nel primo caso la scoperta di un errore comporta la correzione delle azioni che lo hanno determinato, ma non si ha alcuna modifica delle condizioni strutturali che sono alla base delle pratiche organizzative .
1.3.3. L’importanza della dimensione “soddisfazione” nel pensiero di Herzberg
Herzberg sostiene che i “[…]metodi tradizionali di organizzazione trascurano le possibilità dell’uomo e conducono ad un sottoimpiego delle risorse umane” . La natura evoluzionista della teoria formulata da Herzberg non le ha impedito una notevole diffusione e ha contribuito al superamento dei principi tayloristici nonché alla ripensamento delle strutture organizzative e dei compiti . Likert indica delle precise strade per migliorare i risultati organizzativi. Nel suo modello direttivo l’organizzazione del lavoro deve essere ristrutturata in modo da favorire una dimensione collettiva e non competitiva tra i suoi membri, l’autonomia dei collaboratori diviene un elemento fondamentale .
Lo studio di Likert è importante nel nostro percorso di analisi perché propone un modello teso a favorire lo sviluppo delle risorse umane.

1.4. Contro l’omologazione del modello unico: le teorie contingenti
Le teorie contingenti si sviluppano in contrapposizione al presupposto della scuola classica secondo cui esiste un solo modello di organizzazione ottimo. Il fine ultimo delle aziende dovrebbe essere quello di elaborare delle strutture organizzative, delle strategie e dei modelli di gestione del personale in grado di interpretare, se non addirittura anticipare, la realtà circostante.
L’azienda riesce a perseguire questo scopo generale attraverso degli obiettivi operativi, ossia delle procedure esecutive misurabili.
L’interesse per questi approcci nasce perché a seconda delle strategie adottate il ruolo e la conseguente gestione delle risorse umane cambia radicalmente.
Poter osserva che la scelta di una delle strategie influisce sulle caratteristiche della struttura organizzativa poiché quest’ultima serve da supporto all’approccio competitivo stesso. Nel caso della strategia di analisi si ha un mix delle prime due descritte a seconda della linea di prodotto e infine nella strategia di reazione la struttura cambia in base alle necessità del momento .
La complessità ambientale riguarda il numero e la diversità degli elementi esterni rilevanti per l’organizzazione, va da sé che la complessità aumenta al crescere del numero dei fattori che la influenzano . Questo modello lo definirono organico perché più attento alle esigenze delle persone .
L’integrazione consiste nella qualità del coordinamento tra le unità e perciò i collegamenti orizzontali divengono parte integrante della struttura organizzativa. I due studiosi scoprono che all’interno della stessa azienda coesistono diversi modelli organizzativi. La gestione delle risorse umane si differenzia a seconda delle strutture che si sviluppano nelle unità funzionali: la produzione burocratica e formale richiede personale poco incline all’autonomia, al contrario, la funzione ricerca e sviluppo ha bisogno di risorse umane coinvolte e propositive .
Grazie alle innovazioni introdotte alla Toyota prende avvio la cosiddetta produzione snella che si contrappone alla rigidità dei modelli toylor-fordisti . Se nel modello taylor-fordista vigeva una divisione del lavoro con confini precisi tra le mansioni ed una opprimente gerarchia, nel modello giapponese, il coinvolgimento dei dipendenti è attivo, diretto e basato su gruppi di lavoro e circoli della qualità . Il modello giapponese ha sicuramente apportato grandi novità sul piano organizzativo aziendale ma il nostro interesse riguarda soprattutto la direzione delle risorse umane.
A questo punto della nostra analisi l’interesse deve essere puntato sulla capacità di reazione ai cambiamenti ambientali, avvenuta in Toyota, che ha permesso di avviare un processo di ristrutturazione organizzativa, un ripensamento delle modalità di gestione delle risorse umane, un cambiamento culturale che si è rivelato vincente. La convinzione emersa in quel periodo era che la comprensione della cultura aziendale aiutasse a cogliere aspetti delle organizzazioni e del loro funzionamento che altrimenti sarebbero rimasti sconosciuti .
All’interno delle organizzazioni spesso si sviluppano delle sottoculture, le quali possono condurre a dei conflitti ma non devono essere viste solo in modo negativo. Il comportamento organizzativo dipende quindi dalle scelte dei singoli. Prima dell’analisi di questo autore, il predominio della scuola classica e del paradigma della razionalità assoluta offuscavano l’elemento decisionale all’interno delle organizzazioni.

1.7. Scelte strategiche e razionalità limitata
Fino al contributo di Simon l’economia era basata sul concetto della razionalità assoluta. Molte aziende si stanno spostando da strutture rigide e verticali verso altre orizzontali con pochi livelli gerarchici basate sulla condivisione delle informazioni, l’adattabilità e sul lavoro di gruppo.
Accanto alle innovazioni strutturali occorre orientarsi verso culture adattive, capitalizzazione delle conoscenze, stili di leadership che promuovano la collaborazione e la responsabilizzazione diffusa, valorizzazione delle risorse umane, nuove attenzioni alla formazione, ai sistemi premianti e alla comunicazione interna, essenziale nei processi di scambio che promuovono la diffusione della conoscenza .
In questo percorso di analisi della teoria e delle prassi organizzative si è voluto dimostrare come sia cresciuta costantemente l’attenzione verso le risorse umane. CAPITOLO 2
Gestione e valorizzazione delle Risorse Umane
“La vera sfida del nuovo millennio riguarda le persone, non la tecnologia. Il successo dei modelli organizzativi orientati ai principi di total quality management, lean organization e learning organization dimostra che alla base delle politiche di human resources management delle organizzazioni innovative deve esserci partecipazione attiva delle risorse umane alla determinazione delle strategie aziendali.
Questo scenario indica che la nuova frontiera della gestione delle risorse umane deve far spazio ad approcci proattivi e politiche che riconoscano il contributo che può dare il capitale umano all’incremento del valore aziendale e al raggiungimento della mission.
Se nel capitolo precedente ci siamo soffermati sull’analisi delle teorie dell’organizzazione aziendale, in questo capitolo concentreremo l’attenzione sul ruolo e la funzione che le risorse umane giocano all’interno dell’azienda, della sua organizzazione e gestione.
Di fronte alle nuove sfide del mercato globalizzato, alla trasformazione dei processi lavorativi, al continuo sviluppo dei modelli organizzativi, alla crescente eterogeneità della forza lavoro ed all’incessante corsa all’innovazione tecnologica, diventa necessario adottare politiche gestionali finalizzate ad una completa valorizzazione delle risorse umane . Il percorso che ha condotto alla prima trasformazione sarà oggetto del presente capitolo mentre per le considerazioni relative al secondo esito rimandiamo al capitolo successivo nel quale ci occuperemo specificamente del diversity management.

2.1. Evoluzione dei modelli di gestione delle risorse umane
L’evoluzione del ruolo degli addetti alla gestione può essere classificata in base a tre modelli esemplificativi emersi nel corso del tempo ma che ad oggi possono anche convivere: amministrazione del personale, gestione del personale, direzione e sviluppo delle risorse umane .
Gli addetti del personale non hanno quindi una professionalità specifica in relazione alle politiche di gestione del personale ma si limitano agli aspetti giuridico-amministrativi . Inoltre la funzione amministrazione del personale non è dotata di una strumentazione tecnica propria né di politiche formalizzate per la gestione del personale .
La gestione del personale nello svolgimento delle proprie funzioni può godere di due tipi di autonomia organizzativa, specialistica o politica, a seconda delle diverse realtà aziendali in cui opera .
In questa configurazione, che trova largo impiego nelle imprese medio grandi che hanno accumulato una notevole esperienza in materia, la gestione del personale ha un ruolo residuale rispetto alla strategia d’impresa e i criteri di valutazione della performance si rivolgono all’ottimizzazione costi/benefici delle politiche rivolte al personale .

2.1.3. Verso un nuovo approccio: direzione e sviluppo delle risorse umane
Nel modello direzione e sviluppo delle risorse umane l’imperativo diviene l’integrazione tra strategia, struttura e politiche delle risorse umane. In quest’ottica sistemica le politiche del personale hanno un ruolo proattivo nel rimuovere gli ostacoli e nello sviluppo delle opportunità sia per l’azienda che per il personale . A seconda del diverso ruolo ricoperto dagli addetti alle risorse umane, appare interessante indagare la relazione che si instaura tra la strategia e la funzione di gestione del personale.

2.2. Quando la gestione delle risorse umane diventa strategia aziendale
Gli anni Ottanta furono caratterizzati da una forte turbolenza dei mercati, dalla diffusione di nuove tecnologie informatiche, dalla necessità di recuperare produttività e flessibilità . In questo contesto si diffonde la consapevolezza che il lavoratore rappresenta una variabile strategica al pari del capitale finanziario e che il ruolo delle politiche di gestione del personale non deve essere più confinato a svolgere le tradizionali attività di amministrazione ma lo si deve ripensare all’interno delle logiche strategiche.
Ai fini del nostro studio è importante analizzare e ricostruire il rapporto tra strategia e gestione delle risorse umane. A tale scopo, di seguito, verranno esposti tre approcci che cercano di evidenziare come l’orientamento alle politiche delle risorse umane sia passato da reattivo a proattivo, conquistando un ruolo determinante nell’elaborazione delle strategie.
Di seguito verrà approfondito il ruolo della gestione strategica delle risorse umane dove gli individui vengono considerati la risorsa più importante di un’azienda, la vera fonte di vantaggio competitivo.

2.3. L’allineamento tra strategia, struttura e gestione delle risorse umane
La relazione tra strategia e gestione delle risorse umane dipende dal tipo di orientamento adottato dall’azienda che può essere distinto tra: approccio strumentale e approccio costitutivo .

L’approccio costitutivo invece attribuisce alle risorse umane un ruolo fondamentale nel raggiungimento e mantenimento del vantaggio competitivo. Le politiche del personale non costituiscono più un elemento a sé nell’organizzazione ma entrano in maniera costitutiva nella definizione della strategia.
In termini direzionali l’obiettivo è acquisire risorse per attuare la strategia, le politiche delle risorse umane devono assicurare lo sviluppo di sistemi finalizzati all’acquisizione e alla valorizzazione delle risorse necessarie. Solo un’efficace integrazione e un elevato coordinamento delle politiche strategiche del personale, quelle produttive ed organizzative possono garantire l’accumulo di valore in termini di capitale umano ed assicurare il raggiungimento e il mantenimento del vantaggio competitivo.
Il rapporto tra persone e organizzazioni assume sempre più importanza laddove si riconosca il ruolo fondamentale delle risorse umane nella costruzione del vantaggio competitivo, nel prossimo paragrafo cercheremo di approfondire la relazione di scambio tra individuo e organizzazione.

2.4. Analisi del rapporto tra risorse umane e azienda
.Azienda e individuo entrano in relazione a seguito della sottoscrizione del contratto giuridico , attraverso il quale una parte si impegna a prestare l’attività lavorativa prestabilita e l’altra a corrispondere una retribuzione .

2.4.2. Dalla relazione al vantaggio competitivo
Recenti cambiamenti economici, sociali e culturali hanno ridisegnato la fisionomia del mercato del lavoro ma soprattutto le strutture organizzative imponendo alle persone che ne fanno parte di gestire questi mutamenti per il raggiungimento degli obiettivi di business.

“Alla sicurezza del posto si sostituisce la sicurezza della carriera” . Rispetto a questi cambiamenti, il contratto psicologico assume un ruolo decisivo nella gestione delle risorse umane, data la sua influenza sul comportamento lavorativo. Le imprese devono necessariamente imparare a gestire le relazioni con i soggetti portatori di conoscenze per poter inserire il valore da essi generato all’interno del processo di crescita del vantaggio competitivo.
Il compito degli addetti alla direzione delle risorse umane diviene principalmente quello di sviluppare relazioni di elevata qualità, ossia quei rapporti grazie ai quali persone, gruppi e organizzazioni riescono a collaborare proficuamente perseguendo obiettivi comuni . Per poter gestire al meglio le relazioni occorre allargare la prospettiva di gestione verso il coinvolgimento, l’impegno e il senso appartenenza all’organizzazione del lavoratore.
L’organizzazione non può limitarsi a recitare degli slogan ma deve realmente prendere coscienza che sono proprio le competenze e le capacità delle persone alla base del successo .
I professionisti delle risorse umane per poter rispondere alla complessità e variabilità ambientale devono continuamente monitorare lo stato aziendale e adeguare la strategia. Seguendo questa logica, nei prossimi paragrafi si descriveranno le attività tipiche di gestione delle risorse umane.

2.5.1. La pianificazione del personale
L’attività di pianificazione delle risorse umane ha l’obiettivo di assicurare la disponibilità quantitativa e qualitativa di persone necessarie per raggiungere gli obiettivi di business . Attraverso questo strumento e con le opportune procedure di elaborazione, si può costruire un quadro di verifica delle caratteristiche del personale che vanno dalla distribuzione per sesso, età all’anzianità del personale, oppure controllare l’andamento delle assenze, il turnover e infine determinare i costi del personale .

a) Modelli di pianificazione e Balanced Scorecard
L’evoluzione del ruolo della pianificazione delle risorse umane può essere ricondotta a tre modelli: deterministici, compentence based e sistemici .
Questo modello punta al continuo sviluppo delle competenze e dei potenziali delle risorse umane per adeguarle alle nuove esigenze strategiche, con un occhio al mercato esterno per ricoprire quei ruoli scoperti .
I modelli sistemici si propongono di progettare una pianificazione delle risorse umane compatibile con le scelte strategiche, le politiche del personale e l’organizzazione tout court, in una logica che tiene di conto della complessità delle interazioni fra gli elementi del sistema. Gli indicatori di performance utilizzati, come ad esempio la produttività o il ciclo di vita dei prodotti, impattano direttamente sulla soddisfazione del cliente e sul conseguimento degli obiettivi economici;
la prospettiva della crescita e dell’apprendimento, si concentra sulle risorse umane ossia sulla capacità di creare crescita e miglioramento, valutando, ad esempio, le potenzialità, lo sviluppo di abilità nel generare nuovi prodotti, la soddisfazione interna e il tasso di turnover.
In questo contesto il processo di selezione del personale acquisisce un ruolo primario poiché apporta alle aziende le conoscenze e le capacità indispensabili per ottenere prestazioni di successo .
A seconda delle necessità strategiche e delle relative criticità rilevate in fase di programmazione, l’azienda deve compiere un’analisi della posizione che intende ricoprire. Questo è uno dei momenti più delicati poiché dalla fondatezza e significatività delle esigenze descritte, dipende il successo dell’intero processo di selezione . L’individuazione delle potenzialità da sviluppare o l’inserimento di nuove risorse risultano essere fattori fondamentali per lo sviluppo aziendale, per il raggiungimento e il mantenimento del vantaggio competitivo . Sulla base delle informazioni raccolte e attraverso il sistema informativo i responsabili della gestione risorse umane riescono a valutare se le persone presenti in azienda hanno caratteristiche che corrispondono al ruolo ricercato , o possono ricoprire la posizione dopo un periodo di formazione e di addestramento .
La ricerca di figure professionali nel mercato interno conferisce al personale la possibilità di uno sviluppo verticale, attraverso promozioni, o orizzontale mediante l’allargamento dei compiti , generando così un rafforzamento del senso di appartenenza all’organizzazione e un incremento della motivazione dovuta dall’opportunità di far carriera . I Centri per l’impiego favoriscono l’incontro tra domanda e offerta di lavoro, offrono servizi gratuiti sia a chi è in cerca di lavoro, sia alle aziende che offrono lavoro. Operano a livello provinciale, ma dipendono dalle Regioni, alle quali sono state attribuite le funzioni relative al collocamento e alle politiche attive del lavoro a seguito dell’emanazione della legge n. 59 del 1997 . Un altro strumento di recruiting on-line è rappresentato dalla Borsa continua nazionale del lavoro introdotta dalla cosiddetta legge Biagi . Essa si basa su una rete di nodi regionali, collegati tra loro nell’ambito di un portale nazionale gestito dal Ministero del lavoro, al fine di favorire l’incontro tra domanda e offerta di lavoro, garantendo efficienza e trasparenza del mercato del lavoro . Ad oggi costituisce un momento di sviluppo dell’organizzazione poiché investire sul “capitale umano” rappresenta un’occasione di miglioramento della performance aziendale, della coerenza tra obiettivi strategici e gestione delle risorse umane, infine un contributo per il raggiungimento del vantaggio competitivo.
Il primo rappresenta un documento importante nella presentazione del candidato poiché in base alle caratteristiche dello stesso, che vanno dalla completezza alla chiarezza, dall’originalità all’orientamento al lavoro, si compie una prima valutazione del candidato.
Il processo di selezione si conclude con la scelta del candidato. I test di personalità sono finalizzati a valutare la sfera emotiva, sociale e motivazionale del candidato in funzione della sua capacità di utilizzo del proprio potenziale intellettivo . In fase di progettazione degli assessment occorre stabilire quali dimensioni sia necessario indagare sulla base del profilo ricercato e di conseguenza scegliere la tecnica più idonea in funzione delle capacità da rilevare. L’azienda deve facilitare l’ingresso sia dal punto di vista dello svolgimento del lavoro strettamente inteso, ma anche nell’adattamento ad un nuovo ambiente e nella socializzazione.

2.6. La valorizzazione delle risorse umane
Il continuo cambiamento degli scenari competitivi impone alle organizzazioni di dotarsi di quelle competenze e conoscenze che garantiscono capacità di differenziazione. Solo un’adeguata politica di gestione del personale orientata alla valorizzazione delle risorse umane può assicurare un vantaggio competitivo durevole. Di seguito si cercherà di descrivere il processo di valutazione delle risorse umane nella convinzione che costituisca il presupposto del processo di valorizzazione perché fornisce un quadro completo delle carenze da colmare, dei bisogni da soddisfare, delle potenzialità da sviluppare e delle prestazioni da premiare. Esso può prendere in considerazione il valore dei compiti assegnati, l’insieme delle caratteristiche personali o il potenziale da sviluppare. Il sistema di valutazione offre, quindi, un flusso di informazioni rispetto alla struttura organizzativa, al contributo che ogni risorsa umana presta per il raggiungimento degli obiettivi e alle potenzialità da sviluppare in base alle strategie future. Dalla considerazione congiunta di tutte queste prospettive discendono le necessarie politiche di gestione delle risorse umane.

2.6.1. La valutazione del personale
Grazie all’attività di valutazione, ossia, dopo aver assegnato un valore ai comportamenti, alle caratteristiche, al ruolo della risorsa umane è possibile attivare quelle politiche di gestione finalizzate allo sviluppo e al miglioramento delle prestazioni future .
La valutazione rappresenta inoltre l’elemento di raccordo tra la strategia, la struttura organizzativa e le caratteristiche delle risorse umane . Sulla base degli obiettivi strategici permette di verificare l’efficacia della struttura organizzativa, la capacità di raggiungere determinati obiettivi e le possibilità di sviluppo.
La necessità di introdurre procedure di valutazione deriva anche dalla complessità delle funzioni da svolgere e dall’aumento delle dimensioni aziendali. Rendendo visibile il frutto del lavoro diminuiscono le probabilità di perderne il controllo e quelle di disparità di trattamento delle risorse umane .
.
a) La valutazione delle posizioni
Questo tipo di valutazione si presenta come un sistema oggettivo che permette di ordinare le diverse posizioni in base alla loro importanza, ossia quanto ognuna contribuisca al raggiungimento dei risultati aziendali. Si è ritenuto necessario fare riferimento a questo tipo di valutazione perché essa è strettamente correlata alle politiche di gestione delle risorse umane.
Nel nostro percorso di analisi risulta importante fare riferimento alla valutazione del potenziale perché essa si lega intimamente alle politiche di gestione nonché alla valorizzazione delle risorse umane. I recenti cambiamenti accorsi sui mercati impongono di investire continuamente sulle risorse umane, in quanto solo l’ampliamento delle conoscenze e delle abilità può garantire il raggiungimento e il mantenimento vantaggio competitivo . Senza entrare nel merito delle diverse fasi che costituiscono l’attività formativa e dei numerosi strumenti di somministrazione, per noi è essenziale evidenziare che la visione strategica della gestione delle risorse umane sottolinea l’importanza della continuità dei processi formativi come fattore che maggiormente incide su quell’invisible asset, unico e inimitabile, in grado di produrre valore aggiunto.

2.6.3. La retribuzione del personale
Una politica retributiva efficace deve creare allineamento tra gli obiettivi strategici, le esigenze delle risorse umane e le politiche di gestione del personale , in una logica che garantisca equità interna, al fine di impedire conflitti tra i lavoratori, ed esterna per mantenere l’azienda sul mercato del lavoro . La scelta dei piani di incentivazione deve essere preceduta da un’attenta analisi degli obiettivi da raggiungere, della struttura organizzativa e delle professionalità a disposizione. Rappresentano l’elemento di congiunzione tra i bisogni, i desideri dei dipendenti e le strategie di business, fungendo da attrattiva sul mercato del lavoro .
Nel total reward è l’azienda che si adegua ai cambiamenti per ottenere la motivazione delle risorse umane.
In quest’ottica si sono descritti gli strumenti di gestione delle risorse umane facendo riferimento alla loro valorizzazione.
Nella convinzione che i cambiamenti economico sociali uniti all’eterogeneità della forza lavoro siano elementi ineludibili cui le aziende non possono più sottrarsi dal governare, nel prossimo capitolo verrà descritto un modello di valorizzazione delle risorse umane basato sulla gestione delle diversità, che persegue lo scopo di attrarre e trattenere quei talenti indispensabili per il successo, in una logica di lungo periodo.
Nel prossimo capitolo andremo a porre le basi teorico-conoscitive del Diversity Management rispetto alla possibilità che esso rappresenti un modello evolutivo in termini di complementarietà tra responsabilità sociale e pratica organizzativa
CAPITOLO 3
IL DIVERSITY MANAGEMENT COME STRATEGIA DI VALORIZZAZIONE DELLE RISORSE UMANE

Il processo evolutivo dei modelli organizzativi e delle politiche di gestione delle risorse umane ha messo in evidenza la centralità degli individui nel raggiungimento e nel mantenimento del vantaggio competitivo. Inoltre i cambiamenti demografici, la femminilizzazione del mercato del lavoro, le migrazioni hanno mutato la composizione della forza lavoro determinando la crescita della diversità presente in azienda.
L’attuale contesto economico globalizzato, caratterizzato da una costante variazione dei fenomeni sociali e da un alto grado di eterogeneità, richiede l’affermazione di un nuovo paradigma interpretativo finalizzato al pieno sviluppo delle risorse umane in un’ottica di valorizzazione delle differenze che contraddistinguono ogni persona nelle relazioni di lavoro.
L’obiettivo di questo capitolo è quello di verificare se la gestione della diversità, nota in letteratura sotto l’etichetta di Diversity Management, può rappresentare per le organizzazioni una possibile risposta alla complessità di tutti quei fenomeni che generano un ambiente altamente diversificato, in un’ottica di crescita del valore aziendale coerente con lo sviluppo del benessere del “capitale umano”.
Loden e Rosener individuano una dimensione primaria ed una secondaria della diversità. Kandola e Fullerton sono convinti che non bisogna fermarsi alle apparenze, per creare ambienti lavorativi capaci di valorizzare il contributo di ognuno occorre un’analisi completa delle risorse umane e dei luoghi di lavoro.
Pertanto risulta evidente che il fulcro del problema sta negli strati più interni che vengono assunti dalle organizzazioni come immodificabili da cui ne deriva che le aziende devono prendere atto e gestire al meglio le caratteristiche distintive dei propri collaboratori.
L’ultimo strato riguarda la dimensione organizzativa a cui appartengono categorie come il contenuto del lavoro, inquadramento e luogo di lavoro. Anche Smith insiste su una dimensione individuale del Diversity Management ma ravvisa l’importanza del lavoro di gruppo. Barbino, Jacobs e Maggio definiscono il Diversity Management come: “un approccio diversificato alla gestione delle risorse umane, finalizzato alla creazione di un ambiente lavorativo inclusivo, in grado di favorire l’espressione del potenziale individuale e di utilizzarlo come leva strategica per il raggiungimento degli obiettivi organizzativi” . Alla luce delle diverse definizioni di Diversity Management presenti in letteratura ognuna delle quali si concentra su sfumature differenti, non risulta necessario darne una definizione univoca, l’importante è capire la portata delle idee sottese a questo concetto.
Al fine di comprendere l’importanza della gestione della diversità, di seguito si cercherà di delineare il percorso storico che dalla tutela delle diversità ha condotto alla loro gestione.
Cilona e Famà riassumono in tre punti l’evoluzione storica del concetto di gestione delle differenze. Nelle aziende il tutto si riduce alla conformità a norme che fanno rispecchiare la composizione degli organici a quella del mercato del lavoro, ma non porta a nessun cambiamento gestionale, determinando per lo più contrasti e alcun beneficio. Le aziende riconoscono l’incremento del potere di acquisto delle minoranze, si individuano localmente nicchie di mercato e soprattutto cresce la consapevolezza dei rischi legati al non rispetto dei diritti civili. Ma al di là di questo le organizzazioni non comprendono il potenziale delle diversità e quindi non ne traggono vantaggio.
Alla fine degli anni Novanta si impone il modello dell’“inclusione”, che da una parte continua a ritenere centrale il tema delle pari opportunità ma dall’altra coglie il valore delle differenze, aprendosi al cambiamento e all’ascolto delle esigenze di tutti i soggetti. In questo periodo le aziende comprendono la portata strategica della diversità e di miglioramento in termini di efficacia, divenendo soggetti attivi nella gestione delle differenze.
Gardenswartz e Rowe compiono un interessante confronto tra azioni positive, valorizzazione delle differenze e gestione della diversità (Tabella 3.1).
La valorizzazione della diversità riconosce e apprezza le differenze e comporta un cambiamento culturale all’interno del quale esse vengono riconosciute come capaci di contribuire al successo aziendale. Questo può accadere grazie a progetti di formazione orientati al miglioramento delle relazioni interpersonali i quali devono essere supportati da un forte commitment da parte del top management .

Tabella 3.1.- Confronto tra azioni positive, valorizzazione e gestione delle diversità
Il successo della gestione delle differenze avviene laddove si diffondono comportamenti coerenti con le diversità, attraverso l’educazione, la formazione e il rinforzo di comportamenti desiderabili .
3.3. Diversity Management: cause di diversità organizzative
I vari fenomeni che accadono nella società civile influenzano e condizionano direttamente le aziende, soprattutto nei modi in cui esse si organizzano al proprio interno. Va da sé che la continua crescita delle differenze economiche e sociali ha generato un aumento delle diversità all’interno delle organizzazioni ed una conseguente necessità di gestirle .
Si è avviata la costruzione di sistemi informativi più sofisticati rispetto al passato e più aderenti alle nuove necessità delle imprese . Un altro elemento che determina un cambiamento funzionale nelle aziende è la diversificazione dei bisogni e delle richieste dei clienti . Accanto a questi cambiamenti, se è vero che al centro delle aziende troviamo gli individui, occorre analizzare quei fenomeni di tipo economico, sociale e demografico che sono causa di diversità tra le risorse umane presenti in azienda.

3.4. Diversity Management: cause di diversità nella forza lavoro
Una delle principali ragioni per le quali occorre prende in considerazione i progetti di Diversity Management è la progressiva diversificazione della forza lavoro. La crescente diffusione delle multinazionali, l’aumento dei rapporti di collaborazione internazionale e lo spostamento delle attività produttive in Paesi a minor costo di lavoro determinano la coesistenza in azienda di persone appartenenti a culture diverse . La progressiva femminilizzazione del mercato del lavoro a livello internazionale ha messo in luce due ordini di problemi, da una parte l’insufficienza delle strutture a sostegno delle madri lavoratrici e dall’altra un sistema azienda governato da maschi, che insieme impediscono di liberare il potenziale femminile . Capire e mettere le persone nella condizione di esprimere il proprio potenziale può giocare un ruolo fondamentale nel raggiungimento del vantaggio competitivo e nella comunicazione esterna.
Come si evince dalla realtà descritta il tema della diversità delle persone è evidente nonché impossibile da bandire dai contesti organizzativi, una sua corretta gestione risulta necessaria sia per il benessere degli individui che per quello delle aziende.
Le autrici indicano nella gestione della diversità la risorsa su cui investire. Per fare della diversità un imperativo strategico occorre un processo di cambiamento culturale nonché di sviluppo della struttura organizzativa e, sicuramente, un ripensamento della funzione Gestione delle Risorse Umane. La filosofia del Diversity Management pone come sfida la centralità dell’individuo nella gestione del personale in un’ottica di valorizzazione delle differenze e fornisce strumenti per “declinare operativamente il principio secondo cui le persone rappresentano il più importante patrimonio d’impresa” .
L’intero sistema di gestione delle risorse umane deve essere ripensato in una logica di riconoscimento e valorizzazione delle diversità presenti in azienda. Dal reclutamento alla selezione, dalla formazione alla pianificazione delle carriere, dai criteri di valutazione delle performance ai sistemi di ricompensa, tutto deve essere ripensato in termini di diversity, per sviluppare un sistema organizzativo in grado di riconoscere, comprendere e fruire delle diversità nel modo più efficace possibile.

3.6. Il Diversity Management tra costi e benefici
Fenomeni economici come la globalizzazione dei mercati e l’internazionalizzazione delle aziende, da una parte, e fenomeni sociali come le migrazioni, l’invecchiamento della popolazione o la femminilizzazione del mercato del lavoro dall’altra, possono spingere le aziende ad innovare i propri sistemi di gestione delle risorse umane in un’ottica di valorizzazione delle risorse umane. Il Diversity Management appare come la soluzione strategica che riesce a rispondere contemporaneamente ai fabbisogni organizzativi e alle esigenze delle persone .

3.6.1. I benefici del Diversity Management
Kreitner e Kinicki illustrano in maniera esaustiva quali sono gli elementi su cui la gestione della diversità impatta positivamente generando vantaggio competitivo (Tabella 3.2).



Tabella 3.2 – Diversity Management: un vantaggio competitivo
Ne deriva che le organizzazioni sensibili al tema della diversità selezionano e attraggono personale competente in grado di affrontare le sfide del futuro.
Rosabeth Moss-Kanter ha dimostrato, attraverso ricerche empiriche, che la diversità della forza lavoro aumenta la creatività, l’innovazione e migliora i processi di lavoro.
Le organizzazioni, al fine di capitalizzare i benefici del derivanti dalla gestione della diversità, devono adottare una comunicazione diversity oriented, puntare su una formazione che enfatizzi i valori della multiculturalità e favorire la mobilità interna perché solo la creazione di una coscienza diffusa della diversity può creare un clima organizzativo ideale per raggiungere elevate prestazioni .
Una ricerca condotta a livello europeo nel 2003 ha evidenziato la percezione dei benefici (Grafico 3.2) della diversità da parte di imprese comunitarie che adottano politiche di Diversity Management .


Grafico 3.2 – Benefici percepiti della diversità
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Fonte: M. Keil et al (2007), Manuale di formazione sul diversity management, Commissione Europea, scaricabile alla pagina: ec.europa.eu/social/BlobServlet?docId=1474&langId=it.
A fronte dei molti benefici che le aziende ottengono mediante l’adozione di programmi di gestione della diversità è molto probabile che esse incontrino delle barriere significative nel momento in cui decidono di avviare il processo di cambiamento .

L’impegno del vertice è fondamentale per raggiungere il successo delle pratiche implementate, data la complessità delle diversità che si vogliono gestire e l’ampia portata del progetto che investe l’organizzazione nella sua interezza.
Difficoltà nel bilanciare carriera e impegni familiari: soprattutto per le donne che si caricano della maggior parte delle responsabilità familiari, trovano maggior difficoltà a lavorare la sera, o nel fine settimana e nello spostarsi.
Le dinamiche dei mercati così complesse e veloci possono creare problemi alle aziende, soprattutto, nella fase di avvio delle iniziative di diversity.
3.7. Un “possibile” processo di implementazione del Diversity Management
L’implementazione di un programma di Diversity Management dipende dalle diverse caratteristiche della realtà organizzativa che intende predisporlo. Non esiste un unico modello ma un ventaglio di possibilità che discendono dalla cultura organizzativa, dalle contingenze di business, dalle esigenze del personale nonché dalle risorse di cui dispone l’azienda che decide di avviare delle politiche di gestione della diversità .
Occorre indagare le caratteristiche quali-quantitative del personale occupato, la cultura aziendale, le modalità di gestione del personale, la mappatura delle tipologie contrattuali ed eventuali cambiamenti contingenti come le fusioni o lo sviluppo di contatti con l’estero.
Definizione degli obiettivi: sulla base delle criticità rinvenute si definiranno determinati obiettivi da raggiungere, misurabili attraverso specifici indicatori qualitativi e quantitativi.

3.8. La cultura organizzativa: il punto di partenza per il successo del Diversity Management
Alla base del successo dei progetti di Diversity Management c’è lo sviluppo di una cultura organizzativa favorevole all’accoglimento della diversità .
Le aziende che vogliono avviare progetti di gestione della diversità devono essere abili nel trasmettere quei valori che da una parte garantiscono l’omogeneità, nel senso di tenuta del tessuto relazionale, ma dall’altra promuoverne altri che favoriscono l’eterogeneità.
§ Livello 0 (Espulsione): l’organizzazione rifiuta le diversità. Livello 4 (Diversità integrata): la diversità viene considerata un valore d’impresa ed è parte integrante della cultura aziendale, adesso si può parlare di politiche di Diversity Management.
Il cambiamento culturale che conduce alla gestione e valorizzazione delle diversità è un percorso lungo e difficile, sicuramente accompagnato da resistenze , all’interno del quale occorre muoversi su due direttrici apparentemente opposte: l’uguaglianza e la diversità.
3.9. Pratiche organizzative di Diversity Management
Morrison ha empiricamente identificato specifiche iniziative sulla diversità utilizzate con successo dalle aziende oggetto del suo studio, divenuto un fondamentale punto di riferimento in materia.
La ricercatrice classifica le prassi legate alla gestione della diversità in: pratiche di responsabilità, di sviluppo, di reclutamento e selezione.
Occorre strutturare delle occasioni, formative o di contatto, che permettano alle persone di raggiungere la consapevolezza dei propri bisogni e valori, che sensibilizzino al tema della diversità, che stimolino il confronto reciproco tra “diversi” o che sviluppino competenze tese alla valorizzazione della diversità .
L’azienda dovrebbe concentrarsi maggiormente su gestione del personale e comunicazione.
Politiche e prassi di gestione del personale rappresentano il fulcro del cambiamento organizzativo orientato alla diversità, il motore della trasformazione culturale, dove dal reclutamento ai sistemi premianti è necessario rimuovere stereotipi e pregiudizi, ascoltare i bisogni diversi di ogni risorsa umana e rispondere in modo differenziato ma equo .
Le pratiche di diversity che possono essere implementate sono numerose, l’azienda che decide di implementare il Diversity Management dovrebbe essere in grado di collegare la gestione delle risorse umane con le opportunità economiche esterne in una logica di continuo ascolto dei bisogni emergenti.

3.10. I dieci “comandamenti” del Diversity Management
Bombelli, sulla base delle esperienze maturate nello studio di aziende che hanno implementato il Diversity Management, ha individuato una serie di principi che ispirano ed orientano questo approccio.

Tabella 3.3 – I dieci “comandamenti” del Diversity Management
A ciascuna delle persone presenti in azienda deve essere data la stessa opportunità di espressione del talento ma in funzione dei bisogni soggettivi e delle capacità uniche di ognuno. In questo modo il Diversity Management mette al centro della gestione strategica gli individui come leva per il raggiungimento del vantaggio competitivo.
Il Diversity Management si basa sul commitment del vertice. Il nono principio avverte che per la riuscita dei progetti di Diversity Management, occorre condividere il senso e le ragioni che rendono importante la valorizzazione della diversità a tutti i livelli, perché la condivisione del progetto genera motivazione e responsabilizzazione.
L’ultimo “comandamento” stabilisce che il Diversity Management deve essere integrato alla strategia d’impresa. Per raggiungere il vantaggio competitivo la valorizzazione della diversità non può essere considerata un’appendice ma deve essere integrata alle politiche e agli strumenti di gestione.
Come noto il Diversity Management ha origine nel contesto Nord-Americano, a questo punto della nostra analisi è opportuno verificare se anche nel nostro Paese ci sia bisogno di “fare diversity” in un’ottica di sviluppo economico coerente con la crescita del benessere del “capitale umano”.

CAPITOLO 4
DIVERSITY MANAGEMENT: LE SPECIFICITÀ DEL CASO ITALIANO

I modelli di gestione improntati al Diversity Management che si basano su logiche, criteri di valutazione e implementazione maturati nel contesto nord-americano, necessitano di un attento ripensamento rispetto alle specificità culturali, legislative, economiche e sociali del nostro Paese .
A differenza delle grandi aziende americane il tessuto industriale italiano si compone di piccole e medie imprese. Nel prossimo paragrafo tenteremo di capire cosa possono fare le aziende di fronte al miopismo istituzionale.

Il tasso di fecondità delle donne straniere (2,11 figli per donna) presenti nel nostro Paese garantisce il ricambio della popolazione, a differenza di quanto avviene tra le italiane (1,32 figli in media) . Si tratta di uno “spreco di talenti e persone fortemente motivate a mettersi in gioco” rispetto al quale le logiche del Diversity Management possono rappresentare una risposta verso la valorizzazione delle competenze, di cui le nostre aziende hanno sempre più bisogno, sia a causa della congiuntura economica che per l’invecchiamento della popolazione.
Al fine di trasformare l’inserimento del lavoratore immigrato da un problema ad un’opportunità è necessario che le aziende che si ispirano al Diversity Management, si impegnino a creare l’integrazione sociale dei propri dipendenti e a colmare eventuali divari formativi , attraverso la costituzione di gruppi di lavoro comune, la creazione occasioni di acculturazione sui temi dell’antropologia, della sociologia e delle culture.
Il forte declino della natalità unito all’allungamento della vita media comporta l’invecchiamento della popolazione e di conseguenza anche quello della forza lavoro . Le stime dell’Istat per l’anno 2012, rispetto alla struttura della composizione della popolazione per età , indicano una situazione di difficoltà nel nostro Paese poiché la percentuale delle persone con età superiore ai 65 anni si attesta intorno al 20,6 e supera quella con età inferiore ai 15 anni che si ferma sui 14 punti percentuali.
Minelli e Rebora suggeriscono alcune ipotesi di intervento pubblico volte ad aumentare il tasso di attività della popolazione più anziana che vanno sicuramente a vantaggio della persona singola ma possono contribuire alla tenuta dei conti pubblici:
sistemi previdenziali che favoriscano la flessibilità, con riferimento a età di pensionamento, forme di pensionamento parziale, modalità di cumulo dei redditi;
interventi e politiche sanitarie orientate all’active ageing;
nuovi assetti contrattuali e retributivi che favoriscano il prolungamento dell’attività lavorativa anche con modalità differenziate;
preferenza per politiche attive del lavoro rispetto alla gestione delle crisi (modalità di gestione delle crisi occupazionali che ne circoscrivano gli effetti negativi, senza indebolire le altre politiche di valorizzazione del lavoro);
sviluppo della formazione continua per tutte le fasce di lavoratori e in tutte le fasi della vita professionale;
traduzione delle norme legislative antidiscriminazione in provvedimenti di valenza operativa;
la promozione dell’equilibrio vita-lavoro;

A fronte delle dinamiche demografiche in corso, le politiche istituzionali dovrebbero essere in grado di costruire un contesto che favorisca e sostenga buone prassi di diversity riferite all’ageing.
Fonte: P. Castellucci et al. (2009), Diversity Management.
L’aumento del numero degli anziani bisognosi di cure farà crescere le responsabilità a carico delle donne e renderà ancor più difficile la partecipazione al mondo del lavoro di queste ultime dato che gli oneri assistenziali sono ancora poco condivisi tra i generi .

4.3. Il lavoro dei disabili: da obbligo ad opportunità
La nostra Carta Costituzionale riconosce all’art. La prima legge in materia di disabilità sul lavoro è la n. 482 del 1968 intitolata “Disciplina generale delle assunzioni obbligatorie presso le pubbliche amministrazioni e le aziende private”. La riforma introdotta dalla legge n. 68 del 1999 “ha marcato il passaggio da un approccio assistenziale, sostanzialmente indifferente nei confronti dei meccanismi di costruzione sociale del problema, ad uno fortemente orientato alla valorizzazione delle competenze e potenzialità del lavoratore” .
I progetti di diversity legati alla disabilità puntano sulla creazione di momenti e spazi di integrazione e soprattutto sull’ascolto dei bisogni delle persone disabili per facilitarle nello svolgimento delle proprie mansioni. A questo punto della nostra analisi sembra opportuno concentrarci sulla questione di genere.

4.4. Diversity Management e la questione di genere in Italia
Nelle classifiche stilate in base agli indicatori che riguardano la fecondità, la partecipazione femminile al mondo del lavoro, la cultura di genere, gli interventi pubblici a favore della famiglia, l’Italia occupa sempre gli ultimi posti rispetto ai Paesi europei e, altrettanto, nei confronti dei Paesi occidentali sviluppati.
Questo accade nonostante nel nostro Paese, in materia di parità e, in generale, a sostegno delle politiche di pari opportunità, la legislazione sia piuttosto articolata nel tentativo di rispondere alle diverse questioni che nel tempo si sono imposte all’attenzione del nostro legislatore.
Biancheri nota che la questione di genere nel mondo del lavoro italiano ha attraversato tre “stagioni”: la prima è quella della tutela, la seconda si riferisce alle pari opportunità e la terza alla valorizzazione delle differenze, grazie al Diversity Management. Di seguito si cercherà di fotografare la situazione lavorativa delle donne italiane, che nonostante i numerosi provvedimenti legislativi in materia di parità e pari opportunità continuano ad essere svantaggiate nel mondo del lavoro e tenteremo di capire se le politiche orientate al diversity possono fornire risposte adeguate.

4.4.1. I dati sull’occupazione femminile
Nel nostro paese la partecipazione attiva delle donne al mercato del lavoro è progressivamente aumentata ma l’Italia continua a distinguersi nel contesto europeo per le più alte differenze di genere a svantaggio del popolazione femminile.
L’analisi dei dati sull’occupazione delle donne italiane richiede sempre di mettere in evidenza alcune problematiche che ostacolano il non ancora concluso cammino verso una piena parità di trattamento fra i generi: l’accesso al mercato del lavoro e ai vertici delle organizzazioni, gli alti tassi di inattività, la segregazione occupazionale nonché quella formativa, la precarietà occupazionale, il lavoro sommerso, ed infine il differenziale salariale.

Uno dei fattori più critici del mercato del lavoro italiano è rappresentato dai bassi tassi di attività femminile
Come si evince da un’indagine promossa dall’Isfol , il fenomeno dell’inattività femminile in Italia è il risultato di una complessa serie di fattori, legati al profilo del tessuto produttivo, al sistema di welfare del nostro paese, ai modelli culturali ancora prevalenti in molte parti del territorio italiano. Nel 2011, l’Istat rileva che, oltre allo scoraggiamento (44%), la cura dei figli e/o dei familiari (19,5%) rappresenta per la componente femminile il motivo più significativo della mancata ricerca del lavoro, interessando una donna su cinque. Occorre osservare che una parte delle donne inattive, anche se non cerca il lavoro attivamente perché scoraggiata, è disponibile a lavorare . Per dare un’idea delle differenze di genere presenti nel nostro Paese, l’Istat, nel primo trimestre 2012, registra per le donne un tasso di inattività pari al 46,6%, condizione assai peggiore degli uomini che si fermano al 26,6% .
La situazione lavorativa delle donne in tutti i Paesi europei peggiora con l’aumentare del numero dei figli, mentre per gli uomini accade il contrario (tabella 4.2). Se da una parte queste modalità lavorative hanno permesso l’ingresso delle donne nel mercato del lavoro, dall’altra hanno accresciuto il rischio di precarizzazione del lavoro e di povertà . Panetta e Romita indicano un’ulteriore problematica della condizione lavorativa femminile nel cosiddetto lavoro sommerso .
L’altra faccia delle segregazione verticale è la disparità retributiva.
Un recente studio promosso dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, dal titolo molto evocativo Donne in Italia: una grande risorsa non ancora pienamente utilizzata, mette in luce quelle che sono le differenze di genere nel campo dell’istruzione.
Le donne, nonostante siano più istruite e raggiungano risultati scolastici migliori dei colleghi uomini, continuano ad avere difficoltà ad accedere al mercato del lavoro e alle posizioni di rilievo . Nella successiva legge n. 903 del 1977, approvata per dare attuazione alle due direttive comunitarie 75/117/CEE e 76/207/CEE, si sancisce la pari dignità delle lavoratrici, la parità di trattamento economico e legale tra lavoratori e lavoratrici, la promozione della parità delle donne nel lavoro, il divieto di qualsiasi discriminazione sessuale, l’incentivazione dell’occupazione femminile attraverso la riduzione del costo del lavoro. Anche in Italia si istituisce, grazie alla legge n. 125 del 1991, lo strumento delle “azioni positive” da realizzare per favorire la presenza e la qualificazione delle donne nel lavoro, l’accesso a tutte le professioni. Nonostante l’aumento costante dei progetti finanziati grazie al fondo istituito ad hoc, nel febbraio del 2009 i bandi sono stati bloccati, precludendo alle aziende la possibilità di investire in capitale umano e innovazione organizzativa in un’ottica di conciliazione famiglia-lavoro .
Dall’esame delle principali normative in materia di pari opportunità e dall’analisi dei dati relativi alla presenza femminile sul mercato del lavoro si evince che nel nostro Paese nonostante sia costantemente accresciuta l’attenzione verso questo principio, permane uno scarto irrisolto tra le garanzie normative e la loro effettiva realizzazione.
Nel nostro Paese l’ostacolo maggiore che incontrano le donne nel mercato del lavoro sembra essere l’impegno familiare, nel prossimo paragrafo si cercherà di far luce su questa questione.

4.4.3 La conciliazione: un problema declinato solo al femminile
La modalità di gestione del tempo è divenuta indicatore delle rilevanti differenze di genere presenti nelle società . Per far sì che si rompa quel “circolo vizioso” che vede una parziale partecipazione delle donne al mercato del lavoro, caratterizzata da segregazione, differenziale salariale e precarietà occorrerebbe un cambiamento sia nella condivisione dei carichi familiari, nell’erogazione di servizi ad hoc nonché nel superamento della rigidità dell’organizzazione del lavoro .
Le donne italiane dedicano al lavoro familiare 5h20’, più di tutte le altre donne europee: per la precisione circa un’ora e mezza in più delle norvegesi, delle svedesi e delle finlandesi. Per uscire da quel circolo vizioso che comporta bassa partecipazione delle donne al mercato del lavoro e un tasso di fecondità tra i più bassi al mondo, ma soprattutto per avviare il motore dell’occupazione femminile e i suoi moltiplicatori, occorre lavorare sul piano culturale, sul versante delle politiche pubbliche e nonché a livello manageriale.
Negli ultimi trent’anni le donne hanno cominciato ad affacciarsi in massa al mondo del lavoro, è cresciuto il livello d’istruzione, hanno rinviato l’età del matrimonio e del primo figlio per impegnarsi nella carriera . Nel contesto italiano sostenere la fatica della “doppia presenza” diviene un percorso ad ostacoli in cui la ricerca della conciliazione dei tempi di vita e quelli di lavoro risulta assai difficoltosa o quasi impossibile.
Una risposta alle domande di conciliazione da parte delle donne può arrivare dal Diversity Management. Se da una parte la componente femminile della forza lavoro richiede ambienti favorevoli al “doppio ruolo” che esse si ritrovano a svolgere, dall’altra una quota sempre più ampia di organizzazioni ha improntato una gestione delle risorse umane favorevole alla realizzazione delle pari opportunità non solo per una questione etica ma anche economica.
I progetti di Diversity Management volti a supportare il lavoro delle donne all’interno delle organizzazioni riguardano soprattutto tre macroaree: la gestione spazio temporale del lavoro, i servizi di work and life balance e la risoluzione di problematiche individuali.
Luoghi e orari di lavoro uguali per tutti devono diventare un retaggio del passato per quelle aziende che vogliono andare incontro alle esigenze dei propri collaboratori . Come abbiamo già avuto modo di vedere la gestione del tempo diviene indicatore delle forti disuguaglianze di genere presenti nella nostra società a sfavore delle donne. Il nostro ordinamento, con il decreto legislativo n. 61 del 2000 prevede il lavoro a tempo parziale orizzontale, “in cui la riduzione di orario rispetto al tempo pieno è prevista in relazione all’orario normale giornaliero di lavoro”, e quello verticale, “in relazione al quale risulti previsto che l’attività lavorativa sia svolta a tempo pieno, ma limitatamente a periodi predeterminati nel corso della settimana, del mese o dell’anno”. Un’altra modalità di gestione autonoma del tempo è la “banca delle ore”, che permette di accantonare le ore lavorate in più oltre l’orario normale di lavoro per essere riutilizzate a seconda delle necessità individuali .
L’uso delle tecnologie informatiche e l’evoluzione delle strutture organizzative favoriscono l’autonomia dei lavoratori a tutti i livelli e contribuiscono al venir meno di molti vincoli spaziali e temporali. Molte delle aziende che abbracciano la filosofia del Diversity Management si impegnano ad aumentare la presenza delle donne in organico e a sostenerle nei percorsi verticali perché consapevoli dei benefici che si possono ottenere d tali strategie. A livello microeconomico le aziende che presentano una significativa presenza di donne nei ruoli dirigenziali fanno registrare migliori performance in termini di vendite, di capitale investito, di equità che derivano da un più elevato livello della qualità delle decisioni, dovuto alla diversità dei membri, da un uso più ampio dei talenti a disposizione, dalle migliorate capacità etiche e di lettura del mercato. Dal punto di vista macroeconomico, investire sul talento delle donne nei processi decisionali appare una necessità che nasce dall’invecchiamento della popolazione e dalla costante richiesta di risorse umane preparate ad affrontare le se
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