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Archivio digitale delle tesi discusse presso l'Università di Pisa

Tesi etd-11132013-105034


Tipo di tesi
Tesi di laurea specialistica
Autore
TUCCI, ILARIA
URN
etd-11132013-105034
Titolo
Applied Theatre as a craft of Conflict Transformation and Peacebuilding in War-Torn Communities
Dipartimento
CIVILTA' E FORME DEL SAPERE
Corso di studi
SCIENZE PER LA PACE: COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO, MEDIAZIONE E TRASFORMAZIONE DEI CONFLITTI
Relatori
relatore Prof. Luzzati, Tommaso
Parole chiave
  • social theatre
  • Schininà
  • Reich
  • peacebuilding
  • Lederach
  • Patfoort
  • Galtung
  • conflict transformation
  • applied theatre
  • war torn communities
Data inizio appello
28/11/2013
Consultabilità
Completa
Riassunto
La presente tesi verte sul ruolo del teatro sociale come strumento di mediazione e trasformazione dei conflitti nei contesti di post-guerra. A tal fine il primo passo (Capitolo 1) è stato costruire un quadro interpretativo interdisciplinare, con cui analizzare le caratteristiche ricorrenti e le differenze nelle esperienze già esistenti in questo ambito, e da cui poter trarre indicazioni circa il disegno progettuale. Per il raggiungimento di questi obiettivi, sono stati esaminati criticamente i lavori sul campo e le osservazioni teoriche di Hannah Reich, Guglielmo Schininà e John Paul Lederach, unitamente alle teorie di Johan Galtung e Pat Patfoort. Il secondo passo (Capitolo 2) è stato individuare alcuni casi di studio che consentissero di validare il modello interpretativo elaborato. Ho dunque innanzitutto censito le esperienze già realizzate recentemente o in corso d’opera, per poi applicare ad esse dei criteri di selezione desunti dall’analisi teorica, specie dal lavoro di Hannah Reich. Tali criteri si sono rivelati molto restrittivi al punto che ho potuto selezionare solo due dei molti casi di studio individuati, il progetto Let’s see… Let’s choose… Let’s change… della armena ONG Peace Dialogue e il progetto di teatro partecipativo promosso dalla americana ONG Search for Common Ground. I due casi di studio (Capitolo 3) sono stati analizzati criticamente al fine di verificare e di proporre un’ipotesi di concezione, pianificazione e implementazione sul medio/lungo periodo di progetti di teatro sociale con sessioni di formazione in mediazione e trasformazione dei conflitti in processi di peacebuilding.
Il quadro teorico (Capitolo 1) comprende un ampio panorama che esamina non solo il peacebuilding e il teatro sociale, ma anche i cosiddetti approcci di peacebuilding basati sull’arte (art-based peacebuilding). Il concetto di peacebuilding viene presentato nella elaborazione data da Galtung negli anni ’70 e nelle più recenti definizioni a cura delle Nazioni Unite. In particolare viene dato risalto al contributo del UN Secretary-General's Policy Committee del 2007 in comparazione con le Strategie Europee riguardo la ‘Gestione del Ciclo del Progetto in Cooperazione e Sviluppo’. Infatti in entrambi i documenti, emerge il ruolo cruciale svolto - nel peacebuilding come nella cooperazione allo sviluppo – dalla partecipazione, intesa come appropriazione da parte delle comunità locali del processo di cambiamento, e dall’equità, intesa come parità di accesso ai diritti e imparzialità nella trasformazione dei conflitti.
A seguire vengono esposte la teoria di trasformazione dei conflitti di Johan Galtung (2004) e quella sulla comunicazione nonviolenta di Pat Patfoort (2011).
Successivamente si chiariscono la definizione e la genesi del teatro sociale. La terminologia anglosassone che si utilizza nella tesi, diversamente da quella italiana, lo definisce applied theatre. Grazie alle rivoluzioni teatrali del Novecento e al contributo della pedagogia contemporanea, si sviluppa una nuova forma di teatro, collocata fuori dal mainstream teatrale e dallo show business. Tra i pionieri e fondatori del teatro sociale, Augusto Boal è considerato uno dei maggiori esponenti. Il metodo inventato da Boal, Il Teatro dell’Oppresso, è un’organizzazione sistematica di tecniche e strumenti teatrali per comprendere e contrastare le oppressioni sociali ed economiche dell’individuo e della società.
Infine, nell’ultima parte del capitolo, vengono riassunte le posizioni di John Paul Lederach, ideatore della Moral Imagination, di Hannah Reich e la sua teoria the Art of Seeing, e di Guglielmo Schininà con la sua proposta del Complex Circle.
Il capitolo successivo (Capitolo 2) verte sull’approccio metodologico, basato sulla combinazione del contributo di Hannah Reich e del modello empirico di Guglielmo Schininà. Partendo dalla distinzione che Hannah Reich fa tra la struttura del ‘Classic’ Forum Theatre e del Forum Theatre for Conflict Transformation, e in particolare nelle diverse fasi – workshop phase, performance phase e follow-up phase - vengono utilizzati gli elementi che per la ricercatrice tedesca sono a fondamento del Forum Theatre for Conflict Transformation:
prima e durante la workshop phase
- la scelta consapevole e accurata dei partecipanti e dei luoghi in cui si svolgerà il training;
- l’inserimento di moduli di gestione dei conflitti e spazi condivisi di tempo libero;
- lo sviluppo di una attenta scrittura collettiva del copione - chiamata art of telling;
per la performance phase
- la scelta consapevole e accurata dei luoghi per le presentazioni pubbliche;
- la competenza del joker nella trasformazione dei conflitti;
per la follow-up phase
- l’inserimento di altre attività che rendano sostenibili le relazioni tra i membri del gruppo.


Sono questi elementi i principali fattori attraverso i quali è stata analizzata la struttura dei due casi di studio.

Dal modello del Complex Circle di Schininà sono stati desunti i parametri per leggere criticamente l’implementazione dei progetti: interdisciplinarietà, gestione delle differenze nel rispetto delle stesse, prospettive multiple, sistema di comunicazione multilayer.
Grazie al censimento dei progetti realizzati o in corso di teatro sociale con sessioni di gestione e trasformazione dei conflitti in contesti di post-guerra che coinvolgessero giovani/adulti su un periodo di medio/lungo termine (minimo di due anni), è stato costruito un database. Esso si trova in appendice alla tesi. Le fonti di reperimento dei casi sono state soprattutto i networks In place of war a cura della Manchester University (www.inplaceofwar.com) e Acting Together a cura della Brandeis University (www.actingtogether.org), oltre a vari journals di Applied Theatre e Peace & Conflict Studies, disponibili on line.
Attraverso la consultazione puntuale dei siti web dei vari casi presenti in database, è stata verificata la possibilità di accedere a dati aggiornati e/o di contattare direttamente i referenti dei progetti. Attraverso questo lavoro, sono stati selezionati i due casi di studio della Peace Dialogue e Search for Common Ground utilizzando come framework critico il lavoro di Hannah Reich e quello di Guglielmo Schininà.
Nel terzo capitolo, vengono presentati ed esaminati i due casi di studio. Essi sono:
- il progetto Let’s see… Let’s choose… Let’s change… della armena ONG Peace Dialogue, relativo alla situazione conflittuale del Nagorno-Karabakh,
- il progetto di teatro partecipativo promosso dalla americana ONG Search for Common Ground, per affrontare la questione delle terre in Rwanda.
Queste due esperienze, molto diverse tra loro, sono accomunate dal fatto che, in un ampio disegno di peacebuilding, il teatro sociale venga esplicitamente rafforzato da sessioni di formazione alla gestione e trasformazione dei conflitti, attraverso il coinvolgimento delle comunità locali.
Per ogni caso viene presentato un excursus storico mediante il quale si evidenziano il contesto in cui le esperienze si inseriscono e le caratteristiche specifiche dei conflitti in questione.
Il conflitto in Nagorno-Karabakh, incancrenito sin dagli inizi del Novecento, è scoppiato prepotentemente dopo la disgregazione dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, in una guerra che ufficialmente si è conclusa il 5 maggio del 1994 con la firma dell’armistizio di pace tra Azerbaijan e Armenia. Ma le questioni etniche e territoriali che colpiscono la regione del Nagorno-Karabakh sono ancora oggi motivo di tensioni tra i due paesi. La regione è fortemente militarizzata, e questo incide soprattutto sulla società civile e la popolazione più giovane che da sempre vive in questa condizione, senza aver conosciuto alternative.
Il conflitto in Ruanda, invece, è legato alla riforma agraria (1999), promossa per affrontare la questione dei diritti di eredità delle terre da parte di donne e bambini. Tale riforma infatti, a detta di Sydney Smith e Elise Webb, ha incontrato una crescente resistenza dovuta ad un atteggiamento culturale contrario all’eredità femminile. Inoltre le leggi promulgate in tale direzione sono ignorate da gran parte della popolazione, che per di più è composta – dati World Bank 2011 - per il 43% da giovani sotto i quattordici anni. Il progetto di Search for Common Ground ha l’obiettivo di creare un dibattito costruttivo sulla questione dell’eredità delle terre, implementando anche un confronto diretto tra comunità e autorità locali.
Segue poi l’analisi puntuale dei due progetti, con riferimento al framework metodologico ideato, e una analisi comparata degli stessi. La proposta che viene elaborata nella discussione dei risultati è articolata sui vari criteri di analisi suggeriti da Hannah Reich.
Per quanto riguarda la scelta dei partecipanti, essa riflette le diversità intrinseche che i due casi presentano nelle caratteristiche stesse di conflitto: nel progetto della Peace Dialogue vengono coinvolti giovani provenienti da diverse regioni caucasiche per il ruolo chiave che essi potranno assumere nella costruzione della pace circa la questione del Nagorno-Karabakh; in Ruanda la Search for Common Ground coinvolge attori professionisti che, attraverso le tecniche di teatro partecipativo, sono in grado di coinvolgere in modo neutro ed imparziale la comunità in scene che rispecchiano conflitti e questioni locali.
Inoltre, gli obiettivi specifici dei due casi sono diversi. Nel caso del Ruanda, obiettivo specifico è ridurre l'incidenza di conflitti interpersonali intorno alla questione eredità terra, e aumentare il ricorso imparziale e super partes alle autorità locali, comprese le figure degli abunzi, mediatori tradizionali. Per Peace Dialogue obiettivo è incoraggiare il coinvolgimento dei giovani nella discussione di questioni civili e di formarli nella gestione nonviolenta dei conflitti.
A partire dal confronto dei due casi e dalla letteratura disponibile sull’argomento, viene proposta una struttura di Forum Theatre for Conflict Transformation che coinvolga un team interdisciplinare di formatori, in grado di accompagnare il processo di apprendimento/insegnamento con una modalità interattiva e interdisciplinare. In questo modo si propone la costruzione di un framework misto che combini, allo stesso tempo e nella stessa sede formativa, gli strumenti di teatro sociale e di mediazione.
Sulla stessa linea di pensiero si situa l'approccio dialogico suggerito da Guglielmo Schininà, e l’implementazione condivisa realizzata dalla Peace Dialogue in Armenia/Nagorno-Karabakh. I partecipanti infatti sono stati coinvolti in un processo partecipativo tra pari, che li ha portati a definire in itinere sia le tematiche da affrontare durante il progetto sia il processo di realizzazione, sotto la supervisione di un gruppo internazionale di facilitatori.
Nelle conclusioni riassumo il lavoro svolto e avanzo alcune riflessioni, domande, dilemmi e prospettive per ulteriori ricerche in questo campo.
Sinteticamente, i nodi più critici mi sembrano riguardare la valutazione e il ruolo degli esperti esterni. Quanto al primo aspetto occorre rilevare che il ruolo dei finanziatori del progetto ha il suo peso e la sua influenza. Come affrontare tale criticità quando il materiale a disposizione è affetto da uno stile propagandistico teso a sottolineare i punti di forza e i risultati positivi a scapito delle debolezze e delle difficoltà?
Quanto al ruolo degli esterni, esso può incidere in maniera significativa sulle comunità locali. Che tipo di processi vengono attivati durante la pratica di apprendimento/insegnamento? Quali sono i punti di forza e di debolezza durante il trasferimento di competenze? Come misurare e valutare tale problematicità?
Infine il ruolo degli abunzi (mediatori tradizionali locali del Ruanda) nella società ruandese dà lo spunto per riflettere sulle dinamiche di giustizia locale. Come conciliare, nel rispetto dei ruoli e delle culture, la mediazione “formale” con quella tradizionale senza cercare di imporre un approccio unidirezionale?
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